di Massimiliano Perlato
Stoffe pregiate, lavorate con dedizione e minuziosa precisione, gioielli preziosi decorati da mani esperte di artigiani ormai scomparsi. I costumi sardi non sono semplici indumenti del passato ma rappresentano uno dei segni più tangibili della tradizione e del sentimento d’identità, ancora molto radicati e ben conservati in Sardegna. Diversissimi tra loro per storia, forme, colori tracciano una geografia tutta particolare dell’isola, evidenziando assonanze e discordanze a volte difficili da interpretare. Sono molti gli esperti che si sono cimentati nell’arduo compito di delineare una mappa, cercando di mettere in rilievo le caratteristiche principali che accomunano gli antichi abiti dell’isola. I risultati non sono stati lusinghieri e ancora non esiste uno studio, puntuale dal punto di vista scientifico, capace di ripercorrere a ritroso la storia dettagliata del costume sardo in tutte le sue varianti locali. Le fonti principali da cui poter attingere per ricostruire le origini delle antiche vesti sono le testimonianze scritte, povere spesso di particolari. Le ricerche condotte nel secolo scorso hanno puntato i riflettori sull’abito femminile, giudicato più interessante perché variegato, colorato e appariscente rispetto a quello maschile. Un’inversione di tendenza rispetto al passato, soprattutto nel XVII e XIX secolo, anni in cui gli studiosi hanno preferito rivolgere l’attenzione sul modo di vestire degli uomini. Non tanto per le particolarità cromatiche o di elaborazione dei tessuti, quanto per l’origine di quegli abiti. L’abbigliamento delle donne ha una storia recente, mentre il vestiario maschile evidenzia una struttura semplice e molto arcaica, presente in Sardegna fin dall’antichità. Il copricapo, il corpetto, il giubbetto, il gonnellino, i calzoni, il gabbano, la pelliccia e gli scarponi in pelle, sono questi gli elementi fondamentali del costume maschile. Alcuni di essi si ritrovano ancora nell’abbigliamento comune, altri si sono persi nel tempo: il pastore sardo ha smesso già da qualche decennio di usare la pelliccia per scaldarsi durante i mesi invernali, preferendo utilizzare giacche o giubbotti più comodi e caldi. Anche tra le donne, in alcuni centri dell’interno, soprattutto in Barbagia, il costume è utilizzato ancora come indumento quotidiano. Un’usanza che tuttavia sta andando scomparendo con gli abiti tradizionali mescolati e "contaminati" da capi moderni e meno impegnativi. I costumi dunque sono relegati sempre di più ai momenti di festa, durante i matrimoni o in particolari celebrazioni religiose, come le messe cantate. E’ importante sottolineare che l’abito d’uso giornaliero era diverso rispetto a quello indossato durante i giorni di festa. La maggior parte dei gruppi folkloristici hanno adottato come "veste ufficiale" per le sfilate, quello più ricco. Ma il fascino degli abiti tradizionali si va sempre più consolidando, forse anche perché è diventato più raro poterli ammirate. Il successo di pubblico nelle feste di piazza e nelle sagre testimonia le rinnovate emozioni suscitate da quelle antiche vesti. Non tanto i sardi, ma soprattutto i forestieri – magari capitati per caso a una sagra – restano esterrefatti per lo spettacolo di colori, immersi in pochi istanti nella arcaica storia di un’isola, di un popolo. Occhi di esperti e studiosi scrutano ogni particolare dei costumi, ma sono le persone comuni quelle coinvolte maggiormente nella magia della tradizione: e se gli abiti delle donne del nuorese si distinguono per la grande varietà di colori vivaci (Dorgali, Gavoi e Ollolai), colpisce il nero severo di Tempio o la ricchezza dei grossi pendagli d’argento nelle maniche di "corittu" di Ittiri. Di grande effetto il rosso acceso del grembiule di Desulo, ricamato con disegni geometrici e floreali nei bordi o l’accostamento di tinte forti e pastello nel costume da sposa di Bitti. Ordinate e perfette le minuscole pieghe della gonna di orbace nero di Samugheo, arricchita da una sobria teoria di fiori. Stesso effetto visivo per la gonna di Buschi, enfatizzata da tinte calde e accese. Si distingue per il tipico ricamo della camicia a "punto nodo" il costume di Teulada, impreziosito nel grembiule da paillettes che lo rendono luccicante e brillante. Semplici e per molti aspetti simili l’abito da sposa di Osilo e il costume di Ossi, dove il rosso fuoco della gonna esalta lo stilizzato molto floreale. Di diversa fattura il copricapo osilese, più elaborato e pesante, rispetto al velo ricamato di Ossi. I centri più ricchi sono quelli che dà sempre hanno potuto vantare abiti più elaborati e ridondanti di preziosi gioielli con collane e bottoni d’oro, ma sono soprattutto i giochi di colore, di tagli e abbinamenti a differenziare un costume da un altro. Uomini e donne che oggi indossano il costume tradizionale lo sentono come una seconda pelle e cercano di proteggerlo e conservarlo nel tempo. Viene ereditato dalle mamme, dalle nonne e dalle bisnonne: quello originale, non rifatto di recente, ha un valore inestimabile per la lavorazione dei suoi ricami e per la qualità dei tessuti. Una sensibilità verso le origini ben visibile durante le grandi feste della Sardegna: da Sant’Efisio di Cagliari alla Cavalcata Sarda di Sassari, passando per la Sartiglia di Oristano al Redentore di Nuoro. Fierezza e orgoglio per il popolo dei sardi che sfila indossando gli indumenti dei propri avi. Questo i giovani lo hanno compreso bene e i ragazzi che si avvicinano alla tradizione popolare sono in continuo aumento. Non conoscono fatica, si alzano all’alba per raggiungere le città della festa. Le donne in particolare si sottopongono a lunghissimi preparativi. L’imperativo è mostrare in tutta la sua magnificenza la veste che indossano: il simbolo della loro comunità, della loro gente, della loro storia antica di cui esse si sentono depositarie privilegiate.