Il menù tutto sardo proposto per la cena di sabato 23 novembre ha battuto gli illustri “precedenti veneti”: l’associazione Satta di Verona per la terza “cenetta culturale” ha registrato il tutto esaurito. Malloreddus alla campidanese, porcetto, formaggio di pecora, seadas con miele di corbezzolo, mirto. Nonostante quella sera ci fosse il derby calcistico Verona – Chievo, tra le altre cose.
La cena come di consueto è stata preceduta dalla prefazione culturale: la proiezione de “Il figlio di Bakunin”, del regista sardo Gianfranco Cabiddu (1997, produttori Francesco e Giuseppe Tornatore). Tratto dall’omonimo romanzo di Sergio Atzeni, il film è uno spaccato della vita in Sardegna dagli anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta. Il protagonista è Tullio Saba, nato a Guspini da una famiglia che doveva la sua fortuna economica al lavoro di buon calzolaio del capofamiglia, Antoni, uomo libertario e indipendente, che tutti chiamavano Balkunin. L’intera narrazione è una sorta di mosaico, costruito sulle parole e i sui ricordi di chi ha conosciuto Tullio Saba. C’è una persona che chiede di lui, un giornalista forse, non si vede per tutto il film. Solo qualche battuta sul fatto che porti i capelli lunghi, l’orecchino. Questo personaggio misterioso cerca notizie su Saba, quello che gli è raccontato a volte coincide, altre è pieno di contraddizioni. Tullio è stato educato come un ragazzo borghese, ha studiato francese, vestiva alla moda, sua madre si faceva chiamare Donna Margherita. Erano anni felici, l’amicizia con il direttore francese della miniera garantiva che le scarpe prodotte da Antoni, peraltro di ottima qualità, fossero vendute ai minatori con buoni guadagni per la famiglia Saba. Poi la ruota comincia a girare diversamente:, il direttore francese è sostituito da un fascista (con moglie bella e infedele al seguito), che subito inizia una serie di soprusi sui minatori della zona: lavoro, lavoro, lavoro, poca sicurezza, pochi soldi, scarpe arrivate da Napoli che s’inzuppano d’acqua camminando nei corridoi impervi delle miniere, nessuna possibilità di far valere i propri diritti. Si lavora per la patria, ma praticamente i minatori sono degli schiavi. I Saba, caduti in disgrazia, perdono la loro credibilità. Antoni si uccide, Tullio ormai cresciuto è costretto ad andare a lavorare, in miniera. Sua madre a breve ne muore di crepacuore. Alla miniera le cose non vanno bene, il direttore tiranno è odiato dai suoi dipendenti. Ci sono incidenti sul lavoro, ulteriori malcontenti. Tra i minatori, alcuni si distinguono per essere dei ribelli, uno fra tutti fomenta gli animi, sembra fare sue le proteste dei compagni: Tullio Saba. Un giorno il direttore è ucciso a fucilate, durante un’accesa protesta degli operai. Tullio è il primo indiziato, ma mai nemmeno durante il processo che segue, è dichiarato colpevole. Omertà, depistaggi, testimonianze intrise di credenze popolari, di stregoneria, ecco cosa riescono a raccogliere gli inquirenti, nulla di più.
Intanto la leggenda su Saba cresce, lui che era diventato l’amante della moglie di un altro fascista, capo di una squadra di minatori. Saba che voleva andarsene dal paese con questa donna, ma lei non ha avuto il coraggio di seguirlo per paura di ritorsioni da parte del marito. Il direttore che sostituisce quello “sollevato dall’incarico” per mano armata, stanco delle proteste, degli scioperi e di tutto ciò che rallenta la resa della miniera, infine licenzia Saba. La sua carriera di minatore è finita e inizia la leggenda vera e propria. Parte soldato, per qualcuno è un eroe, per altri un imboscato: difficile sapere il vero, non ci sono testimonianze certe. Ha però ricevuto un’importante onorificenza dagli americani. Dopo la guerra, ritroviamo Saba cantante per caso, con due musicisti gira la Sardegna cantando alle feste, ai matrimoni. Chissà perché, le donne lo adorano, gli uomini vorrebbero sempre prenderlo a pugni… spesso le feste finiscono in rissa, spesso è Saba a provocare le reazioni delle persone che non gli piacciono. Addirittura, seduce la fidanzata di un fascista, solo per fargli un dispetto.
Tullio Saba è sempre di più un personaggio carismatico, la gente lo ascolta quando parla, lui conosce le sofferenze degli operai, i diritti negati: inizia la parte politica della sua vita. Si unisce ad altri compagni, tiene comizi, si fidanza con la bella Carla, la mette incinta. Lei non se la sente di vivere con uno spirito libero e così difficile come Tullio Saba e lo lascia.
Saba è dipinto come un gran donnaiolo, ma, in effetti, le donne che per lui sono state importanti l’hanno scaricato …
Tullio Saba, ormai solo e malato, termina i suoi giorni in un appartamento di Cagliari, accudito da una badante di 14 anni, che era segretamente innamorata di lui e che è anche una delle ultime testimoni a narrare i suoi ricordi al misterioso intervistatore.
Solo alla fine, grazie ad una foto che una vecchia signora consegna al suo interlocutore e che ritrae Tullio Saba da giovane, si svela un altro mistero: il”giornalista” altro non era che il figlio di Saba e di Carla (l’attrice che la interpreta è Simona Cavallari).
Un particolare a riprova dell’aurea fantastica che avvolgeva il protagonista: Tullio Saba (interpretato da Fausto Siddi) è bello e giovane dall’inizio alla fine del film, il tempo per lui sembra non passare mai.
Bravissimi! Ottima scelta anche per la parte culturale “Il figlio di Bakunin”