Qui di seguito è riportata la testimonianza di Salvatore Musio che, con un racconto carico di epos, ricorda come è giunto in Toscana dalla Sardegna, superando un viaggio che per molti aspetti somiglia a quello dei molti immigrati che oggi approdano nella nostra penisola con la speranza di una vita migliore:
«Molti sardi sono partiti, facendosi coraggio, con una nave verso l’America a cercar fortuna. Mio suocero e molti altri sardi erano partiti a fine Ottocento. Ma se la distanza e quel mondo tanto diverso facevano troppa paura, i sardi sceglievano di lasciare l’isola per cercare lavoro nel Nord Italia, nel Lazio, in Toscana. Io sono partito nel 1961, nell’epoca dello sviluppo economico, per cercare migliori condizioni in Toscana. Mi ero imbarcato, in cerca di fortuna e di lavoro, una sera, quando ormai era buio, su un bastimento carico di bestiame, di pecore e di buoi. Non c’erano in quel tempo le navi che oggi viaggiano per la Sardegna. Erano stati caricati all’ultimo momento dei grossi motori che ci dissero essere stati utilizzati per costruire in Sardegna il lago Taloro. Quei motori sono stati la nostra salvezza. Dopo poco la partenza infatti fu un inferno. Il mare diventò molto mosso e il bastimento rischiava di affondare. Rimanemmo dispersi in mare 3 giorni e 3 notti, mentre nel mio paese, in Sardegna, si sapeva della tragedia e si teneva all’oscuro mia moglie che aspettava il secondo bambino. Eravamo in balia del mare e tutti, fuorché io, un mio amico e il comandante, erano svenuti. Inoltre il bestiame rischiava di far rovesciare la barca perché le onde lo scaraventavano tutto su un lato, quindi ho dovuto lavorare molto per ristabilire sempre l’equilibrio nella stiva. Ho legato con delle corde le mucche che erano cadute sulle loro zampe, bloccandone le corna ai bordi della stiva. La situazione era disperata e il mare ci aveva spinto, anziché verso il Continente, verso la Corsica e verso le Bocche di Bonifacio, dove le correnti erano particolarmente forti. Quando abbiamo visto la costa, credevamo di essere salvi; speravamo di avere aiuto dai francesi; invece essi ci fecero vedere la loro bandiera e ci tennero a distanza, senza farci scendere dalla barca. Riprendemmo allora il mare con il rischio di affondare e solo dopo qualche giorno riuscimmo ad arrivare a Talamone in Toscana. Ciò che ci salvò furono quei motori – che pesavano varie tonnellate – caricati all’ultimo momento, quando il bastimento stava per salpare. Il peso di quei motori rese infatti il bastimento più stabile, quando si alzarono quelle onde alte. Non dimenticherò mai quella esperienza. Ho visto la morte in faccia varie volte, durante quella traversata. E pensare che io facevo il viaggio il 4 agosto 1961 e solo qualche mese dopo sarebbe entrato in servizio il traghetto che ancora oggi viaggia verso la Sardegna. Avevamo voglia di migliorare le nostre condizioni di vita e avevamo questa speranza grazie alle notizie che ci venivano da amici o parenti che erano partiti prima di noi e che in Continente avevano trovato lavoro e terre da far produrre: per questo eravamo partiti. Abbiamo rischiato di morire in mare come oggi muoiono tanti emigranti che vengono dall’Africa. Come oggi succede nei confronti degli immigrati, anche noi che venivamo dalla Sardegna eravamo inizialmente visti con sospetto e considerati come quelli che venivano a portare via il lavoro o le terre agli abitanti del luogo. Eppure, la fattoria nella quale entrai a mezzadria, dopo quel viaggio avventuroso, ricominciò a pagare gli operai (che da qualche mese non percepivano più lo stipendio). Ciò fu possibile grazie ai guadagni che venivano dallo sfruttamento dei terreni di quella fattoria ai fini del pascolo delle pecore e grazie alla produzione del latte che in quegli anni, a differenza di oggi, era molto ben pagato. I sardi, in seguito, hanno saputo sfruttare le potenzialità di quei terreni e ne hanno fatto delle aziende agricole all’avanguardia, anche se oggi anch’esse risentono della crisi che mette in difficoltà molte imprese».
Le pecorelle sono dei miei fratelli, la foto l’ho fatta io, l’articolo è di mia cugina e la storia che racconta è quella di suo padre. Come si suol dire TUTTO IN FAMIGLIA!!
questa testimonianza perché troppo spesso, davanti alle odierne tragedie del mare, ci dimentichiamo che anche noi siamo stati un popolo di migranti