ricerca redazionale
Un pianeta che nella seconda metà del secolo si troverà in bilico sulla catastrofe, con una popolazione vicina ai 9 miliardi di esseri umani e gli ecosistemi in ginocchio, non più in grado di fornire abbastanza acqua, cibo ed energia. E’ lo scenario post Copenaghen: un mondo soffocato dai gas serra, più caldo di 3 gradi. Mentre le delegazioni dei 192 paesi che hanno partecipato alla conferenza sul clima salgono sull’aereo portando a casa un mini accordo teorico, senza i target per il taglio delle emissioni di anidride carbonica, è stata messa a punto una prima analisi, che proietta a livello globale le conseguenze del flop del summit Onu. L’ha preparata Greenpeace per mostrare le conseguenze della resa di fronte alla minaccia climatica. Ecco cosa succederebbe se, continuando a bruciare petrolio e carbone e a tagliare foreste, permettessimo al global warming di crescere al di là di ogni controllo. Il ritmo dei monsoni cambierà, gli uragani diventeranno più intensi e più frequenti, il livello dei mari crescerà spazzando via decine di città costiere e di isole (gli arcipelaghi che a Copenaghen si sono opposti fino all’ultimo al patto al ribasso tra Stati Uniti e Cina rifiutandosi di firmare l’intesa). Le aree aride e semiaride in Africa si espanderanno almeno del 5-8%, si perderà fino all’80% della foresta pluviale amazzonica, la taiga cinese, la tundra siberiana e la tundra canadese saranno seriamente colpite. Il Polo Nord diventerà presto navigabile d’estate. Un rialzo di 3 gradi della temperatura media distruggerebbe un terzo dei ghiacciai tibetani in 40 anni. La popolazione mondiale sottoposta a un crescente stress idrico passerebbe dal miliardo attuale a 3,2 miliardi. E altri 200- 600 milioni di persone si aggiungerebbero all’elenco di chi non ha abbastanza cibo per sopravvivere. Significative estinzioni sono previste in tutto il pianeta: a rischio un terzo delle specie. Spariranno il 15- 40% delle specie endemiche negli hot spot della biodiversità mondiale. In America latina rischia l’estinzione il 25% delle specie arboree della savana. L’onda d’urto sulla qualità e sulla durata della vita sarebbe devastante. Con un aumento di 3 gradi, 3,5 miliardi di persone nel mondo saranno a rischio di contrarre la dengue e 2 miliardi a rischio malaria, una malattia che già oggi uccide 1 milione di persone l’anno. Inoltre, a causa della carenza di acqua, aumenteranno le vittime della diarrea, che uccide 2,2 milioni di persone l’anno, e della siccità, che moltiplicherà per sei il suo impatto. Nel nord America si prevede il 70% di crescita dei giorni a rischio ozono. La Ue stima che nel continente ci saranno 86 mila morti in più all’anno: diventeranno frequenti le ondate di calore che in Europa hanno provocato 70 mila morti aggiuntivi nell’estate del 2003. Anche in Italia l’impatto si annuncia pesante: se il livello del mare salisse di un metro nel 2100, l’Italia dovrebbe proteggere buona parte delle sue coste. Da uno studio commissionato a un gruppo di ricercatori risulta che in Italia il 22,8% delle coste è soggetto a erosione: sono 1.733 chilometri. A rischio risultano le coste dell’alto Adriatico da Venezia fino a Grado e verso Sud fin quasi a Rimini, mentre verso l’interno l’acqua potrebbe arrivare sino a Ferrara. In Toscana sarebbero in pericolo le coste vicino a Livorno e verso Nord quelle di Tombolo fino all’Arno: il mare arriverebbe alla periferia di Pisa. Nel Lazio, Latina verrebbe sommersa e verso sud il Tirreno ruberebbe gran parte delle coste vicino al Golfo di Gaeta. Sul versante opposto, la Puglia vedrebbe sommergere Manfredonia e le coste che si snodano verso Barletta, mentre la Sardegna potrebbe dire addio alle coste del Golfo di Oristano, a parte della penisola del Sinis e allo Stagno di Cagliari. L’aumento del livello del Mediterraneo provocherebbe inoltre un altro problema: l’infiltrazione salina nelle falde acquifere che comprometterebbe una parte importante delle risorse idriche, soprattutto in Puglia e Sicilia. I potenti della Terra hanno fallito l’obiettivo di impedire cambiamenti climatici disastrosi. Se ci sarà una forte reazione dell’opinione pubblica, calcola Greenpeace, eviteremo lo scenario segnato da una frenata troppo lenta nell’emissione di gas serra: serve un colpo di reni che permetta di chiudere entro il 2010 un accordo basato su tagli rapidi, consistenti e vincolanti.