di Maurizio Porcu
La strada che conduce a Siris, paese dell’alta Marmilla oristanese, scorre tra sterminate campagne e pascoli che a occhio nudo paiono del tutto puri e incontaminati. Si respira una pace, una serenità, tanto rara oggigiorno, da essere fulminante. Terra ricca di testimonianze del passato quella di Siris, con ben quattro siti nuragici presenti nel suo territorio, ancora lì dopo migliaia di anni a dare un senso di continuità e forza all’identità di un popolo. La comunità sembra difatti ergersi su queste basi millenarie di solida pietra, per dare un senso, un valore di appartenenza ai legami tra le persone che la compongono. E quella stessa pietra, così attiva pur nella sua inerzia, assume altre forme e funzioni sotto i colpi decisi di un uomo sempre alla ricerca di nuovi modi di esprimersi.
Vincenzo Pilloni, scultore per passione, imparò da solo a lavorare la pietra all’incirca 30 anni fa, quando fu costretto a casa da un’operazione al menisco. “L’idea mi venne per caso, un pomeriggio. Mi ero ritrovato solo e annoiato. Così cominciai a lavorare la pietra per trascorrere più velocemente il tempo. Ho continuato a scolpire e lo faccio tuttora.”
La bottega dove lavora non è altro che la rimessa per la sua auto, divenuta ormai ospite ingombrante tra le tante opere disseminate per la stanza.
“Per lavorare la pietra uso questi attrezzi”- mi dice mostrandomi un secchio di plastica con dentro martelli, cacciaviti, spuntoni e ferri vari. “Non mi piace usare strumenti elettrici e non saprei neanche bene come utilizzarli su questo materiale.”
Mi mostra orgoglioso le sue creazioni, le conosce una a una e si vede spuntare dall’incontro del suo sguardo con le opere il ricordo di ogni singolo momento della loro realizzazione. “La pietra è molto dura, per ottenere dei risultati i colpi vanno inflitti in maniera forte e decisa, senza esitazioni. Alle volte si sbaglia e non è possibile correggere l’errore, devi così integrarlo nel tutto.”
Da queste difficoltà nella lavorazione, scaturisce uno stile semplice ma delicato, che dona alla materia dura quasi un senso di leggerezza e malleabilità.
Tra modelli di nuraghi, anfore e lanterne tutte scolpite nella pietra, spuntano ogni tanto dei visi semplici dagli sguardi calmi, di gente che sembra appartenere al mondo esterno circostante. Questi stessi però alle volte si vogliono nascondere e così per proteggersi indossano delle maschere. Ispirate alla tradizione sarda, emergono dai lati lunghi di grossi massi scomposti, le sembianze di demoni dagli sguardi duri e impassibili, come a difesa della loro stessa natura immobile. Guardandomi bene intorno mi rendo conto che il giardino ne è pieno, ne siamo quasi circondati.
Questo è lo spazio espositivo scelto per loro da Vincenzo, libere nel loro habitat, a contatto con la terra da dove con sforzo e fatica lui le ha recuperate per dargli una nuova forma.
Lascio Vincenzo Pilloni e la sua famiglia allargata per tornare sui miei passi, con una convinzione ben salda dentro: al mio ritorno tante altre saranno le nuove creazioni nate dalla sua arte.