di Roberta Murroni
Il saggio L’emigrazione sarda in Argentina e Uruguay (1920-1960), difficilmente reperibile nelle librerie nazionali ma facilmente ordinabile tramite internet, è stato pubblicato nel 2006 per conto del Centro Studi SEA. L’Associazione Centro Studi sulla Sardegna e sui rapporti storici culturali, sociali ed economici con l’Europa e l’America Latina (SEA) si è costituita il 15 dicembre del 1998 e raggruppa un nutrito numero di ricercatori e studiosi sardi; ha al suo attivo una serie di attività di interesse storico e sociale e si occupa dello studio della storia, della società e della cultura sarda, dei rapporti dell’isola con l’Europa e l’America Latina, ed è proprio con questo volume che inaugura la seconda collana dedicata agli studi latinoamericani. Dal punto di vista formale, questo saggio sarebbe da considerarsi una raccolta di biografie di uomini sardi emigrati in Argentina dai comuni di Pabillonis, Guspini, Sardara e Serrenti, tuttavia il testo affronta il problema dell’emigrazione sarda tout-court, con ampi riferimenti al fatto storico in sé, quello della questione meridionale, di cui l’emigrazione isolana potrebbe considerarsi emblema, seppur avvenuta con un certo ritardo: "sos disterrados", i sardi emigrati e residenti fuori dalla Sardegna, sono ad oggi più di 500.000. L’intento del testo è di fornire un quadro completo del fenomeno migratorio,con particolare riferimento ai quattro comuni del cagliaritano; la ricchezza del saggio è da ritrovarsi nelle fonti iconografiche e nella raccolta di interviste, svolte dagli studiosi del centro SEA di Villacidro (Ca) il quale, sotto la direzione di Martino Contu, studioso e cultore della materia, pubblica questo testo all’interno di progetti culturali promossi dal medesimo centro. Le biografie contenute nel libro, storie individuali, diventano qui emblema di un movimento collettivo, quello dell’emigrazione sarda del primo dopoguerra; tale soluzione era divenuta scelta obbligata sia per chi si rifiutava di aderire al neo regime fascista sia per i giovani sardi con spirito avventuriero e, probabilmente, una prospettiva lavorativa e di vita non eccessivamente rosea: rappresentativo è caso di Sisinnio Mocci, giovane rivoluzionario antifascista nato a Villacidro, emigrato in Argentina nel 1927 per lavoro e, tornato in patria, trucidato alle Fosse Ardeatine nel 1944. I casi del secondo dopoguerra trattati nel saggio rappresentano invece lo sfogo generazionale ad un’insoddisfazione causata dalla crisi sociale ed economica, di cui Sardegna e Italia erano vittime: ecco che Argentina e Uruguay diventano "terra di speranza" e "frontiera immaginaria"; per molti altri emigranti, invece, le Americhe non sono state terre di speranza: alcuni di essi si sono visti costretti ad un ritorno nei comuni di origine, altri sono rimasti nei paesi che li avevano accolti senza aver però mai trovato la terra promessa a lungo agognata; più spesso, le condizioni di vita e di integrazione sono state difficili, anche a causa delle innumerevoli crisi politiche e dittature che hanno colpito Argentina e Uruguay nell’ultimo secolo. La storia di un sardo emigrato diventa la storia di tutti i disterrados, costretti dalla vita ad abbandonare il proprio luogo d’origine per costruirsi un’identità individuale oltreoceano. Nella maggior parte dei casi raccontati nel libro, le esperienze vissute da questi uomini, esperienze duro lavoro e sacrifici per uscire dalla povertà, non hanno minato l’identità culturale del singolo individuo e della collettività sarda: è stata questa la forza che ha permesso la nascita di molti circoli Sardi nelle terre di accoglienza. Le vite narrate sono parte di una storia ricca di sconfitte, di piccole conquiste e di enormi successi: i racconti ci arrivano dai migranti, dai loro figli e dai discendenti di quarta generazione, che nulla hanno perso di quella "sardità" tramandata dai loro avi e, a tutt’oggi, ancora viva nelle comunità d’oltreoceano.
MAX sei GRANDE… GRAZIE!
posso scrivere per voi, qualsiasi cosa?
tipo “racconto di una piccola carboniense alle prese con Milano”. Ne avrei da dire eccome, circa il fattore emigrazione.