Sono ancora vivi gli echi carichi di emozione della serata che si è tenuta il 25 ottobre nella sede della nostra associazione culturale torinese Nosu Impari dedicata alla Poesia di Vincenzo Pisanu – autore della silloge “Is arrosas de Uras” – e allietata dalla Musica di Nicola Agus. I presenti hanno espresso pareri molto favorevoli, come Silvana D. che mi dice «Ne ho riportato delle emozioni positive, sono rimasta incantata. Una cosa che rimane dentro». «E’ stato coinvolgente!» mi dice Franco L. «Anche se sono pugliese mi sento più sardo perchè vado in Sardegna da trentasei anni, e devi esserlo un po’ come me per capire i riferimenti che fate, non facili, sempre alla tradizione». Antonella M. è fra le più commosse «Mi è piaciuto che abbia dedicato molte poesie soprattutto agli emigrati, mi ha emozionato, mi ha riportata a ricordi indietro nel tempo. Sono venuta via dalla Sardegna che avevo quindici anni e quando vi ritorno l’emozione c’è sempre, il rientro è traumatico». E’ in queste occasioni che ci si accorge dell’importanza che possono avere incontri culturali come questi che riannodano fili dello spirito alla memoria. Così Valentina M. può dire che le è piaciuto questo incontro perchè il poeta l’ha accompagnata a capire, sul filo di una lingua – variegata – che non vuole essere dimenticata, le cose del passato, gli affetti, come quello per la mamma, o la vecchia Zifola dimenticata. A distanza di qualche giorno ho avuto l’opportunità di continuare a colloquiare a distanza con Vincenzo Pisanu e confrontarci sull’esito della serata a cuore non più tanto caldo.
Una settimana dopo l’evento ho chiesto ad alcuni amici presenti le loro impressioni e ho raccolto in particolare un aspetto che le accomuna: il carattere universale delle sue poesie. “Is arrosas de Uras” racchiudono emozioni e vissuti di tanti di loro. E’ concorde a questa visione? Sì, concordo su questa visione, anche perchè nella raccolta “Is Arrosas de Uras”, Le rose di Uras, il “canto” per le donne emigrate del mio paese, Uras appunto, si universalizza perchè rivolto a tutte coloro nel mondo e non solo a loro. A loro in particolare, ma anche agli uomini di sempre che hanno dovuto lasciare le proprie radici e ai giovani d’oggi, e a quelli “di casa nostra” che dal Sud e dalla Sardegna hanno ripreso a migrare. In modo diverso di cinquanta anni fa, ma comunque con gli stessi desideri e le speranze di allora. Una vita migliore, una sistemazione per l’oggi e per il domani.
Certo, nelle pagine e tra i versi sono presenti situazioni comuni alle tante persone presenti alla serata. E quindi anche emozioni comuni per vissuti e percorsi di vita a cui in un modo o nell’altro sono rimasti legati. Portare con la sua poesia la Sardegna in “Continente”. Riscontra una diversità di approccio culturale e umano quando ha davanti delle persone che vivono lontane e che hanno vissuto sulla loro pelle quello di cui la sua lirica parla? Risponderò citando qualche tratto della mia stessa nota di presentazione contenuta in “Is Arrosas de Uras” e maturata proprio a seguito dei molteplici incontri letterari da me tenuti in Italia e in diversi paesi europei, in seno alle comunità dei sardi emigrati: “C’è un paese reale e un paese del cuore, quello che la memoria vuole conservare legando le immagini fissate ai suoni, alle parole, agli odori riposti nella memoria olfattiva, capaci di suscitare ogni emozione quando taluni di questi si possono ritrovare anche a migliaia di chilometri di distanza. Ed è per questo normale che si avverta la struggenza “del paese perduto”, pari a un amore perso, un amore lontano. Quelli che non tornano avranno sempre un amore lontano, “una madre che attende” e si porteranno dentro una “intima città senza amore”.
Sentire le poesie lette in limba sarda ha creato una viva emozione. L’ha percepita? Ne ha sentito un riscontro? Si, l’ho avvertito. Nel clima collettivo, nella espressione dei volti e nel luccicchìo degli occhi dei presenti. Ma ancor di più, in tante bocche dischiuse e non solo per approcciare un sorriso di gradimento. Colloquiavano con me in sardo… cun sa bucca appena appena scarangiàda, come ci è solito dire; con bocche tese quasi nello spasimo di proferir parole che silenziosamente intonassero il proprio sentire in lingua sarda. Parole nostre dunque, nell’insieme, in condivisione verbale e di anime. Inutile dire che tutto ciò da parte mia è percepito e vissuto come una dolce ruvidezza che fa vibrare le corde dell’anima, procurandomi emozioni che talvolta mi impediscono anche di continuare nella lettura. E questo avviene nonostante volta per volta mi riprometta di essere un po’ più freddo nel porgere i miei versi, ma… il cuore di noi sardi è caldo e… spesso, e sovente, va per conto suo. Siamo fatti cosi…