LA STORIA DEL TEATRO SAN MARTINO DI ORISTANO, GIOIELLO LIBERTY DEL 1874


di Gian Piero Pinna

Il Teatro San Martino di Oristano, venne ufficialmente inaugurato il 3 gennaio 1874, a farlo costruire fu un ricco nobile oristanese don Enrico Spano che pare abbia incarico Gaetano Cima (1805 – 1878), celebre architetto  di origini piemontesi, di progettarlo. Cima studiò a Roma, ma operò per tanti anni a Cagliari, dove insegnò architettura nella locale Università. Il teatro ubicato in pieno centro storico di Oristano, nell’attuale via Ciutadella di Minorca, fu edificato in stile neoclassico, con la consueta sequenza di paraste raccordate superiormente da un fregio timpanato e poteva ospitare circa quattrocento spettatori. L’interno, elegante e ovattato, a forma di ferro di cavallo, con galleria e loggione, aveva anche quattro minuscoli e armoniosi palchetti decorati, riservati alle autorità. Nella platea c’erano comode poltroncine rivestite di velluto vermiglio, dello stesso colore del sipario che celava il palcoscenico, all’occorrenza potevano essere rimosse, per trasformare l’ambiente in un salone per feste. Per sfruttare economicamente il locale, lo Spano fondò un sodalizio culturale denominato “Circolo San Martino”, in modo da poter promuovere iniziative che potessero dare lustro alla città. Agli inizi, il locale prese il nome di “Politeama San Martino” e ospitava esclusivamente compagnie teatrali e musicali, che mettevano in scena operette, commedie e spettacoli vari, per allietare le serate degli oristanesi, ma le spese eccessive, sfiancarono le casse del nobile, sulle cui spalle pesava quasi per intero l’onere finanziario dell’intrapresa, e lo portarono inesorabilmente al tracollo economico. Con l’avvento del cinema muto, ci fu una riconversione del locale in sala cinematografica, a cura dell’allora amministratore Cubeddu e nel 1922, venne completamente restaurato e abbellito con elegantissimi stucchi, ad opera del decoratore oristanese Francesco Serra, padre del defunto preside dell’Istituto Tecnico “L. Mossa”, Aurelio Serra. Seguendo le mode artistiche dell’epoca, il Serra adotto, per gli interni, soluzioni decorative che conferirono alla platea un grazioso aspetto liberty. L’ultimo imprenditore che ebbe in gestione il Teatro San Martino, fu il mitico Giò Maria Ibba, che aveva anche altre sale cinematografiche in città.

Attualmente, è di proprietà del Comune di Oristano, che lo ha acquisito al patrimonio cittadino e fatto restaurare con risultati non proprio esaltanti.

Tra alti e bassi, spettacoli teatrali, commedie e film, diversi personaggi, transitarono nel Teatro San Martino, come la compagnia di A. Carraro e quella del Polidoro. Fra le persone che ebbero una certa notorietà internazionale, possiamo annoverare anche Primo Carnera, ex campione del mondo dei pesi massimi di pugilato, che a fine carriera, per poter campare, era costretto ad esibirsi in spettacoli di lotta libera di infimo livello, al solo scopo di attirare spettatori, visto anche il richiamo che ancora esercitava il suo nome.

Le assi del palcoscenico del Teatro San Martino, furono calcate anche dal grande tenore oristanese Maurizio Carta, che aveva un vasto repertorio di pezzi d’opera e di canzoni leggere, ma non disdegnava neanche di cimentarsi nella canzone sarda. Naturalmente, nel teatro San Martino, si esibì anche la compagnia teatrale di Antonio Garau, che vi mise in scena le sue famose commedie in vernacolo. Per fare da colonna sonora ai film del cinema muto e per allietare gli ospiti delle feste, vi suonavano spesso tre baldi giovanotti che rispondevano ai nomi di Giovanni Fodde (chitarra), Paolo Brovelli (mandolino), Antonio Cadeddu, noto “S’impedradori” (chitarra), ma spesso vi suonò anche il mitico Antioco Delugas, noto come “Antiogu su tzruppu”, perché era un non vedente. Nonostante la menomazione fisica, pare che il Delugas fosse un musicista di grande talento, ma anche se aveva solide basi musicali, derivategli da un diploma in pianoforte, che era il suo strumento preferito, ebbe scarsa fortuna. Nelle sue performance, non disdegnava la fisarmonica, che ha continuato a suonare fino a tarda età, quando ormai il cinema sonoro gli aveva precluso la possibilità di esibirsi in teatro e si limitava ad esercitarsi con lo strumento, nella sua rivendita di merceria varia, posta all’inizio della discesa di “Portixedda”. Nel periodo bellico, il locale fu frequentatissimo dai militari americani, durante le serate danzanti che vi venivano organizzate, specialmente nel periodo di carnevale, mentre la domenica si registrava sempre il pienone di studenti, servette e soldati in libera uscita, grazie al nuovo genere di film che cominciavano ad arrivare dagli Stati Uniti e che tanto piacevano ai giovani di allora.

L’ultima persona che dimorò nello stabile, perché ne era il custode, ma fungeva anche da factotum e provvedeva ad attaccare le locandine dei film e a sbrigare le commissioni, fu l’oristanese Antonio Mele.

Verso la fine degli anni Cinquanta le proiezioni cessarono e per un certo periodo, lo stabile venne adibito a magazzino, oggi è stato finalmente restituito alla città.

Il progetto esecutivo, ha preso l’avvio quando era sindaco di Oristano Antonio Barberio, che fece di tutto per restituire alla città una struttura che ha fatto la storia di Oristano negli ultimo centocinquanta anni.

Così si espresse  Pietro Schintu, nato a Oristano nel 1913, parlando dei suoi ricordi giovanili del teatro: “La prima volta che vi entrai, fu quando avevo dieci anni e frequentavo le elementari, perché le insegnanti ci avevano portato li, ad assistere a una recita organizzata per le scuole. Un’altra cosa che mi ricordo molto bene e che rimase a lungo nella memoria degli oristanesi, fu una colossale rissa, alla quale assistetti dal loggione, quando avevo poco più di diciotto anni. La grande scazzottata fu scatenata dal comportamento di una decina di romani, che si trovavano in zona per eseguire dei lavori, i quali, intervenendo ad una  delle tante feste danzanti, che si organizzavano nel locale in periodo di carnevale, assunsero atteggiamenti poco ortodossi con le ragazze del posto, che scatenarono la reazione dei loro giovani accompagnatori, coinvolgendo poi tutti i presenti. In tutta la mia vita non ho mai visto una cosa simile e non finì li, perchè i giovani romani furono inseguiti anche fuori dal locale e le botte ripresero in piazza Eleonora”. Bruno Brovelli, figlio di uno dei musicisti che, con le orchestrine, suonava nelle feste danzanti del Teatro San Martino, così ricorda il locale: “Io ho fatto appena in tempo a conoscerlo come cinematografo e come locale per feste danzanti, perché cessò l’attività quando ero ancora ragazzino, ma mio padre me ne parlava spesso, anche perché vi suonava spesso con le varie orchestrine che si esibivano durante le serate mondane. Con altri due amici, formava un trio molto affiatato e le loro esibizioni, non mancavano di riscuotere un certo successo, specialmente nell’immediato dopoguerra, quando una nuova voglia di vivere e divertirsi, aveva invaso gli oristanesi. I suoi strumenti preferiti erano il mandolino e la tromba, che suonava anche nella banda musicale cittadina e in occasione della Sartiglia, per dare il via alla partenza dei cavalieri durante la corsa alla stella e alle pariglie. Ho sentito dire anche che l’interno fu restaurato dallo scultore Francesco Serra. Era proprio un piccolo gioiellino liberty, che i vecchi oristanesi ricordano con grande nostalgia”. 


											
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