di Alessandro Carta
Ci sono libri che riescono a catalizzare l’attenzione del lettore ben oltre le prime pagine, stando attenti a non perdere il filo della narrazione. Altri, addirittura, si dischiudono solo verso la fine, quasi come un giallo. Il libro “Juan @ Rosada” di Sandro Renato Garau, invece, ammalia fin da subito il lettore che, con lo svilupparsi delle descrizioni, si accorge d’essere coinvolto in pieno in un ambiente non nuovo, carico di narrativa, storia, vita vissuta di ambiente minerario, di messaggi positivi che gli anziani minatori riescono ancora a lanciare verso la giovani generazioni. L’ambiente di “Juan @ Rosada” è quello di Guspini con i vecchi minatori di Montevecchio, Ingurtosu, Arbus. Qui vivono i parenti di Salvatore Arriu, figlio di “Emanuele Arriu, quello che è andato in Argentina e che lì è anche morto”. Salvatore torna a Guspini per il funerale di nonno Giovanni e lì vive quasi una iniziazione alla Sardegna, con le sue usanze, i magici luoghi degli antenati, le marine e vecchi casolari del Campidano guspinese. Le esperienze di Salvatore Arriu vengono vissute con intensità e trasmesse, via internet, alla sorella Rosada, che sta in Argentina. Il tutto si sviluppa, quindi, con comunicazioni email che vengono scodellate in tempo reale tra Guspini e l’Argentina. Non si tratta di una noiosa tiritera di e-mail che vanno e vengono, ma di quadretti che Salvatore rappresenta per iscritto alla sorella Rosada, la quale resta ogni volta toccata dall’incanto, quasi da sembrare anch’essa a vivere l’esperienza in Sardegna col fratello Salvatore. Salvatore, il sardo-argentino, come eredità del nonno Giovanni, ne raccoglie la stima di cui l’anziano minatore godeva presso i suoi vecchi compagni di lavoro. “I direttori delle miniere, hanno spiegato a Salvatore, si rivolgevano a lui per chiedere quale sarebbe stata la reazione degli operaia un possibile cambiamento delle condizioni lavorative o dell’organizzazione del lavoro; cioè, come avrebbero accolto eventuali innovazioni tecnologiche, modifiche di orario o semplicemente se, secondo lui, fosse giusto o no intraprendere qualche iniziativa non prevista dalle abitudini consolidate”. Ancora più dettagliati sono stati i meriti maturati dall’anziano appena morto. “Anche Giovanni aveva iniziato vuotando le bombole in galleria, come tutti noi, del resto. Non era un buon lavoro, non c’erano i gabinetti nel sottosuolo e, per chi non aveva specializzazione, a volte il primo lavoro era di vuotare le mezze bombole, colme di escrementi, in una vasca maleodorante. Molti non lo sopportavano e chiedevano di cambiare mansione, alcuni hanno avuto anche malori, altri si sono anche licenziati. Alcuni di loro non informavano neanche le mogli del primo lavoro in galleria. Sicuramente non per farsi biasimare, lo ritenevano degradante”. Per fortuna il soggiorno di Salvatore a Guspini non fu tutto dello stesso tenore. Scenari ambientali, dell’entroterra (Sa Zeppara, Sant’Antonio di Santadi) e in riva al mare di Tunaria o Torre dei Corsari, Arenas avevano riempito d’ammirazione Salvatore che ogni sera avvertiva la necessità di partecipare alla sorella Rosada le sue emozioni, quasi da farle suscitare invidia. Ma la vita di miniera trasudava in ogni incontro con gli anziani. “Ognuno degli operai di miniera conosceva il suo lavoro e lo spazio dove lo svolgeva. Secondo le mansioni e l’ambiente, anche tra i minatori c’erano delle differenze: io che lavoravo nel sottosuolo potevo non capire il lavoro che si faceva in superficie,in flottazione, nelle officine, nella fonderia…Solo chi vi ha lavorato è in grado di riprodurre i suoni, gli odori, le immagini e ridare vita alle gallerie, alle gabbie dei pozzi, agli avanzamenti. Se uno a Montevecchio, a Monteponi e in altre miniera sui muove da solo rischia di non capire niente”. Il grande merito di Sandro Renato Garau, che ha al suo attivo altri lavori letterari, è stato quello di allestire un canovaccio via e-mail, con il quale, via via, ha sviluppato questo nuovo lavoro di romanzo epistolare che resta aperto fino all’ultimo, addirittura anche durante il volo di ritorno verso Buenos Aires. Certamente è un libro carico di sentimento, di ricordi e di riconoscenza verso la vecchia classe dei minatori che, pur con un duro e inumano lavoro, hanno sempre mostrato dignità riversata sui figli e la famiglia.
Grazie…
l’autore.