I’M FROM ITALY, I’M FROM SARDINIA: L’ESEMPLARE ESPERIENZA DI VALENTINA DE IACOVO CON LA “SARDEGNA DELL’EMIGRAZIONE” DI OGGI – QUANDO LA LINGUA, “SA LIMBA”, SI PALESA ‘LUOGO EXTRA-TERRITORIALE’

Torino, Commissione di Laurea e Valentina De Iacovo durante la discussione della tesi magistrale.


di Gianni Cilloco

La Lingua – e nel caso di specie sa Limba sarda – può costituire un vero e proprio «luogo extra-territoriale», un ambito di ricchezza destinato e destinabile non solo ad un preciso gruppo di origine e di appartenenza. Tale asserto si palesa tanto più vero oggi, nella nostra realtà attuale, in costante e tradizionale connessione al mondo delle migrazioni ed, in particolare, a quello della migrazione dei giovani contemporanei. Esperienze che coinvolgono identità e rapporti umani che, in quanto tali, sono straordinarie potenzialità e strumento rivelatore di come le diversità – sebbene lontano dalla propria “casa” di origine – siano concreta fonte di coesione, di cultura e di reciproco arricchimento, piuttosto che causa di ostacolo, di divisione e di diffidenza per individui e collettività, come – purtroppo – molta opinione interessata, ignoranza e superficialità comuni paventano. Un caso concreto, a riguardo, ci viene offerto dalla storia di Valentina De Iacovo, recentemente proclamata dottore magistrale presso l’Università degli Studi di Torino – Facoltà di Lingue e Letterature Straniere. Corso di Laurea in Lingue e Letterature Moderne – con una Tesi dal titolo “La durata delle occlusive sorde del sardo campidanese: analisi fonetica di un campione di parlanti cagliaritani”. «Un lavoro frutto di una serie di positive coincidenze della vita», come Lei stessa ha sottolineato nei ringraziamenti finali al fondo del suo elaborato di studio. 26 anni, nata a Torino, genitori “continentali”, dopo un anno di progetto Erasmus in Francia, Valentina ha deciso di studiare e lavorare fuori dall’Italia. Da circa due anni vive a Londra – Inghilterra -, città ove ha lavorato dapprima come assistente di lingua in una scuola inglese e, successivamente, in una scuola francese. Abbiamo deciso di intervistarla per raccontare la sua esemplare e curiosa esperienza con la “Sardegna dell’emigrazione” di oggi.

Valentina, come sono nati i tuoi rapporti con i Sardi e la loro Lingua? «Il mio legame con la Sardegna nasce nell’autunno del 2010, quando decido di trascorrere 3 mesi a Dublino – Irlanda (N.d.R.) – per migliorare il mio inglese; lì conosco Claudia, una ragazza di Cagliari con cui si instaura subito una forte amicizia che ci porta ad andare a vivere insieme nell’ottobre dell’anno seguente, quando entrambe ci troviamo a Londra, io per lavoro, lei per studio. Al nostro incontro si uniscono altre persone: Elisa, Carlo, Simona e Francesca, tutti provenienti da Cagliari o dalla provincia, che si trovano nella capitale inglese chi per cercare un lavoro, chi per studiare, chi per fare una nuova esperienza da portare a casa. Ha inizio così il mio anno a Londra, in cui con grande sorpresa non è solo il mio inglese a migliorare: vengo a conoscenza anche della Lingua Sarda».

In che senso “vieni a conoscenza”? «Trovandomi a vivere con ragazzi Sardi e uscendo spesso con loro e gli amici di essi – a loro volta spesso Sardi – che si trovano a Londra, comincio ad imparare vocaboli nuovi, espressioni dialettali e resto affascinata dall’intonazione tipica Sarda. Noto subito l’apprezzamento nei confronti di questo mio interesse e divento “l’allieva” a cui insegnare sempre una nuova parola. Sorge così “la scusa” per poter utilizzare il Sardo più tranquillamente perchè ormai sono “una di loro”: sono molto curiosa e faccio spesso domande, cui non sempre sanno o danno una risposta – “Vale è così..e basta!” -. Rafforzo poi le connessioni del Sardo con altre lingue romanze studiate, fino ad arrivare ad utilizzare l’equivalente Sardo di molte parole italiane in modo spontaneo».

Che consapevolezza del valore del Sardo hai riscontrato nei tuoi “compagni di ventura”? «Sono affascinata dalla cultura che i Sardi si portano dietro, direi dal loro bisogno di far rientrare le loro origini in qualsiasi discorso si affronti; questo è probabilmente il contesto a richiederlo, dal momento che le differenze con la cultura inglese – e londinese – sono così diverse da quella italiana – e ancora di più regionale -. Ma a volte confrontando le mie origini con la loro, trovo in loro un attaccamento diverso. In generale, nel corso dell’anno, avendo conosciuto ovviamente altre persone provenienti dalla Sardegna, posso dire che i Sardi ci tengono particolarmente a sottolineare da dove vengono – capita spesso che presentandosi con altre persone, io dica “I’m from Italy” e la mia amica Claudia “I’m from Sardinia” -, hanno una forte consapevolezza della Sardità, nel bene e nel male – Elisa, per esempio, critica molto la mentalità chiusa di alcune persone che vivono in Sardegna, ma è forse questo un problema solo Sardo? – e sono molto aperti nel condividere la propria cultura».

Come ti è venuto in mente di scrivere una tesi sul Sardo, un oggetto così lontano – in apparenza – dalla tua identità? «È intorno a metà anno che dovendo pensare all’argomento della mia tesi magistrale mi faccio qualche idea su come questo interesse possa trasformarsi in oggetto di ricerca e decido di contattare il mio ex-docente di fonetica – il dottor Antonio Romano in particolare, con relatore, poi, il prof. Giovanni Ronco – per chiedergli se potrebbe interessargli una laurenda in materia Sarda. Lui accoglie la mia proposta in modo entusiasta e mi indirizza da subito a due o tre progetti cui mi dice di pensare; non avendo io un’idea precisa mi affido quindi alla sua proposta, lavorare sulla geminazione tipica dei Sardi nei suoni occlusivi sordi. Ne parlo subito con i miei coinquilini isolani che si dimostrano da subito interessati al progetto – e sono ben disposti a darmi qualsiasi aiuto -. Nei mesi successivi comincio quindi con ritmi altalenanti a imbastire la tesi per arrivare all’ottobre 2012, in cui ritorno a Cagliari – vi ero già stata ovviamente nell’estate! – per registrare i locutori di cui avrei successivamente analizzato le realizzazioni fonetiche. Il mio progetto affascina ovviamente la comunità locale con cui vengo a contatto, che ne esprime grande ammirazione. Tornata a Londra comincio quindi la stesura della tesi che va avanti per circa 4 mesi. Questo lavoro rappresenta sicuramente fonte di grande collaborazione da parte mia e del docente che mi segue: trovandomi io a Londra e lui a Torino i nostri contatti avvengono via mail e solo quattro volte di persona dal momento in cui ho deciso di contattarlo al momento in cui ho consegnato la tesi».

Perché all’inicipit della tua tesi hai posto la frase «Noi non scriviamo in Sardo, non ne abbiamo idea …»? Si tratta della parafrasi di qualche citazione di qualche scrittore? Oppure è un affermazione o pensiero che hai colto stando coi tuoi compagni di avventura? «L’incipit della mia tesi è un’affermazione fatta da Claudia durante la registrazione dei dati per la mia tesi, mentre io chiedo a suo padre se una delle parole test contiene una o due “t”. Mi è sembrata molto azzeccata per racchiudere il concetto alla base della mia tesi: la Lingua Sarda è una lingua prevalentemente orale, il che porta a non avere un giusto o sbagliato ma una marea di varianti, croce e delizia degli studiosi che se ne occupano».

Cosa hai sentito “di tuo”, che “ti” risuonava familiare ed “appartenere a te” nell’accostarti alla Lingua Sarda ed alla cultura dei tuoi amici Sardi? «La prima cosa che mi ha fatto accostare alla cultura Sarda è stata la passione per la cucina: il legame – non solo culinario, fortunatamente! – con Claudia ha avuto un ruolo fondamentale, lei ha subito intuito l’importanza che poteva giocare il cibo nel nostro rapporto e ha cominciato a farmi appassionare alla tradizione culinaria Sarda: culurgiones freschi portati direttamente dal negozio – Sapori di Sardegna – al ritorno a Londra, insieme a seadas, pardulas, arantzadas ... insomma, le parole sono arrivate dopo! Ho subito fatto mio questo legame con la tradizione, che insieme all’amicizia ha portato ad un’apertura totale verso la cultura Sarda».

Come hai proceduto nella tua ricerca in Sardegna: ti sei fatta segnalare persone particolari? O meglio, che “tipologia” di persone hai intervistato? «Le persone da utilizzare per raccogliere i dati dovevano essere almeno quattro adulti – possibilmente due uomini e due donne – che parlassero il Cagliaritano; arrivata a Cagliari per effettuare la registrazione dei dati, ho quindi scelto le persone, di età tra i 30 e il 60 anni e di estrazione culturale abbastanza eterogenea; il loro interesse verso la mia ricerca e il loro contributo è via via aumentato nel corso delle registrazioni, dando vita ad un lavoro estremamente valido e arricchito da una mutua riconoscenza».

Nel corso della tua ricerca in Sardegna hai percepito o cambiato in itinere sensazioni e personali riflessioni circa la Lingua e l’identità isolana? «Nel corso della mia ricerca per la tesi le mie riflessioni si sono sicuramente ampliate, rafforzando per lo più l’idea dell’attaccamento alla propria terra, che fa parte della cultura sarda, di cui ho avuto conferma durante i miei due soggiorni a Cagliari».

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