COME LA FORZA DEL MARE … SALVATORE BANDINU, UN’ONDA IN MAREGGIATA, DI SPUMA E SALSEDINE

Salvatore Bandinu


di Valentina Usala

Classe 1969. Sardo di Cagliari, dove lavora presso un servizio educativo territoriale con minori, e  in piscina con persone affette da diverse tipologie e forme di disabilità. Dopo il liceo, si è diplomato ISEF e successivamente ha partecipato ad un corso di formazione svoltosi a Piacenza ottenendo la qualifica di idrochinesiologo. Qualche anno più tardi fu scelto dall’Unione Italiana Ciechi di Cagliari e mandato a Marina di Tirrenia, dove ha conseguito il titolo di  istruttore di nuoto e attività motorie per minorati della vista organizzato dall’  I.RI.FOR. Ho personalmente avuto modo di conoscerlo, durante una mia brevissima permanenza a Cagliari, in occasione di alcune mie presentazioni. Lì per lì a primo impatto può dare l’impressione di una persona eccessivamente seriosa. E’ serio, sì, ma contrariamente a quanto può sembrare, una di quelle persone estremamente piacevoli, che sanno trasmetterti serenità. Ama il mare, i fari, i castelli, i borghi medievali e i paesini di montagna: il suo nome è Salvatore Bandinu. Le sue giornate sono completamente pervase da impegni lavorativi, impegni che hanno a che fare con la fascia più debole della società. Perché lui è così, sa schierarsi sempre da quella parte. Convinto e fermo nei suoi precetti e concetti di vita. E’ inoltre scrittore e assieme ci addentreremo in un viaggio bibliografico per conoscerlo meglio. Corre l’anno 2009 e dopo l’esperienza a Marina di Tirrenia, scrive un manuale dal titolo “Acquaticità, motricità e minorazione visiva: il nuoto come strumento educativo, preventivo e integrativo” (Aracne editore). “Nella mia idea”, dice Salvatore, “questo libro vuole essere una sorta di bussola per chi, come me, si muove nel difficile mondo della minorazione visiva e dello sport in generale. E’ facile infatti imbattersi in articoli che sottolineino l’importanza del movimento per le persone affette da tale tipo di minorazione, il difficile invece e incontrare  libri che parlino non solo di prestazione ma anche di “integrazione” e “prevenzione” partendo dallo sviluppo psicomotorio.” Un anno dopo la pubblicazione di un nuovo libro, sempre inerente all’elemento acqua, fondamento impermeabilizzante nel quotidiano di Salvatore: nel lavoro e nella passione.

Una domanda sul tuo secondo libro.

Come nasce un volume sulla psicoacquaticità neonatale?

A Cagliari, presso l’associazione in cui lavoro, stavano nascendo i primi corsi neonatali e interessandomene chiaramente, oltre che all’aspetto pratico, ho iniziato a stendere appunti su appunti e così nel 2010 venne pubblicato “La psicoacquaticità: esperienze d’acqua nella primissima infanzia” sempre dalla casa editrice Aracne. Tieni presente però che il libro l’ho scritto circa quattro anni prima, proprio perché come ti dicevo, è constato di periodi di studio e annotazione.

Di specchio, parlando di lui, una domanda spontanea. Da quanto tempo collabori con Bruno Furcas?

Io e Bruno ci conosciamo da circa dieci anni. Abbiamo iniziato a collaborare negli anni in cui ho lavorato all’Istituto Penale Minorile di Quartucciu e lui in parallelo in una centro educativo. Colleghi di lavoro sì, ma discutendo assieme ci siamo ritrovati perfettamente in sintonia in merito al modo di vedere il concetto di educazione. Dopo questa prima esperienza, nascerà dalla passione comune per la letteratura, l’idea di scrivere un libro a quattro mani.  

“Boati di solitudine” (Arkadia Editore, 2010), sarà il primo scritto tra loro due. Circa questo volume, per aprir una parentesi, è stato creato un progetto condotto dagli Istituti superiori “Peano” (Tortona), “Levi” (Quartu S. Elena), “Piga” (Villacidro). Progetto avente come tematica la detenzione minorile, organizzato in collaborazione anche dell’IPM di Quartucciu e Le Vallette di Torino, battezzato con il nome  “Oltre le sbarre”. Salvatore dal 1995, come già detto prima, lavora come animatore socioculturale e psicomotricista presso un servizio educativo territoriale per minori con gravi problemi. A tal proposito, masticando quotidianamente il mondo dei giovani, mi sorge una domanda. Come vedi il mondo dei ragazzi?

Lo vedo disorientato. Senza modelli, radici e soprattutto senza punti di riferimento da seguire. Sono giovani plagiati da modelli pubblicitari a fine commerciale. Come se fossero dei surrogati dei bisogni primari, proprio perché sono consumatori malleabili. Come dicevano gli antichi romani? Divide et impera? Ai giorni nostri utilizzerei una formula simile dicendo “Confondi e vendi”. Ecco, questo è il mio giudizio.

Nel 2012, sempre assieme a Bruno Furcas, pubblicherà “I dolori del giovane bullo. Disagio e adolescenza ai tempi dei social network” (Arkadia Editore). In questo volume gli educatori propongono “una lettura del fenomeno in chiave particolare, cercando di focalizzare quali siano le caratteristiche del “bullismo”, quali gli strumenti per prevenire questa piaga sociale, come intervenire e in che modo ragionare sugli strumenti operativi”. Su questo libro hanno studiato alcune scolaresche delle scienze umane del liceo “G.Peano” di Tortona, portando il loro lavoro scritto e non, in termini di apprendimento morale, al Salone del libro nel 2013. Occasione in cui i ragazzi hanno avuto modo di conoscere l’autore letto durante l’anno scolastico, con cui hanno presentato il libro, sotto la vigile attenzione seppur a distanza, del co autore Bruno Furcas.  E’ il 2008 e Salvatore decide di intraprendere una di quelle esperienze introspettive che richiedono la giusta predisposizione interiore, affinché si possano respirare a pieni polmoni e disporre in serie, per poterne diventare parte concreta. Parte per l’India, direzione Calcutta. Là ogni sera, rientrando nella sua stanza d’albergo, ha buttato su carta il vissuto della giornata, di ogni giorno, creando così un diario vero e proprio. Emozioni vissute, che una volta rientrato prenderanno una forma, fatta di pagine, il cui nome è  Sotto i ponti di Yama. Calcutta: il lato oscuro dell’India moderna” (Arkadia Editore, 2012). Un libro di quelli che va sorseggiato riga per riga, nella sua complessa descrizione di un microcosmo, da guardare col cuore. La quarta di copertina lo sintetizza così: “La perversa logica della globalizzazione e i suoi devastanti effetti, riscontrati direttamente sotto i ponti di Calcutta, la moderna Kolkata, offrono all’autore l’occasione per una riflessione fuori dai soliti schemi pietistici o miracolistici. Un viaggio nell’India di Gandhi e Madre Teresa, in quella descritta da Tiziano Terzani, Hesse, Pasolini, Moravia, Lapierre. Ma anche l’India del popolo della strada e dei suoi silenziosi ma acuti tormenti, dell’Hi-tech, di Bollywood, delle grandi multinazionali e dei suicidi di massa dei contadini. Un lucido cammino attraverso l’indian dream contrapposto a quello della più sordida miseria, dove folle di mendicanti, senzatetto, persone denutrite, portano avanti, giorno dopo giorno una sistematica lotta per la sopravvivenza. Un libro per tutti coloro che nei supplizi e nei rantoli dei dannati della terra non identificano una precisa volontà divina, ma individuano una specifica, responsabile e scellerata scelta umana.” La tua esperienza in India: quello che non hai mai detto.

A Calcutta la vita e la morte sono presenti nell’aria con la stessa intensità. Qui da noi non è così. Abbiamo eretto un muro, una cortina impenetrabile tesa ad allontanare quanto più risulti possibile questo binomio. Non l’ho mai detto prima, ma questa è la sensazione che più mi manca dell’India. Non so quando, ma il mio desiderio è tornarci.

Sempre nel 2012 prende parte all’antologia “La cella di Gaudì. Storie di galeotti e di scrittori” (Arkadia Editore), dodici scrittori per dodici detenuti. E’ l’occasione in cui conosce la storia di Collins Igbinoba, il ragazzo di cui avete già letto qui su Tottus in pari: della sua lotta alla dignità di essere umano, sostenuta dalla supervisione dello scrittore Salvatore Bandinu, che ha adottato durante l’incontro alla colonia penale di Isili. Il suo più recente contributo alla letteratura, è una prefazione del libro “Storie di bulismo. Dieci racconti e dieci giochi di gruppo per promuovere il benessere scolastico” (Arkadia Editore, 2013) scritto da Bruno Furcas in collaborazione con lo psicologo Stefano Porcu. Durante l’estate scorsa, in collaborazione con l’attore teatrale Davide Grosso unirà in una serata di solidarietà, amici e  non, per urlare assieme in nome della pace “No, alla guerra in Palestina”. Hai altri libri in cantiere?

A dirti la verità sì. E’ un volume che si approccia all’India che ho vissuto.  Uno scheletro c’è, ma come dico sempre, per scrivere ci vuole tempo. Particolare che la quotidianità che vivo non mi concede nella quantità di cui avrei bisogno.

I tuoi scrittori preferiti?

Amo leggere. Questo è indiscusso. Fare una cernita di autori preferiti mi mette in difficoltà, ma ti cito quelli che forse in qualche modo mi hanno colpito per quel che scrivono, ma soprattutto per come lo scrivono. Hermann Hesse, per il senso di inquietudine e il senso di ricerca interiore e poi il sociologo Zygmunt Bauman: nel leggerlo ti rendi conto che lui ha capito come gira il mondo. E’ davvero illuminante.

Tre aggettivi per descriverti

Bella richiesta! Mi trovi in piena difficoltà! Un minuto per pensarci…credo che la caratteristica che più mi si addice è l’essere curioso; poi sono testardo e socievole. Dal mio canto mi viene da aggiungere, così come aveva fatto Vito Biolchini dicendo: “Salvatore è una di quelle persone che mi ha insegnato che la solidarietà è una cosa concreta”, lo qualificherei come una persona sì solidale ma anche altruista. Una di quelle persone che credono nel bene dell’aiuto verso il prossimo. Una persona che non stenta a tendere la mano, anzi si pone in prima linea, ma con una particolarità: la prima linea dietro le quinte. Poiché conosce il bello dell’aiutare, ma senza chiedere nulla in cambio.

Come vede Salvatore Bandinu il futuro della sua Sardegna?

Ahia! Altra bella domanda. Credo che nella mia terra ci siano da una parte risposte positive, ma allo stesso tempo esistono forze conservatrici che rimandano inevitabilmente ad una chiusura. Uno strano rapporto di ambivalenza, fatto di campanilismi e interessi personali, contrapposti a interessi comuni per tutti. Vedo i sardi una popolazione divergente: ovvero non converge su punti che a parer mio, per come il sardo ama la sua terra, dovrebbero insistere tutti quanti. Mi concedo a tal proposito una domanda. “Come non vorrebbe vedere la sua Sardegna Salvatore Bandinu?” Non voglio che diventi una colonia: una terra in cui gettare rifiuti e bombe.

Conosci il mondo dei sardi emigrati?

No, purtroppo non ho esperienze vissute all’interno dei circoli sardi fuori dalla Sardegna. Conosco a grandi linee l’impegno che applicano nel mantenere vive le tradizioni della Sardegna e con quale nostalgia lo fanno. Considero i sardi emigrati, molto più sardi dei sardi residenti. Credo che facciano rivivere con grande dote quel che hanno lasciato, in cerca di una posizione migliore oltre il mare. L’unica esperienza che ho vissuto, che in qualche modo mi ha fatto provare cosa voglia dire essere sardi fuori dalla propria terra, risale ai periodi della leva militare, dove ho stretto da subito amicizia con compagni sardi. E’ una calamita che si attrae, a prescindere dal luogo sardo di provenienza. Il sardo si coalizza e credo che sia un’esclusiva del tutto sarda.

Un grazie a Salvatore Bandinu per le sue dichiarazioni e questa intervista rilasciata a Tottus in pari. Ho ritenuto importante creare un articolo sulla sua persona, per quanto possa valere un pezzo prodotto di mia mano, perché credo che persone come lui debbano essere valorizzate in toto. Per l’impegno con cui affrontano il quotidiano, per come si danno al prossimo. Se Vito da lui ha appreso il concetto di solidarietà, io posso considerarlo una sorta di mentore da cui attingere, non solo grazie ai suoi libri. Ha saputo insegnarmi aspetti della vita, che spesso si sottovalutano, ma sono quelli che allo stesso tempo ti fanno crescere. Una fortuna averlo conosciuto per puro caso. Per essere buoni cittadini, bisognerebbe attingere dal meglio.

Salvatore Bandinu è questo.

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2 commenti

  1. GRAZIE MASSIMILIANO… E GRAZIE VALENTINA… E UN PENSIERO SPECIALE A TUTTI I SARDI “SPARSI” PER IL MONDO CHE VIRTUALMENTE ABBRACCIO FORTE…TOTTUS IN PARI…

  2. Salvatore, se non lo avessi visto potrei pensare a una creatura immaginaria, è così bello e bravo che si stenta a credere che sia vero.

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