di Martina Marras *
Il sardo è sempre stato nelle sue note. Prima erano elettroniche, ora tendono più al blues, ma la sostanza non cambia. Claudia Aru, villacidrese doc, classe 1981, per la sua musica ha scelto il campidanese. Le più grandi resistenze di fronte al suo tentativo di ‘tradinnovazione’ sono state, almeno inizialmente, proprio in Sardegna. Ma nei suoi dieci anni di carriera, tante cose sono cambiate, anche se la strada da fare è ancora lunga. La personale battaglia di Claudia per il riconoscimento dei diritti civili e per una politica del rispetto passa dai testi semplici e orecchiabili delle sue canzoni e dalle sonorità decise che li accompagnano. Fuori dalle logiche di mercato, insieme alla sua etichetta discograficaNootempo, cerca di fare agricultura, musica che passa dal produttore al consumatore in maniera diretta.
Quando hai scoperto la tua vocazione per il canto in sardo? Quando stavo a New York. Volevo fare la cantante da sempre, ma ho vissuto la mia adolescenza nella gabbia d’oro sarda, dove si credeva che l’arte fosse qualcosa di instabile, su cui non aveva senso investire. Poi la mia generazione è stata avvolta dall’instabile e allora qualcosa è cambiato. Nel frattempo avevo trascorso tre anni a Barcellona per un master, diventando indipendentista in Catalogna. E poi sono volata negli Stati Uniti. Studiavo improvvisazione vocale, imparando la tecnica per utilizzare la voce come uno strumento musicale. Un giorno, soprappensiero, ho intonato un motivo sardo, rendendomi conto che quel tipo di improvvisazione è propria della nostra cultura. Stavo spendendo un sacco di soldi per imparare qualcosa che in realtà mi apparteneva e allora mi sono detta: ‘vuoi vedere che in Sardegna ce la posso fare?’
Tuttavia, sei dovuta andare via per capirlo Certo, altrimenti sarei la tipica sarda incattivita. A New York, invece, ho avuto modo di capire che la globalizzazione ha fallito, perché non c’era spazio per le particolarità. Sono tornata in Sardegna, felicissima – dal momento che in nessuna parte del mondo ho mai avuto la qualità della vita che ho qua – e ho cambiato prospettiva. L’Isola che vedevo come un deserto è diventata terra vergine, fatta di enormi spazi vuoti. E chi può fare tutte le mille cose che mancano? Io, tu, tutti quelli che abbiano una buona idea. In questo deserto faccio il lavoro che avrei voluto fare fin da quando ero bambina, e che non avrei mai potuto fare a New York.
Credi sia stata una scommessa vincente? Credo di sì, anche se è necessario rivedere i propri bisogni. Mia madre mi aveva insegnato che per essere felici serve il posto fisso, perché mia mamma voleva la casa, ha lavorato come una matta per questo, per avere la sua casa gigantesca. Ma io ora mi chiedo: ‘Le tante donne che avevano quel desiderio sono consapevoli che hanno costruito una prigione grazie al tanto agognato posto fisso?’. Io non ce l’ho e questo mi permette di vivere l’oggi, mentre per domani… troverò una soluzione. Mia mamma, invece, ha sempre vissuto per il domani.
Di cosa abbiamo bisogno davvero? Di amore e amicizia, di un tetto, di qualcosa da mangiare. Tutto il resto è un di più che in molti casi è totalmente superfluo. Io ho rivisto i miei bisogni e li chiamo la mia religione.
E cosa dice la tua religione? Fondamentalmente, che è inutile spendere soldi per cose che non servono. Un po’ lo devo anche a mio padre: quando da ragazzina mi dava i soldi per andare a mangiare la pizza, cinquemila lire, mi diceva: “Queste sono due ore del mio lavoro”. E io le usavo per divertirmi. Cinquemila lire: come sono vecchia! (ride)
Ti senti vecchia? No, ma sento tutti i miei 33 anni e non tornerei indietro di mezzo secondo. Le donne che vorrebbero recuperare gli anni persi sono quelle che non hanno vissuto le loro tappe e sono ridicole. E mi fanno anche un po’ pena. Io non ho difficoltà a dire che gli ingredienti per un sabato sera perfetto sono: copertina, gatto e film. La vita mondana l’ho fatta, a suo tempo e con tutti i crismi. Adesso contano altre cose, come dice la mia religione appunto.
È stato molto difficile accettare il credo? La verità? Inizialmente sì. È stato un lungo percorso. Ho sempre avuto un grande senso del dovere e dopo la laurea ho passato dei mesi di grande depressione. Io avevo fatto tutto quello che mi avevano detto di fare, eppure non avevo avuto niente in cambio. ‘Devi laurearti presto’: fatto! ‘Devi prendere il massimo dei voti’: fatto! ‘Devi fare il master’: fatto! E cosa avevo ottenuto? Niente. Avevo due chance: o rimanere nella depressione o convertire la mia energia in qualcos’altro. E allora ho deciso di riprendere i miei sogni. Del resto, io non volevo fare il critico d’arte, volevo fare la cantante.
Cosa piace fare a Claudia Aru, oltre che cantare? Mi piace mangiare bene, in un bel posto, con gli amici. Adoro viaggiare, sono una viaggiatrice nata. Credo sia una delle più alte forme di conoscenza, arricchisce e migliora. Mi piace dividere la mia gioia con qualcuno di prezioso. Mentre non amo i vestiti di marca, mi taglio i capelli da sola, non bado troppo a queste cose.
Non ami i vestiti di marca, ma badi sicuramente al tuo look Credo che lo stile sia una questione di cultura e carattere, indipendente dal potere economico di una persona.
Cosa non sopporti? Le persone che urlano. Io sono convinta del fatto che chi strilla abbia dei problemi. È insicuro, non ha argomenti, quindi urla, prevarica. Strillare è un dispendio energetico potentissimo, chi urla torna a casa più stanco. Fa male, ti rende disfonico, la voce diventa brutta, dà fastidio e gli altri non ascoltano più. Pensa alle insegnanti di inglese e matematica: sono incubi, perché urlano moltissimo. E tutto questo è dettato da una respirazione sbagliata. Nasciamo con una respirazione diaframmatica bassa, respiriamo piano e incameriamo molto ossigeno. Crescendo e accumulando stress la respirazione cambia e da diaframmatica diventa polmonare alta, molto breve. Bisogna respirare correttamente, piano.
‘Stai calmo, respira’ non è una frase fatta insomma Per niente. Io ho dovuto lavorare tantissimo sulla mia respirazione, essendo figlia della cultura urlatrice. Mia madre è insegnante di italiano. A 22 anni mi operarono alle corde vocali. Urlavo troppo, ma non me ne ero mai accorta, vivendo in un contesto di urlatori. Mi dissero che per un mese avrei dovuto stare zitta e comunicare con un quaderno. Furono due le cose belle di quel periodo: intanto anche gli altri iniziarono a scrivere, per rispondermi. E poi, il silenzio mi permise di recuperare alcune buone abitudini come guardarsi negli occhi, toccarsi, abbracciarsi.
Sei una cantante impegnata nel sociale, attenta alla politica. Cosa pensi del femminismo? Credo che per bucare il muro di gomma della discriminazione serva un’incudine potente. Allo stesso tempo dico: beato il giorno in cui il femminismo non servirà più. Oggi ne abbiamo ancora bisogno. Non amo il tentativo di alcune branche del femminismo di arrivare ad una supremazia femminile, ricalcando il modello maschile che si intendeva contrastare. Non potevamo essere straordinariamente femmine, invece di diventare schifosamente maschi? A imitare un modello si diventa la caricatura di se stessi. E così abbiamo perso le nostre peculiarità, provando ad essere uomini. E ti dirò, certi comportamenti sono molto più tristi nelle donne che negli uomini. Gli uomini sono fatti in un certo modo, lo sappiamo…
E li abbiamo sempre criticati per questo. Perché imitarli? È quello che dico io. Donne, ma non ce la fate ad essere femmine? Siete così belle. A me piace essere femminile, ma so che parlo da una posizione, in un certo senso, privilegiata. Ho un marito fantastico. È un lusso che mi permette di fare la cantante e di occuparmi di politica. E di donne, in musica come in politica, non ce ne sono tante.
Per quale motivo, secondo te? Perché non hanno accanto uomini che glielo permettono. Le poche che fanno politica sono aggressive, violente, spigolose. Nessuna di loro parla di maternità, e questo mi fa pensare, a volte, che di donne in politica non ce ne siano proprio. Alle scorse elezioni regionali abbiamo assistito alla debacle della femminilità. I giornalisti hanno chiesto alle superstiti che look avessero scelto per la prima giornata in consiglio regionale. E loro hanno risposto.
Tu non avresti risposto? Certo, avrei detto qualcosa del genere: “Questo lo chieda a sua sorella, io vorrei parlare dei motivi che hanno portato alla mia elezione”. Quella domanda è offensiva. Una donna, in qualunque veste sia, è un oggetto sessuale. Però, devo dire con amarezza che a noi ci piace un po’, non siamo libere da questo stereotipo.
Quando passerà? Passerà quando le donne inizieranno ad avere più ruoli dirigenziali e non saremo costrette a dimostrare sempre qualcosa a un uomo, perché magari avremo una donna davanti. Penso che oggi più che mai ci sia tantissimo bisogno di maternità, il femminismo aggressivo ha distrutto il concetto di maternità. Le donne hanno il compito di forgiare il domani, è un incarico fantastico, come si può non volerlo? Per questo nei miei pezzi mi rivolgo spesso ai bambini.
Se tu avessi un figlio adesso come la prenderesti? Pensi che potrebbe conciliarsi con la tua carriera? Io voglio dei figli, mi sento mamma e spero di esserlo veramente. E credo anche che non ostacolerebbe il mio lavoro: chi ha detto che non posso portare mio figlio con me? Ma, come dicevo, buona parte della mia serenità è data dal fatto che so di avere accanto una persona sulla quale posso contare. Già oggi ci aiutiamo e ci completiamo: io non faccio la lavatrice da anni, ma in compenso amo stare ai fornelli.
E qual è il tuo piatto forte? Direi linguine vongole e bottarga. Ho sviluppato una grande creatività in cucina, grazie agli anni di indigenza universitaria. Per me è una grande ricompensa quando le persone mi dicono che è buono quello che ho preparato. Un vezzo molto femminile, certo.
Rinasceresti donna, potendo scegliere? Altre mille volte. È bellissimo essere femmina e io ne sono troppo felice. Siamo complesse, abbiamo il privilegio della maternità e una grande capacità emotiva. Comunque io ho una parte maschile molto sviluppata: risolvo tutto con un ‘beviamoci un bicchiere di vino’. ‘Rilassiamoci, qual è il problema? Partiamo in vacanza!’. Però, detesto le donne con le palle, le odio. Perché una donna che ha carattere deve avere elementi maschili? Io ho l’utero, non ho le palle, non le voglio avere e anche graficamente l’idea mi fa un po’ schifo.
Cosa bolle in pentola, cosa c’è nel futuro di Claudia? Un nuovo disco, in versione acustica con la nuova band. L’anno prossimo mi iscrivo al conservatorio, cosa che avrei voluto da tempo. E poi, un giorno, credo che aprirò un b&b in una bidda (paesino, ndr), con dietro un grande campo di fave (mio). E mi tingerò i capelli di verde.
* La Donna Sarda
Di cosa abbiamo bisogno davvero? Di amore e amicizia, di un tetto, di qualcosa da mangiare. Tutto il resto è un di più che in molti casi è totalmente superfluo. Io ho rivisto i miei bisogni e li chiamo la mia religione.
Straordinaria Claudia Aru !!A essercene tanti giovani come te!!