Il 2013 sarà ricordato come uno dei più duri per l’economia italiana e per quella sarda in particolare, dove alla perdita di competitività si è aggiunto il tracollo dell’industria e delle infrastrutture di interi territori. Il 2014 promette l’uscita dal tunnel, ma non sarà un percorso breve, né immediato: la risalita del Pil rispetto agli ultimi 5 anni sarà modesta (appena l’1%), non produrrà effetti immediati sull’occupazione e sarà a “macchia di leopardo”, sfiorando appena il Mezzogiorno e l’Italia insulare. La Sardegna rimarrà inchiodata, ancora nei prossimi mesi, allo zero virgola in quanto a crescita della ricchezza, in uno scenario che, senza sostanziali interventi anticiclici, è destinato a rimanere di stagnazione, sia nei redditi che nel numero di buste paga. Il meglio che possa capitare, a leggere tutte le statistiche, è di vedere scomparire dalle statistiche il segno meno. Una magra consolazione per una regione che, nell’ultimo anno, in termini di Pil ha perso 3,5 punti percentuali, mentre sul fronte del lavoro ha visto andare in fumo decine di migliaia di posti. All’Isola servirebbe un’azione congiunturale in grado di coniugare il rilancio degli investimenti con la diminuzione della pressione fiscale, spezzando il circolo vizioso fatto di decrescita, contrazione dei consumi e dei salari, tasse. Ma di un simile piano non esiste ancora traccia se non nelle buone intenzioni, e così per la Sardegna la luce in fondo al tunnel appare sempre più lontana.
IL PRODOTTO INTERNO LORDO. Nell’ultimo anno, la Sardegna ha perso il 3,5% del Pil, finendo in fondo alla classifica nazionale appena sopra la Sicilia, ultima della lista. Lo dice l’Istat, che specifica come in valori assoluti, negli ultimi dodici mesi il Pil pro capite regionale è stato di 19.722 euro, contro una media nazionale di circa 26 mila. Arriva all’11%, secondo lo Svimez, la fetta di famiglie che percepisce meno di 12 mila euro l’anno, mentre sfiora ormai addirittura il 50% l’incidenza dei nuclei monoreddito. Secondo l’Associazione per lo sviluppo dell’Industria nel Mezzogiorno, l’anno prossimo il Pil nazionale crescerà dello 0,7%, ma in Sardegna resterà negativo, seppure di poco (-0,1%). Il Crenos (Centro ricerche economiche delle università di Cagliari e Sassari) afferma che nel 2014 il Pil forse sarà leggermente superiore allo zero; il discorso, però, non cambia più di tanto.
L’INDUSTRIA. Continua anche la contrazione del settore industriale. Tra il 2007 e il 2011, il valore aggiunto del comparto è diminuito del 21,6% e contemporaneamente si è ridotta anche la proiezione estera delle imprese. Gli addetti alla manifattura sarda, considerando anche il 2012, secondo gli analisti della Banca d’Italia sono diminuiti in tutto di quasi un quarto, mentre dalla metà dello scorso decennio, il numero delle imprese del settore si è ridotto di oltre il 20%. Solo nel comparto edilizio, sono aumentate del 55% in tre anni le procedure fallimentari delle imprese, mentre nel settore immobiliare le vendite hanno fortemente risentito della contrazione dei mutui (-23% le vendite di abitazioni e -18% quelle dei locali commerciali). Qui però, ci sono timidi segnali di ripresa per il 2014.
SERVIZI E TURISMO. In Sardegna, nel 2013, per la prima volta dal 2002, si è andati sotto quota 40 mila imprese artigiane, con la scomparsa di centinaia di attività. Negli ultimi cinque anni, il numero delle aziende di abbigliamento, calzature e accessori si è invece ridotto di un terzo (29,4%), mentre gli alimentari al dettaglio hanno registrato una flessione del 27%. Unica nota positiva il turismo, che nel 2013 ha registrato una crescita del 7% con 10 milioni di presenze, mentre dal primo gennaio al 30 settembre i passeggeri in transito negli scali di Alghero, Cagliari e Olbia sono stati 5 milioni e 900 mila. Non si è trattato di un boom, ma di una concreta inversione di tendenza che almeno è servita a riportare il segno più su uno dei settori più importanti per il rilancio dell’economia regionale.
L’EXPORT. Le vendite estere dell’Isola sono cresciute, giungendo a 6,4 miliardi di euro (dati Ice), con un aumento sull’anno precedente di 21,5 punti percentuali. Il merito, però, resta in gran parte dei prodotti derivanti dalla lavorazione del petrolio, che rappresentano circa l’85% del totale delle esportazioni sarde. Per quel che concerne l’agroalimentare, l’Isola invece ancora oggi, più che esportare, importa, anche nei settori in cui potrebbe competere più agevolmente a cominciare dall’ortofrutta e dai prodotti ittici. La bilancia commerciale è quindi negativa per più di 170 milioni di euro, anche se con le belle eccezioni rappresentate dal pecorino romano e dai vini.
IL MERCATO DEL LAVORO. A inizio 2013, i disoccupati sardi sono schizzati al 18,5% (primo trimestre), poi, tra aprile e giugno al 18,6%, mentre in estate sono scesi al 14,8%, comunque alle stelle rispetto al periodo pre-crisi. In valore assoluto, dal 2012 al 2013, l’Isola ha perso diverse decine di migliaia di buste paga. Non solo: nello stesso periodo, si è registrato anche un boom della cassa integrazione in deroga e della mobilità per i dipendenti di fabbriche in crisi destinate a non riaprire i battenti. È cresciuto, nel frattempo, il tasso di disoccupazione nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni, assestato ormai nell’Isola poco sotto il 50%. È vicino invece al 25% il dato dei Neet (in italiano “né né”, cioè ragazzi tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non si formano e non lavorano), così come quello di coloro che lasciano prematuramente i banchi di scuola (Istat, Crenos), alimentando nuovamente il preoccupante fenomeno della dispersione scolastica.
ALLARME POVERTA’. Secondo le ultime stime dell’Istat, in Sardegna una famiglia su cinque (il 20,7%, pari a 147 mila nuclei familiari, quasi 400 mila individui ) vive in condizioni di indigenza, con circa 500 euro mensili procapite. In Italia sono 9 milioni di persone, pari al 15,6% della popolazione. Un dato che fa il paio con quello fornito dall’Inps sul monte pensioni del sistema privato, che registra una media di circa 777 euro al mese per oltre 332 mila pensionati sardi. Si tratta di cifre allarmanti, che trovano conferma nel Rapporto Caritas 2013, secondo il quale il numero di coloro che si sono rivolti ai 38 centri d’ascolto diocesani disseminati nel territorio sardo, tra il 2007 e il 2012 è passato da 2.199 a 6.039, con un incremento che sfiora il 200%. Una tendenza che non sembra indebolitasi nel 2013, visto che nei primi sei mesi dell’anno sono passate per le strutture Caritas quasi 6 mila persone in difficoltà, cioè poco meno di quelle prese in carico in tutto il 2012, con una concentrazione particolare a Cagliari (2.165 casi, pari al 37,5%). A chiedere aiuto spesso sono spesso le donne, ma anche molti uomini, magari separati o divorziati e in grosse difficoltà economiche. Tanti gli appartenenti al cosiddetto “ceto medio” in declino, simbolo di un Paese smarrito e profondamente fiaccato da una crisi persistente. Il discorso vale a maggior ragione per la Sardegna, in perenne attesa di una classe dirigente che l’aiuti a fare il salto di qualità.