di Sergio Portas
Al circolo della stampa di Milano, una delle iniziative del circolo culturale sardo retto da Pierangela Abis: la presentazione del libro di Jacopo Onnis, giornalista televisivo e regista e redattore nella sede Rai della Sardegna, dedicato a Peppino Fiori. Undici anni dalla sua morte. E chi era costui, diranno i ragazzi che oggi hanno venticinque anni o giù di lì e fanno il tifo per Matteo o Beppe, aspettando lo spettacolo politico di un nuovo “streaming” che li veda incrociare sberleffi e contumelie? Dice il titolo del libro: “Il coraggio della verità. L’Italia civile di Giuseppe Fiori”, CUEC Editrice. Con l’autore, cagliaritano del ’47, ci sono Franco Siddi segretario generale dei giornalisti italiani, Giovanni Negri presidente dei giornalisti milanesi, lo scrittore e giornalista Roberto Casalini e Tonino Mulas l’unico a non avere in tasca la tessera dell’ordine, ma non ne sono sicuro al 100%, che anche lui ha scritto libri e articoli da sempre pur occupandosi nel mentre dei sardi della diaspora. Alla loro testimonianza orale si sommano gli scritti del libro in questione, quanto di più prestigioso vi sia nel campo della politica (Rodotà, Rossanda, Macaluso), lo spettacolo (Arbore, Lizzani), la letteratura (Murgia, Giacobbe), il giornalismo (Furio Colombo,, Ajello). Gli è che Peppino Fiori, Giuseppe è nome d’arte come specifica Manlio Brigaglia a pag.21, ma ogni tentativo di far cambiare opinione a Giulio De Benedetti onnipotente direttore della “Stampa” di Torino : “Mai diminutivi in un giornale serio”, fu inutile, per un decennio rimase al centro della comunicazione socio politica nazionale: forse il primo anchorman (leggi conduttore televisivo dotato di grande carisma) prodotto dalla televisione italiana. Per arrivare ad essere il vice di Andrea Barbato al TG2 ne aveva dovuto fare di gavetta nei giornali sardi, lui che veniva da Cuglieri (in realtà era nato a Silanus nel 1923) primogenito dei sette figli del maresciallo dei Reali Carabinieri Antonio Fiori, di Cuglieri era la mamma signora Mimmia (che sarebbe Giovanna Maria). Liceo classico dai Salesiani a Cagliari, maturità brillante e iscrizione a Giurisprudenza. Ma c’era la guerra e a Cagliari sperimentò amaramente il caos e la paura dei bombardamenti nel febbraio del ’43. Nel ’51 è giornalista professionista all’ ”Unione Sarda” , se ne va nei primi anni Sessanta insofferente della linea editoriale “sdraiata a destra”, e approda a Radio Sardegna come redattore del “Gazzettino sardo”. Scrive in un paio d’anni prima “Sonetaula” e poi “Baroni in Laguna”. Due libri diversissimi per trama e composizione, il secondo ripubblicato da Laterza assieme a “La società del malessere” (prima edizione 1968) nel ’77. Sentite come inizia (mi verrebbe da dire come canta): “Il paese dei miei è sulla costa occidentale sarda, a mezza collina, dai terrazzi si vede il mare. Arrivandoci, lo si scopre all’improvviso dopo una curva. Tutt’intorno la campagna è un balenìo, pare un volo di farfalle, sono ulivi traversati da luce radente. In cima, la basilica di Santa Maria della Neve” (pag. IX). Di “Sonetaula” Salvatore Mereu farà un film con attori non professionisti e non avrà il coraggio di non farli parlare in sardo. Di “Baroni in laguna” faccio dire a Michela Murgia che è di Cabras e mi è molto cara per come sa scrivere e perché anche uno dei suoi nonni, come il mio: tziu Domenicu Cherchi, lavorava nella miniera di Montevecchio: “Lo stagno ha sempre avuto una parte fortissima nella mia infanzia…Quella contro i padroni dello stagno fu a tutti gli effetti una lotta di classe… Il valore dell’opera di Fiori è enorme, perché servì a far prendere coscienza all’isola, e non solo all’isola, di ciò che avveniva nel piccolo villaggio di Cabras, ma di ciò si è persa la memoria…a volte mi domando che cosa debba succedere, quanto in basso si debba scendere perché una comunità si ricordi di essere tale. E’ allora che penso che il problema non sono i padroni ma i servi, sempre” (pag. 106). Ma è nel 1966 che Fiori scrisse il libro che lo renderà famoso, mi viene da dire, nei secoli a venire: “La vita di Antonio Gramsci”. Joseph Buttigieg , professore di letteratura moderna all’università di Notre Dame (Indiana, Stati Uniti), curatore e traduttore della edizione critica inglese dei “Quaderni dal Carcere” e presidente della “International Gramsci Society, scrive che quella di Fiori fu la “presentazione di Gramsci al mondo”. La biografia dimostra che la vita e il pensiero di Gramsci sono inestricabilmente intrecciati e che la comprensione del secondo richiede la conoscenza della prima. Per questa ragione la biografia di Fiori resta una delle introduzioni agli studi di Gramsci più preziose ed accessibili ed è anche il motivo per cui è stata tradotta in ben dodici lingue (Pag.49) . Nel ’68 quella spagnola, due anni dopo la versione inglese e francese, la giapponese nel’72, l’edizione greca nel ’77. Tedesca e portoghese nel ’79. Olandese e iraniana nell’81. In turco nell’89 e nel 90 in cinese. Quando approda a Roma nel ’70, per lavorare in RAI, si porta dietro la famiglia, la moglie Nadina e i due figli, orgoglioso che nessuno di loro prenderà mai, negli anni a venire, il minimo accento romano. Fa in Rai il giornalismo di testimonianza che è sotto traccia sempre nei suoi libri, ne scriverà altri: su Emilio Lussu, il cavaliere dei Rossomori, e su Enrico Berlinguer , l’anarchico Michele Schirru fucilato alle spalle (plotone d’esecuzione tutto di sardi) solo per aver pensato di attentare alla vita di Mussolini. E ancora biografie di Ernesto Rossi e dei fratelli Rosselli. Ma furono i tre anni in cui comparve in televisione alla fine del telegiornale delle tredici, con un suo commento ai fatti politici del giorno, a renderlo famoso in tutta Italia. Dice Veltroni: “ Quello di Peppino Fiori non era un linguaggio paludato o cifrato, non era il pastone politico tradizionale fatto apposta per non scontentare i politici e per descrivere i movimenti di questa o quella corrente. No, erano note politiche con dentro i problemi più vivi della società italiana… I sardi hanno una caratteristica che ho sempre ammirato: la capacità di riduzione della complessità e la capacità di divulgazione” (pag.128). Un grande cronista, dice di lui Stefano Rodotà, che lo conobbe bene quando Peppino gli diede spazio su “Paese Sera”, il giornale di cui era diventato direttore e poi sui banchi del Senato dove ambedue erano stati eletti nelle liste della Sinistra Indipendente. Erano gli anni del craxismo imperante e quando grazie a lui ( leggi: legge Mammì) Silvio Berlusconi si prese gratis la frequenza di tre reti nazionali e si mise in tasca l’Italia televisiva e non solo, Peppino Fiori e anche Rodotà cercarono invano di fare fronte. La scalata di quello che sarebbe diventato il cavaliere per antonomasia (mò si è dovuto dimettere per indegnità, condannato per frode fiscale) non era irresistibile, Fiori ci scrisse un libro titolandolo: “Il Venditore”, una documentazione inoppugnabile che faceva capire quali fossero gli interessi che guidavano Berlusconi e quale tipo di “modernizzazione” avesse in animo di compiere. Del ventennio berlusconiano stiamo pagando e continueremo per un bel pezzo a pagare la caduta morale di tutta una società che lo ha seguito come i topi del pifferaio magico di Hamelin. Senza contare che quel piffero televisivo continua a suonare la sua malia come niente fosse successo. Era un tipo che non le mandava a dire Peppino Fiori, un carattere ombroso per certi versi, che comunque non scendeva a compromessi di sorta. Sopratutto su quello che considerava indispensabile requisito per la professione che si era scelto. Il dovere morale di una ricerca di verità dei fatti così come si erano svolti, da riportarsi per iscritto o col supporto della telecamera, senza abbellimenti di sorta, usando uno stile sobrio e asciutto, capace di arrivare ad un pubblico il più vasto possibile. Un grand
e giornalista davvero e, come dice Arbore un caposcuola in campo televisivo. Di quella tempra di sardi che ti fanno sentire orgogliosi di essergli conterraneo. Lascio volentieri la chiusura a Corrado Stajano: “ Giuseppe Fiori è stato coerente per tutta la vita, fedele a se stesso e agli altri, non ha mai tradito i suoi ideali di giustizia e di libertà. E’ stato lo scrittore dell’altra Italia, l’Italia civile” (pag.19).
Onnis, Siddi, Rodotà, Rossanda….bene, bene… chissà che varietà di giudizi…