di Martina Marras *
Nell’arte non ci dovrebbero essere aspettative. Io non voglio avere limiti e mi piace farmi influenzare da tutto. Vorrei che la gente mi seguisse come artista e non perché faccioquel genere. Per come la vivo io, stare fermi non giova né all’arte né a se stessi”. Elisa Bee, classe 1985, è una dj e producer sarda. Nata e cresciuta ad Alghero, anima le serate di tutta Italia. Il suo ultimo Ep,Found & Lost, propone tre tracce eterogeneamente omogenee, in perfetto stile Elisa. Tra mixer, radio e cartelle piene di musica, le sue giornate sono dedicate alla sua più grande passione.
Elisa, in che cosa consiste, precisamente, il tuo lavoro? Mi occupo solo di musica. Lavoro in radio, ma non faccio la speaker: è un lavoro molto tecnico, di produzione dello show, quindi la mia voce non si sente mai. Lavoro in studio e il mio programma, Babylon, va in onda su Radio 2 Rai. Come dj porto in giro, in tutta Italia, la musica che mi piace. E poi produco musica elettronica abbastanza varia, con tutte le diverse strumentazioni per farla, dal computer alle tastiere, ai campionatori.
Quando nasce il tuo amore per la musica e in particolare per quella elettronica? Nasce da quando nasco io, è da quando sono nata che sono appassionatissima. Prima di entrare all’università ho passato qualsiasi fase, dall’hardcore, al punk, al reggae – che mi piace tuttora, ma a me piace tutta la musica – finché non ho capito che mi attraeva molto la figura del dj, che da solo, davanti alla gente, gestisce la serata e decide con chi ascolta il mood della festa. Da lì ho iniziato ad appassionarmi di musica elettronica, perché facendo i dj-set era la cosa che mi divertiva di più suonare. È stata la mia ultima fase ed è quella che sta durando più a lungo.
Quando hai iniziato a fare la dj? Sette anni fa ormai. Nel 2007 mi sono laureata in architettura, alla triennale. Avrei dovuto continuare con la specialistica, ma non era la strada per me. In realtà mi sono laureata più che altro per fare un favore a mia madre che ci teneva tanto e mi diceva che dovevo laurearmi, mentre io avrei voluto fare tutt’altro. Ma sappiamo come vanno queste cose e come la famiglia può vedere una ragazza che vuole fare questo lavoro, no? Oltretutto, io sono sempre stata bravissima a scuola, ho fatto il classico con ottimi voti e in questo senso forse ho un po’ viziato i miei genitori che immaginavano sarei diventata un architetto o qualcosa del genere. Invece dopo la laurea ho fatto un lungo viaggio da sola in Oriente, ho avuto modo di riflettere, di guardarmi allo specchio, come si dice. Quindi, quando sono tornata ho iniziato a fare dj-set, prima in Sardegna e poi a Milano, dal 2009. Per farlo diventare un vero lavoro me ne sono dovuta andare.
Cosa manca in Sardegna, rispetto a Milano, da questo punto di vista? Io suonavo principalmente ad Alghero e Sassari: il problema, qua, è che si vuole tutto senza investire un euro. A Milano la politica di gestione dei locali è completamente diversa, si cerca di offrire un servizio di qualità, investendo per organizzare una serata che attiri il pubblico. In Sardegna, soprattutto nella mia zona, non è così. I gestori vogliono il locale pieno, spendendo zero. Per contro, però, con il fatto che a Milano c’è tutto, dal concerto al dj-set di qualsiasi genere, il pubblico sembra sempre un po’ svogliato. L’atteggiamento è quello del ‘si vabbè, questa cosa l’ho già vista’. Il pubblico sardo, più vergine musicalmente parlando, ha voglia di lasciarsi andare e si fa coinvolgere. Quando suono ad Alghero noto questo. Dal punto di vista organizzativo, chiaramente, non c’è paragone, ma la cosa positiva è il contatto con il pubblico.
Come scegli la musica per un dj-set? Quando sento qualcosa che mi piace lo seleziono, lo metto in una cartella apposita. Prima di una serata lo riascolto e vedo con quali altri pezzi potrebbe andare bene. Poi, in serata, mi faccio trasportare dal mood, dalle vibrazioni che mi dà la gente. Non costruisco mai troppo a priori. È importante andare a sentire i grandi dj, quelli più bravi di te, impari sempre tanto sia a livello di tecnica che a livello di gusto. E poi, ovviamente, tenersi aggiornati. Il mondo musicale è estesissimo, esce un pezzo al secondo ed è difficile trovare cose belle, ce ne sono talmente tante che è complicato cercare e scremare.
Quanta musica ascolti durante il giorno? Tanta, da quando mi sveglio a quando vado a letto. Direi molte ore al giorno. Quando devo produrre ascolto pezzi per ispirarmi, alla radio ascolto musica, per preparare il dj-set pure. In macchina metto subito la radio e poi parto. Diciamo che non ascolto musica, al massimo, quando faccio la spesa.
Due mesi fa è uscito il tuo Ep, Found&Lost: raccontaci questo lavoro Come ho detto ascolto tanta musica, sono influenzata da mille cose diverse e non voglio incanalarmi in un settore, non voglio che si dica:Elisa fa questo o quell’atro. Produco pezzi abbastanza diversi fra loro e l’Ep rispetta questa logica. I tre pezzi di Found&Lost, infatti, sono stati prodotti in momenti diversi e con tecniche diverse, ma mi piacevano insieme. Inizialmente l’Ep doveva uscire con un’etichetta grossa, ma volevano stravolgere il progetto, quindi ho lasciato perdere. Non sentivo più i miei pezzi, sembrava che li avesse fatti chi voleva cambiarli e allora ho deciso di farli uscire in free download sui miei canali, perché volevo che fossero disponibili per l’estate.
La prima cosa che colpisce è senza dubbio il titolo. Proponi un’espressione comune, ma inverti le parole, stravolgendo il significato: come mai? Finalmente qualcuno me lo chiede! La frase solita, Lost and found appunto, spiega, ottimisticamente, che se si perde qualcosa, poi, è possibile ritrovarla. Mentre a me capita, soprattutto con questi tempi veloci, di trovarmi e perdermi. Mi sembra, in un momento, di aver risolto un problema e poi mi perdo. E vale anche per le cose materiali: sul mio computer trovo un file, ma ne ho talmente tanti che alla fine li perdo.
Il mondo dei producer è a prevalenza maschile. Nella tua carriera hai incontrato difficoltà imputabili al tuo essere donna? No, nessuna difficoltà. Perché non mi piace la distinzione. Nell’idea che ho io siamo tutti uguali. Io sono una collega come gli altri. La logica delsono donna, mi aiutate? non mi va affatto. Per questo non ho mai evidenziato, né sfruttato il fatto di essere donna. Tra le altre cose ho sempre avuto amici maschi, mi relaziono in maniera molto più facile con gli uomini.
Com’è vivere occupandosi di musica? Incerto, difficile. Non hai mai una sicurezza. A livello economico è complicato, un po’ insidioso. Di solito si tira a campare con le serate. Tuttavia, non potrei mai fare un lavoro standard, ma nemmeno uno in cui qualcuno mi gestisce, perché non ho quel carattere. Quindi preferisco avere un futuro incerto e svegliarmi la mattina con il sorriso. Sono felice: la musica unisce cose che non ti aspetteresti mai. Mi sono ritrovata in serata con gente assurda. Sono diventata amica di Tommy Lee dei Motley Crue (ex marito di Pamela Anderson, ndr). Per me è un mito vivente ed è stata una cosa incredibile. La musica è un mezzo molto potente che riesce a farti girare e conoscere gente, in maniera bella.
Ti piacerebbe tornare qua? Se ci fossero le condizioni sì, anche se resterebbe il problema logistico, vivere circondati dal mare vuol dire prendere un aereo in più. Ma non nego che la mia terra mi manchi. C’è la mia famiglia. Sono di Alghero e qui che ho vissuto e il mare mi piace, mi manca tantissimo come presenza, nella quotidianità. Amo la Sardegna e preferirei di gran lunga fare un giro qua, nel mio giorno libero, e non a Pavia.
Come vedi il tuo futuro? In evoluzione. Da quando ho iniziato ad oggi ho sempre fatto qualcosa di più, quando mi guardo indietro dico: ‘Ah, prima ero là e adesso sono qua’. Questo mi piace.
Se non avessi fatto la dj, che avresti fatto? Mi sarebbe piaciuto avere un gruppo e cantare, ma la natura mi ha privato di questo dono, ed è bene che io non canti. Sarebbe stato bello fare la giornalista musicale, intervistare gli artisti. Anche la radio è bella, sebbene io non la viva come speaker. Oppure, cambiando completamente ambiente, mi sarebbe piaciuto fare la parrucchiera. I lavori legati all’estetica mi piacciono, magari avrei potuto fare anche quello, chi lo sa.
Di sicuro non l’architetto? No, penso proprio di no. Quando feci il test di ingresso per l’università mi dissi: “Se mi prendono è destino, devo fare questo”. Perché mi ispirava come lavoro creativo: costruire, risolvere sempre problemi diversi. Poi, quando mi ci sono trovata dentro e ho assaporato gli aspetti tecnici, volevo morire. Non fa proprio per me.
Che pezzo dedicheresti alla donna sarda. Il mio, We bang. Ma non solo perché è mio: la ragazza con cui l’ho fatto è un’artista svedese ed è una di quelle femministe super girl power.
E tu che opinione hai del femminismo? Credo che spesso faccia rima con auto-ghettizzazione. Per me o sei bravo e una cosa la sai fare oppure no. A prescindere dal fatto che tu sia uomo o donna. Contano le capacità, non il sesso. Se ho bisogno di un collaboratore, chiamo chi è più bravo perché prediligo chi sa fare le cose. Questa è la mia posizione.
* La Donna Sarda