di Sergio Portas
Cercare di avere un’intervista con Michela Murgia in questo periodo di campagna elettorale è come vincere un terno al lotto. Rimbalza dalle pagine di Micromega e del Fatto Quotidiano, il Venerdì di Repubblica le dedica quattro pagine a firma Paola Zanuttini. (La politica: Un romanzo da riscrivere). Allora tocca accontentarsi di parlarle in “streaming” tramite computer, e l’occasione si presenta a Milano domenica sera 2 febbraio, un locale di viale Papiniano ospita l’evento a cui presiede l’assessore alla cultura “in pectore” della giunta futura: Omar Onnis. Qualora il botto previsto della lista Sardegna Possibile fosse più forte del previsto. Dice Omar che al di là della macelleria elettorale, che pure conta eccome, il suo partito, Progres, quello che progetta una futura repubblica sarda, guarda a traguardi al di là del contingente. Loro avevano addirittura pensato di rimandare l’esame delle urne ma la storia delle genti ha accelerazioni improvvise che tocca saper cavalcare, se vuoi fare politica alta, che duri nel tempo. E che in Sardegna qualcosa si sia rotto nella fiducia che la gente ha avuto per anni nei cosiddetti partiti istituzionali è sotto gli occhi di tutti. Che diversamente i Pentastellati di Grillo non sarebbero arrivati a essere il primo partito isolano. Come dire che la protesta gridata a denti stretti è oramai largamente maggioritaria nel sentire delle persone. E anche la pazienza è merce che non si trova più nei supermercati a basso costo, dove tocca andare a comprare pasta e riso di marchi mai uditi prima. Maria Francesca Murru di Siniscola da cui manca dal 2000, quattordici anni che le sembrano un secolo, è la responsabile milanese di Sardegna Possibile, dice che scoprire in continente di avere una casa comune al di là del mare ti spinge a perseguire traguardi alti, a inventare centri di raccolta di sguardi, di competenze che servano a mettere in circolo idee e riflessioni, per i compaesani di qua e quelli che sono rimasti a casa. A fare cultura come organizzazione del dissenso che abbiamo dentro di noi. Stasera ci sono anche Alberto Masala e Frantziscu Medda in arte Arrogalla. Verrebbe da dire la vecchia e la nuova Sardegna: ” Soi in edade”, dice di sé il poeta di Ozieri, ma ha strettissime origini pattadesi, mentre il giovane produttore di suoni e non suoni, che questa è l’anima della musica dub, di Quartu Sant’Elena, smanetta nel suo sintetizzatore. Di Alberto Masala si cercherà di dire l’indispensabile, perché è persona che deborda irresistibilmente dal quotidiano e occuperebbe ogni spazio possibile che abbia assonanza con la carta stampata, pur essendo poeta grande che non si occupa che di quello, del vivere degli uomini. Di tutti. E quindi ha girato per le periferie del mondo, seguendo percorsi di guerra e di crudeltà efferate. Scrivendone nei suoi numerosi libri, nelle poesie pubblicate in antologie di mezzo mondo. Traducendo poeti americani “on the road” e sardi alla Peppino Mereu. Capace di affascinare con la sua scrittura e con la sua persona. Anche Michela in streaming gli fa una battuta sessista al contrario, che solitamente sono gli uomini che si permettono tali levità, dandogli atto di essere ancora un bel tronco di uomo. Lui si definisce di un’altra generazione, un pre-tutto, di quelli che un progetto politico vogliono pesarlo bene prima di sposarlo in toto: “Michè io non ci credo nei leader, tu forse sei una garante di un buon progetto ma come dissi anche a Soru, ricordati che poi ti starò col fiato su collo e non te ne perdonerò una”. Come devono fare gli intellettuali che si rispettano, essere critici sempre di tutti. E non tacerlo mai.
Michela parla della sua campagna elettorale svolta porta a porta per i paesi e le città sarde, del suo ascoltare la gente dove ama ritrovarsi giornalmente, fin nei bar del Sinis, dove ha il coraggio di parlare a quelli dell’Alcoa di una miniera di alluminio in Sardegna mai sfruttata veramente, e sono le 5.500 tonnellate all’anno di lattine che finiscono nelle pattumiere, del silicio che se ne va dall’isola a fare vetro e piastrelle che si debbono ricomprare col loro valore aggiunto. Di un piano dei trasporti mai pervenuto, della cultura dell’accoglienza tutta da inventare, del radiotelescopio di San Basilio, il primo in Europa a puntare le sue antenne su di un cielo che più terso non ce n’è, a sei chilometri dalle sculture megalitiche e dai Menhir di Pranu Mutteddu, immerse nei querceti del Gerrei e circondata da cinque comuni in via di spopolamento. Come non pensare a un progetto turistico capace di unire tremila anni di storia prima di Cristo alle ricerche di pianeti che forse salveranno l’umanità, quando anche la lanterna del nostro sole avrà bruciato tutta il combustibile nucleare che lo tiene acceso, tra tre miliardi di anni? Risorse da utilizzare: innanzitutto l’intelligenza dei sardi. Ha perso sette chili e mezzo da agosto, avesse saputo quale spettacolare dieta alimentare si è rivelata essere la campagna elettorale, avrebbe accettato prima la candidatura. Ha ragione a dire che comunque vada a finire lei e Progres hanno già vinto. Ne fanno fede i grandi giornali nazionali che la mettono in prima pagina, quale piccolo partito indipendentista avrebbe potuto assurgere a tali fasti giornalistici se non ci fosse stata Michela a tirare la volata? Dice Onnis che quello di Progres è un progetto partecipativo e il piccolo partito ha saputo creare attorno a sé uno spazio politico più grande, mai sperimentato prima. Sardegna Possibile è questo allargamento, che mira alla costruzione di una effettiva autodeterminazione. Un percorso emancipativo che deve aiutare i sardi a conquistarsi una loro indipendenza, riuscendo finalmente a toccare il fondale finto del “Truman show” in cui finora sono stati relegati. Con la convinzione che l’idea che abbiamo di noi stessi è stata in gran parte costruita da altri e quindi può e deve essere cambiata. Non se ne può più di assistere ai vari Renzi e Berlusconi che vengono in Sardegna a mettere la mano sulla spalla dei loro uomini nei comizi di chiusura, per tacere delle loro battute da caserma. Se mai il fato lo volesse vedere assessore alla regione sarda, si occuperebbe subito della lingua, anzi delle lingue dei sardi: gallurese, tabarchino, campidanese, catalano di Alghero e vivaddio anche dell’italiano che parla il 100% della popolazione isolana. Con la consapevolezza che oggi solo il 13% dei bimbi ha la fortuna di apprendere la lingua sarda per trasmissione diretta, dalla famiglia di origine. Quindi occuparsi di trovare uno standard che ora non esiste, fare una scelta politica democratica come quella fatta dai catalani cento anni fa. Usare il sardo in ogni registro possibile, senza però farne un feticcio. Che le lingue debbono unire e non dividere. Alberto Masala legge poesie prese dai suoi libri e sono mirto e corbezzolo a ornare le altre terre di collina, e caldo di elicriso e ginestre lungo il fiume. Ma sempre si ritorna in questa terra e sempre si persiste nel cammino. In sardo una sul nucleare, dice lui in perfetto pattaddese: “Pesa Sardigna, ischidite!” Arrogalla fa con lui una sorta di “jazz suite” con la sua musica d’oggi nutrita di silenzi, di fruscii che puoi sentire nei boschi di Montevecchio quando passano i cervi in amore. Una volta è la musica che tutto sovrasta, una volta la parola alta che si fa irresistibile ruscello a primavera. A sentirli a bocca spalancata anche i bimbi di Omar, sardi dai gialli capelli, Anna e Antonio, che mamma Sara lascia scorrazzare liberamente nei loro sette/otto anni. Alberto Masala da quel grande istrione che è fa terminare nel microfono ad Anna una delle sue poesie. Mi dice poi dei bimbi d’Iraq che ha incontrato in una scuola devastata dalla guerra, agitanti bandierine colorate, coi militari in mimetica brandenti gli eterni kalashnikov a protezione. Ci ha passato quindici giorni con una delegazione internazionale in Iraq e ne ha scritto pagine memorabili. Sarà che anche il mio babbo è stato poeta ma Alberto Masala starei ad ascoltarlo sino a notte fonda e lui, per la verità, continuerebbe a raccontare cose che sempre sanno di favola, come l’origine di quel suo cognome: Masala, in Iraq qualcuno gli ha detto che lo si può leggere nel codice di Hammurabi, il re babilonese che regnò intorno al 1750 a. C. Dice che vuol dire: insieme, tribù in indiano, il carico di una nave in fenicio. Quando i sardi nuragici la vedevano spuntare all’orizzonte avranno esclamato: “è arribendi masala!”