Anni di silenzio e Antonio Marras torna a disegnare, resuscitare tessuti e creare vestiti da uomo. Ha presentato alla settimana di Milano Moda Uomo, la sua collezione per il prossimo autunno-inverno e, come sempre, ci ha raccontato una storia: «Ho sempre pensato che un giorno sarei tornato a fare una collezione uomo e che l’avrei dedicata a mio padre». La sua però non è solo la dedica di un artista; Marras è anche un archivista, ha memoria storica e una creatività potenziata da un forte senso delle proprie radici. L’omaggio a suo padre si trasforma quindi nella storia che ci racconta a parole nella frenesia del backstage, e per immagini e suoni nel tempo sospeso della sfilata. «Io nasco in bottega. Mio padre, come me era di Alghero, e aveva una bottega di tessuti. Conservo ancora i suoi carnet con gli indirizzi scritti a mano, la carta intestata, i tessuti che vendeva. Nella mia collezione c’è un racconto di quelli che sono stati i suoi tessuti preferiti, che sono ancora i miei preferiti, che io ho reinterpretato e fatto rifare». Efisio Marras – la cui immagine con la sigaretta in bocca, divo di altri tempi e modernissimo, è icona su magliette e camicie in passerella – era un amante della marina, suo figlio Antonio ha recuperato le vecchie pezze che tiene come “reliquie e opere d’arte”, ha fatto rifare le stampe creando nuovi jersey con diversi blu che abbiamo visto in passerella su modellittori dallo sguardo serio da noir anni Quaranta, vestiti in grandi caban, avvolti in grandi maglioni marinari. «Ad un certo punto mio padre diventa il primo importatore di Fiorucci in Sardegna. Cambia il ritmo del negozio. Il ritmo lento, da negozio di tessuti, in cui comprare una lana per un abito voleva dire spendere delle ore a discutere sulla grammatura, sulla pesantezza, diventa veloce: la boutique richiede un’urgenza diversa, un ritmo più rapido. E allora cambia tutto. È stato un cambiamento radicale, però io ho conservato tutte le sue vecchie cose, le sue vecchie pezze, i tessuti da uomo, tutta la parte inglese, i tartan, i tweed, così come la parte femminile, i rotoli di seta…da lì ho attinto per creare questa collezione». Per la linea maschile, che verrà distribuita a partire dall’Italia e poi in tutto il mondo dall’Asia all’America, c’è un’altra novità: «Abbiamo iniziato un’importante collaborazione con Pantofola d’Oro (anche per la donna) sia per le scarpe sia per le borse, una sorta di busta con chiusura a cartella, anche in colori vivaci», racconta il creativo. I modelli camminano in una sala con tante vecchie macchine da cucire, usate come strumenti musicali per un concerto (a “suonare” é il gruppo torinese 13.600 HZ, il progetto di Sara Conforti presentato per la prima volta lo scorso settembre al museo di arte contemporanea del Castello di Rivoli). La Maison torna anche all’origine con stoffe accoppiate e reversibili. «La macchina da cucire è l’elemento fondamentale della vendita al metraggio. Il mezzo col quale venivano concretizzati i capi». L’elogio alla macchina da cucire, ancora una citazione dei tempi della bottega di suo padre, è anche in scena: per tutta la durata dell’evento, uomini di tutte le età hanno “cucito” con le loro vecchie macchine. Alla fine della sfilata la colonna sonora lascia l’orchestrazione del ritmo degli aghi per aprire a un melodico difficilmente apprezzato oggi: Granada. I sarti hanno finito la loro giornata e si alzano dalle loro macchine da cucire. E cosi Anche Claudio Villa riesce ad essere commovente. «Mio padre era amate di Claudio Villa, per questo terminiamo con Granada». In fondo è grazie a suo padre che Antonio Marras fa questo lavoro. Così bene. Con un’attenzione anche alla sua terra ferita: una maglietta, il cui ricavato va agli alluvionati, fatta con la collaborazione di Stefano Bartezaghi, che reca l’acronimo ISOLA, I Sardi Odiano L’Alluvione. Così nasce l’uomo vestito da Marras: semplice, concreto, senza sbavature. Un lavoro dal sapore retrò e dall’impatto moderno, che fa immaginare un aspetto nascosto. «Come l’interno delle mie giacche che hanno un filo rosso che lega tutta la collezione, che lega anche noi, che lega chi parte da un’isola con la voglia di andare restando, come dice un mio amico scrittore».