di Giovanni Masala
Meglio tardi che mai! Dopo ben 53 anni, dal 20 al 28 settembre nel Teatro lirico di Cagliari, verrà rappresentata in forma scenica I Shardana, la grande opera lirica di Ennio Porrino (Cagliari 1910-Roma 1959), forse il maggiore compositore sardo del Novecento. Stralcio dalla prefazione di G. Masala, in: Ennio Porrino, I Shardana, Stoccarda 2009 (www.sardinnia.it). Volume contenente il testo in tre atti a firma dell’autore, nonché le critiche all’indomani della rappresentazione al Teatro San Carlo di Napoli (1959) e al Teatro Massimo di Cagliari (1960). Fotografie inedite di scena della «prima», i bozzetti di Màlgari Onnis Porrino, una prefazione di G. Masala, un articolo di F. Karlinger sulla sardità dell’arte porriniana, un’intervista al compositore, la lettera-testamento di Porrino e altri materiali inediti rievocano una delle giornate più memorabili della storia dell’opera lirica contemporanea.
Sono venuto a conoscenza della rappresentazione al Teatro San Carlo di Napoli di un’opera lirica intitolata I Shardana soltanto durante il lavoro di raccolta degli scritti di Felix Karlinger sulla Sardegna. E, in effetti, una lettura approfondita degli articoli dell’etnomusicologo tedesco ha contribuito enormemente alla conoscenza, non solo di quest’opera lirica ma anche di episodi importanti della vita nonché dell’infinita messe musicale di Ennio Porrino, il cui nome è indissolubilmente legato alla Sardegna.
Nato a Cagliari nel 1910 da padre campano e madre cagliaritana e morto improvvisamente a Roma nel 1959, Porrino rappresenta indubbiamente una figura di primissimo piano nel mondo musicale del nostro paese e sicuramente la più grande della Sardegna. Ancora ventenne si afferma con la lirica Traccas (su versi di Sebastiano Satta) nel concorso nazionale La Bella Canzone Italiana. Segue una strepitosa carriera il cui apice è sicuramente costituito dalla prima rappresentazione assoluta de I Shardana al Teatro San Carlo di Napoli; la sua morte improvvisa è di circa sette mesi più tardi. È sintomatico constatare come il legame con la Sardegna apra e chiuda quindi la sua vita, terrena e musicale.
Nel 1962 l’autorevole enciclopedia musicale tedesca Die Musik in Geschichte und Gegenwart riporta che «la grande opera I Shardana fu accolta dalla critica come “la più importante opera lirica composta in Italia in questo dopoguerra”». Ed effettivamente, all’indomani della rappresentazione sancarliana del 21 marzo 1959 le critiche sono eccezionalmente positive. Sia riviste specializzate che quotidiani attribuiscono a I Shardana tanti meriti e uno soprattutto unanime: la capacità dell’artista di coniugare magistralmente l’antica e gloriosa storia sarda con la musica classica moderna, attingendo nel contempo alla musica tradizionale dell’isola mediterranea. Porrino era perfettamente consapevole che il vero patrimonio culturale dell’Italia fosse da ricercare non nell’uniformità di un’arte banalmente italiana bensì nella ricchezza e nelle diversità delle singole culture locali. Egli crea arte “glocale” ben prima che questo termine entrasse a far parte dei nostri dizionari. Il 18 marzo del 1960 I Shardana verrà rappresentata, in occasione della commemorazione del compositore, al Teatro Massimo di Cagliari, e riscuoterà anche nella capitale sarda un grandissimo successo. Dopo, il silenzio…
Già prima della rappresentazione partenopea i numerosi articoli dei maggiori quotidiani nazionali facevano presagire un’opera fuori dal comune. Nel foyer del teatro napoletano venne addirittura allestita una mostra di bronzetti sardi, e in questo modo si diede al pubblico la possibilità di ammirare un’arte sconosciuta ai più e di avvicinarlo ai manufatti risalenti all’epoca storica che per la prima volta andava in scena.
Che l’Italia musicale intera fosse in fibrillazione per l’imminente prima rappresentazione assoluta de I Shardana basta leggere la rassegna stampa dell’epoca, che testimonia con innegabile evidenza la notorietà, il prestigio e la stima di cui Porrino godeva allora nel nostro paese, e non solo come compositore ma anche come direttore d’orchestra e critico musicale. Non va dimenticato inoltre, che all’epoca della rappresentazione de I Shardana Porrino ricopriva ormai dal 1936 l’incarico di docente di armonia principale e contrappunto nel Conservatorio Santa Cecilia di Roma e dal 1951 quello di professore ordinario di composizione nella stessa istituzione musicale a cui si aggiunse, dal 1956, anche quello di Direttore del Conservatorio Giovanni Pierluigi da Palestrina di Cagliari e di Direttore Artistico dell’Ente Lirico e dell’Istituzione dei Concerti. All’estero il compositore sardo era già noto da tempo, in modo particolare grazie alle sue opere sinfoniche Sardegna e Nuraghi , eseguite più volte sia in Europa che negli Stati Uniti, e in numerose occasioni dirette da Leopold Stokowski, che in una lettera (…) così si esprime poche settimane dopo l’esecuzione di Sardegna del novembre 1949 alla Carnegie Hall con la New York Philarmonic: «Caro Signor Porrino, da quando diressi la Vostra Sardegna sono stato terribilmente occupato… Ho sempre desiderato scrivervi, ma non volevo scrivervi di premura con molte altre cose in mente… Secondo la mia opinione la Vostra Sardegna è una grande musica e nello stesso tempo un’intensa espressione del sentimento della vera vita di Sardegna. (…). Il vostro “poema sinfonico” esprime molto eloquentemente il sentimento e la vita, talvolta violentemente agitata. Altre volte la gaiezza di una festa o la danza all’aperto. (…) L’insieme è eseguito con poesia e l’atmosfera romantica di un’isola antica. L’orchestra, il pubblico ed io eravamo tutti commossi profondamente per la forza emotiva del pezzo (…)».
Ma intanto arriva il giorno della prima e a Porrino viene affidata anche la direzione d’orchestra per un’improvvisa indisposizione del Maestro Gabriele Santini. Alcuni tra i maggiori cantanti lirici dell’epoca interpretano magistralmente i personaggi del dramma musicale porriniano (Ferruccio Mazzoli, Gonnario, Giulio Mastrangelo, Orzocco, Luisa Malagrida, Bèrbera Jonia, Irene Compañez, Nibatta, Piero Guelfi, Norace e Antonio Galiè, Perdu). L’opera viene accolta dal pubblico in modo trionfale, il giudizio della critica, specialistica e non, è estremamente positivo, Ennio Porrino è il «musicista dell’anno» (Mondo Lirico). I Shardana, replicata con altrettanto successo di pubblico nello stesso teatro partenopeo il 25 e il 28 della settimana successiva, è «l’opera dell’anno» (Mondo Lirico). Leo Levi affermerà: «Il sogno del maestro Porrino, quello di dare vita al lontano mondo d’una remota Sardegna, non intesa nel senso folcloristico bensì nel suo aspetto più genuino e caratteristico scevro da ogni convenzionalità, si è avverato con la rappresentazione de I Shardana…. Abbiamo premesso che quest’opera si inserirà senza troppe “gomitate” nella piccola folla delle sue più note consorelle; ne siamo certi perché indipendentemente dalle sue prerogative artistiche, quest’opera ha il pregio di amalgamare una vasta gamma di variazioni sinfoniche sì da suscitare la sensazione d’ascoltare tutto un mondo musicale, dall’800 al contemporaneo, il tutto in una mirabile fusione armonica e di facile assimilazione… Più volte chiamato alla ribalta, il maestro Porrino, nella sua innata semplicità, appariva commosso e quasi timoroso di aver suscitato tale entusiasmo…» (I Shardana: un capolavoro di Ennio Porrino, in: Mondo Lirico). L’illustre etnomusicologo tedesco Felix Karlinger riteneva addirittura che I Shardana avesse «imboccato la strada giusta per diventare l’opera nazionale sarda par exellence» (1960).
Ma non fu così. I Shardana (se si prescinde dall’isolata esecuzione senza scenografia del 21 febbraio 2010 al Lirico di Cagliari) non è mai più stata rappresentata in alcun teatro – né sardo né del «Continente» – dall’ormai lontano 18 marzo del 1960. La mancata rappresentazione de I Shardana rappresenta, a mio avviso, soltanto la punta dell’iceberg di una politica culturale distorta che affonda le sue radici negli anni Cinquanta e Sessanta in Sardegna. Proprio in quel ventennio nell’isola andava sacrificandosi una cultura millenaria sull’altare di un’industrializzazione assolutamente inadatta al tessuto socioculturale isolano. La cultura sarda intesa come segno portatore di una diversità storica, linguistica, letteraria e musicale completamente differente da quella dell’Italia continentale, facevano dell’isola una vera e propria nazione (culturalmente intesa) all’interno dell’Italia. L’operazione economica, soprannominata allora Piano di Rinascita, convogliò nell’isola ingenti somme destinate appunto allo sviluppo dell’isola ma nel contempo significò per la Sardegna la rimozione di tutti quei saperi millenari di cui essa era depositaria: la storia (sarda), la lingua (sarda), la letteratura (sarda), la musica (sarda). Nella didattica dell’insegnamento della lingua italiana una cospicua fetta del corpo docente non tenne assolutamente in considerazione che allora la stragrande maggioranza dei bambini proveniva da famiglie sardoparlanti e che l’italiano era per gli scolari una vera e propria lingua straniera. L’abbandono scolastico raggiunse livelli da record e generò nei sardi un autentico rifiuto della propria lingua e cultura respinta violentemente dalla cultura dominante. Anche le antichissime tradizioni musicali sarde, basti pensare all’antichissima polifonia vocale e strumentale sarda, subirono una battuta d’arresto. La “vera” modernizzazione, anche musicale, non parlava, come naturale, in due lingue, ma solo in italiano, e i sardi la seguivano, affascinati… nonostante il monito di alcuni etnomusicologi stranieri, tra cui Felix Karlinger: “Ciò che in senso stretto è musica sarda può in senso lato valere come musica della civiltà occidentale, come fonte primordiale di quel retaggio dal quale furono alimentati molti secoli di storia musicale europea. Ciò che qualche ignorante deride come primitivo e barbaro, ciò che qualche sardo stesso solo con un po’ di vergogna scopre davanti al forestiero, perché egli crede che la sua musica sia troppo semplice, appartiene in realtà a quel sostrato comune dal cui seno uscirono tutti i grandi e famosi compositori del nostro continente: dal Palestrina a Verdi, da Orlando di Lasso a Mozart, Beethoven, Wagner. Ché se in un museo contempliamo con muta venerazione i resti di civiltà da lungo passate, tanto più dobbiamo apprezzare i tesori che sono contemporaneamente antichi e vivi, che non hanno perduto nulla del loro splendore, che continuano a fiorire, in dimessa semplicità e grande bellezza, in mezzo alla falsità del nostro tempo” (1958).
Ma non fu così. I Shardana, non solo capolavoro musicale ma opera con chiare connessioni identitarie fu occultata e considerata politicamente non opportuna, quindi, “pericolosa” al pari della lingua, della letteratura e della musica sarda, verrà, volontariamente o no, “dimenticata”, bandita dai teatri dell’isola e, soprattutto, rimossa dalla memoria dei sardi, da tirare fuori dopo cinquant’anni…
E ne I Shardana canterà il mitico maestro Domenico Balzani! Orgoglio Sardo!