di Marzia Nicolini
“Mentre mia madre moriva, io piano piano perdevo, insieme a lei, anche le braccia e le mani che mi sostenevano e mi accompagnavano ovunque”. Lei è ballerina e pittrice. Dipinge usando il piede o la bocca e danza senza braccia. Simona Atzori, 40 anni, è nata così, senza le braccia, ma grazie a due genitori pieni di attenzioni e forti come rocce e a un carattere per natura positivo, ha sempre vissuto la sua condizione come la sola possibile. Il suo modo di vivere, che non l’ha mai limitata, ma anzi, l’ha spronata a seguire i suoi sogni, le due arti che più le permettevano di esprimersi. Oltre alla danza e alla pittura, Simona ha scoperto di recente un altro modo di raccontarsi: la scrittura. Dopo il fortunato esordio con “Cosa ti manca per essere felice?” (Mondadori, 2011), dal 23 settembre torna infatti in libreria con “Dopo di te” un ritratto caldo ed emozionato di sua madre e di quello che ha significato perderla, l’anno scorso, per un beffardo e fulmineo tumore. Un tema intimo e personale, ma che diventa anche dramma universale: perché figli lo siamo tutti e quando un genitore se ne va il “dopo” che segue è una lunga strada da percorrere. Tanto più quando si vive una disabilità, mentale o fisica, come nel caso di Simona. Tra ricordi dell’infanzia e lezioni di vita, ecco cosa ci ha raccontato.
Simona, tu sei nata senza braccia; puoi raccontarci com’è stata la tua infanzia? Questa condizione fisica è da sempre l’unica prospettiva dalla quale ho imparato a vivere le cose, quindi, anziché considerarla una disabilità, ho avuto la fortuna di avere due genitori che fin da subito hanno compreso che potevamo renderla semplicemente il nostro modo di essere. Il mio, ma anche il loro, perché in fondo era ed è la nostra vita. È così che ho vissuto la mia infanzia. In maniera molto serena, molto semplice, partendo dal fatto che i miei genitori, dopo lo shock iniziale che il non aver le braccia ha portato – e questo non lo si può nascondere –, si sono focalizzati non sulla mancanza, ma sulle opportunità che questa esistenza ci avrebbe dato. Senza sapere quali sarebbero state, ma curiosi di scoprirle senza precludersi. Insieme abbiamo fatto tante scoperte e io di questo loro atteggiamento ho fatto tesoro.
Esce il tuo secondo libro, “Dopo di te” (Mondadori). Cosa puoi raccontarci di questo progetto editoriale? Il mio libro è tutto incentrato sulla figura di mia mamma: sono partita a raccontare dal momento in cui abbiamo scoperto che aveva un tumore, arrivano fino all’anno successivo, in cui, alla Vigilia di Natale, ci ha lasciati. Era un anno fa, quindi si tratta di una ferita ancora molto fresca. “Dopo di te” vuole essere il racconto intimo di questa sua ultima fase di vita, ma ho voluto anche ripercorrere degli anni del suo e del nostro passato. Ho toccato temi che ci coinvolgono tutti: dall’essere bambina, al sentirsi figlia, allo stare in famiglia. Ho cercato di riportare ogni sfaccettatura della nostra vita quotidiana, con le sue difficoltà, cercando di sottolineare la figura di una donna – mia madre – che non si è mai arresa di fronte alle difficoltà, che ha scelto di non abbattersi, nè quando sono nata io, nè quando ha dovuto affrontare la sua malattia. Mia mamma ha sempre voluto a credere fortemente nella vita ed è così che mi ha dato tutti quegli strumenti necessari per affrontare il “dopo di te”, una condizione che riguarda tutti i figli.