Un Paese smarrito e fragile, che comincia a guardare con sospetto i “troppi” immigrati le cui imprese crescono nonostante la crisi. E’ il quadro tracciato dal Censis che mostra le poche luci e le tante ombre di una realtà imprenditoriale poco competitiva, di una università provinciale, di una scolarizzazione carente e di un popolo sempre più connesso al web, ma ancora fortemente teledipendente. Secondo il 47° rapporto, nel 2013 le spese delle famiglie sono tornate indietro di oltre 10 anni.
Fiaccati. Questo anno è al culmine di un lungo trend di decrescita che parla di un “un Paese sotto sforzo o, meglio, profondamente fiaccato da una crisi persistente”. Le spese per prodotti alimentari sono scese del 6,7% dai primi anni 2000, quelle per abbigliamento e calzature del 15%, per arredamento e manutenzione casa dell’8%, per i trasporti del 19%. Viceversa sono cresciute le spese per utenze domestiche e manutenzione casa (+6,3%) e quelle medico-sanitarie (+19%). Nell’ultima parte del 2013 ben il 69% di un campione di 1.200 famiglie ha indicato una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa nel corso dell’anno, mentre appena il 2% ha indicato un miglioramento.
Le famiglie italiane hanno rivisto i consumi e quasi il 50% prevede di contenere nei prossimi mesi le spese familiari. Secondo il Censis il 76% da’ la caccia alle promozioni, il 63% scegli gli alimenti in base al prezzo più conveniente, il 62% ha aumentato gli acquisti di prodotti di marca commerciale, il 68% ha diminuito le spese per cinema e svago, il 53% ha ridotto gli spostamenti con auto e scooter per risparmiare benzina, il 45% ha rinunciato al ristorante. 1,2 milioni di famiglie non sono riuscite a coprire le spese con il proprio reddito e hanno fatto ricorso a prestiti di amici. Come in passato, è intervenuta la messa in sicurezza delle reti familiari: sono poco meno di 8 milioni le famiglie che hanno ricevuto dai parenti una forma di aiuto nell’ultimo anno. L’incertezza ha preso il sopravvento non solo sull’ottimismo ma anche sul pessimismo e una larga parte degli italiani scopre “un’intima fragilità”. La pressione fiscale e le spese non derogabili comportano uno stato di tensione continua.
La crisi economica “morde” anche gli stranieri che però dimostrano di saper reagire: di fronte alle difficoltà di trovare un lavoro dipendente, sempre più numerosi si assumono il rischio di aprire nuove imprese. Nel 2012 sono 379.584 gli imprenditori nati all’estero che lavorano in Italia, con una crescita del 16,5% tra il 2009 e il 2012 e del 4,4% nel solo ultimo anno: tutto questo mentre le imprese gestite dai nostri connazionali diminuiscono del 4,4% nei quattro anni considerati e dell’1,8% nel solo ultimo anno.
Rapporto con gli immigrati. Solo il 17,2% degli italiani prova comprensione e ha un approccio amichevole nei confronti degli immigrati; 4 su cinque si dividono tra diffidenza (60,1%), indifferenza (15,8%) e aperta ostilità (6,9%) mentre due italiani su tre (il 65,2%) pensano che gli immigrati in Italia siano troppi. Emerge “la scarsa diffusione di sentimenti positivi” verso gli stranieri. Nel 2013, la nomina del primo ministro di colore della Repubblica ha rappresentato un elemento positivo “ma agli osservatori più attenti non saranno sfuggiti alcuni segnali di tensione abilmente alimentati da una parte dei nostri rappresentanti politici in un razzismo che monta dall’alto e che trova nelle preoccupazioni legate alla crisi un pericoloso brodo di coltura”.
Il terziario in Italia è poco competitivo, troppo sostenuto dalla spesa pubblica e scarsamente internazionalizzato. “Il nostro servizio terziario – si legge nel rapporto – soffre di una composizione troppo tradizionale, più al servizio della famiglia che legata ai grandi processi di trasformazione organizzativa dell’impresa, più sostenuta dalla spesa pubblica che da un’autonoma ricerca di competitività. Ma soprattutto opera prevalentemente nel mercato interno, non esporta servizi all’estero ed è scarsamente internazionalizzato”.
Gli italiani scelgono l’estero: +28,8%. Nell’ultimo decennio il numero di italiani che hanno trasferito la propria residenza all’estero è più che raddoppiato, passando dai circa 50mila del 2002 ai 106mila del 2012. Ma è stato soprattutto nell’ultimo anno che l’aumento dei trasferimenti è stato particolarmente rilevante: (+28,8% tra il 2011 e il 2012). Nel 54,1% dei casi, i “cancellati” avevano meno di 35 anni e sono andati ad arricchire le fila già copiose di un’Italia oltre confine che ammonta a oltre 4,3 milioni di connazionali.
Scolarità insufficiente. In Italia uno dei nodi ancora da sciogliere e’ quello della insufficiente scolarità complessiva, “che presenta sacche ancora significative di popolazione anche in giovane età con titoli di studio bassi”. Il 21,7% della popolazione italiana con piu’ di 15 anni ancora oggi possiede al massimo la licenza elementare, e i miglioramenti registratisi nel corso degli anni sembrano dovuti soprattutto a fenomeni demografici. Inoltre in Italia resta un problema la dispersione scolastica: la quota di ‘early school leavers’, seppure in tendenziale diminuzione, continua a essere significativa e in alcune aree geografiche pericolosamente endemica. Per il Censis da una parte occorre puntare sull’istruzione degli adulti, dall’altra “aggredire la dispersione includendo il territorio”. (Agi)
DEBITO RECORD – Italia sempre al top nella classifica Ue per la mole del debito in rapporto al prodotto interno lordo: nel 2012 il debito pubblico lordo si è attestato al 127,0%, in crescita rispetto al 120,7% dell’anno precedente. E’ quanto risulta dalle statistiche diffuse oggi dalla Banca d’Italia nelle quali il nostro paese risulta solo dietro la Grecia, che ha un rapporto debito-Pil nel 2012 al 156,9%. Debito a tre cifre in Europa anche per Portogallo (124,1%) e Irlanda (117,4%). la media Ue è 85,2%, nell’area euro 90,6%