La scorsa settimana riflettevo sul fatto che, a fronte dell’inazione e dell’assenza di argomentazioni della classe dirigente regionale, la mobilitazione delle cittadine e dei cittadini di Arborea e dintorni avesse platealmente, rumorosamente, civilmente smentito lo stigma del pocos, locos y malunidos, imponendosi con la sua massa critica su un gigante industriale che tuttavia continua ad essere determinato a portare avanti il suo progetto. Una riflessione simile l’avevo estesa nel commento a margine dell’iniziativa dell’On. Mauro Pili e dei suoi Unid@s che è culminata nell’occupazione della nave Bonaria. Avevo concluso richiamando la necessità di un risveglio di quella “costante resistenziale” tanto declamata da Lilliu, e inserita nel recente libro di Omar Onnis tra i nostri falsi miti identitari, anche se credo che l’Autore, alla luce l’esperienza di Arborea, possa benissimo riformulare quel passaggio in cui si chiede “dove sia finita questa costante antropologica oggi […] gravoso fardello culturale e politico […] che ci condanna a essere irrimediabilmente irresponsabili di noi stessi”.
La costante resistenziale sarda è comparsa, tra le righe, anche questa mattina richiamata da Pino Arlacchi durante la trasmissione andata in onda su Radiolina per iniziativa di Mauro Pili per sensibilizzare i Sardi alla necessità di opporsi allo sbarco in massa di 600 detenuti in regime di massima sicurezza (di cui 300 in regime di 41 bis, a detta dell’Onorevole). Arlacchi, calabrese, ordinario di sociologia all’Università di Sassari, attualmente parlamentare europeo eletto tra le fila dell’IDV, è tra i massimi esperti mondiali di criminalità organizzata. Nel suo libro del 2007 “Perché non c’è la mafia in Sardegna. Le radici di una anarchia ordinata” l’eurodeputato ha sostenuto che l’isola è l’unica regione italiana nella quale la cultura mafiosa non è riuscita a mettere radici a causa del profondo senso di auto-giustizia dei sardi derivante dalla mentalità della vendetta barbaricina illustrata da Pigliaru: “Se la giustizia è qualcosa che ha a che fare con la stima di se stessi, essa è un fatto personale, che non può essere delegato. Né al Leviatano statale, né a quello mafioso. Da qui la ribellione degli individui che rivendicano un diritto umano di base contro un potere che tenta di sopraffare. È estranea perciò alla mentalità sarda la passività, l’accettazione rassegnata del torto e dell’umiliazione grave che hanno afflitto i territori della mafia” (pp. 14-15). Da qui l’esortazione di Arlacchi al recupero dell’atavico senso di auto giustizia dei Sardi per opporsi all’arrivo di questi detenuti speciali.
Durante l’intervista Arlacchi ha definito “una scelta tecnica sbagliata” riunire in un’unica regione il 50% dei mafiosi incarcerati. In un’ottica di gestione dei detenuti, se è vero che i contatti con le famiglie sono limitati e in regime di separazione fisica, i contatti tra detenuti nella loro vita carceraria sono possibili e frequenti, e questo produce un rischio immediato in un’ottica di sicurezza nazionale, che dovrebbe essere tutelata distribuendo questi soggetti ad alta pericolosità nelle carceri di massima sicurezza presenti su tutto il continente.
L’On. Pili si è dischiarato preoccupato delle possibili relazioni criminali che possono instaurarsi all’esterno del carcere: di fatto, i recenti sequestri di immobili attuati nel nord Sardegna dalla procura di Palermo e le speculazioni mafiose sull’eolico hanno mostrato che la Sardegna è già un terreno su cui la mafia concentra l’attenzione, per non parlare delle opere infrastrutturali e delle attività legate al movimento terra. Il caso Lombardia è, in questo, esemplificativo. Arlacchi spiega che le connivenze mafiose oggi attive nel nord Italia hanno originato dai detenuti inviati in quelle regioni al soggiorno obbligato negli anni Settanta. L’Isola ha già avuto, nel corso del tempo, la sua quota di detenuti al 41 bis, ma lo studioso afferma che da noi gli anticorpi sociali sono stati radicalmente più forti e in grado di impedire quello che è accaduto al nord. Tuttavia, uno sbarco massiccio di queste dimensioni mette a rischio la resistenza di questi anticorpi, e per questo è fondamentale evitare che lo Stato si cimenti in esperimenti pericolosi. Come l’arrivo di Totò Riina nel nuovo carcere di Bancali a Sassari, annunciato da Pili.
L’arrivo del vecchio capomafia, argomenta Arlacchi, insieme con la presenza di altri del suo calibro, favorisce il rinsaldamento della vecchia élite di cosa nostra, e può mettere a rischio il tessuto economico e sociale sardo con lo sviluppo di legami trasversali con la criminalità locale: in primis le estorsioni, poi i traffici illeciti e la corruzione degli amministratori locali, con il conseguente degrado della vita pubblica. Per questo la Regione deve fare fronte comune contro questa decisione, reagendo immediatamente e facendo valere le ragioni dell’isola davanti alla ministra della giustizia. Non si tratta di rivendicare la sindrome di NIMBY (not in my backyard, non nel mio cortile) dal momento che l’Isola già ospita detenuti al 41 bis, ma di dimostrare e motivare le ragioni del no su quella che sarebbe la migliore strategia per la sicurezza nazionale: ovvero suddividere questi detenuti speciali tra tutte le carceri di massima sicurezza sul territorio nazionale e farlo nell’immediato. Peraltro la criminalità in Sardegna, se si escludono i casi di riciclaggio nel nord, mostra un trend positivo che bisogna salvaguardare evitando che l’isola si trasformi in un campo di battaglia contro la mafia. La decisione che ha riguardato la Sardegna è stata presa senza che alcuno se ne assumesse la paternità, nel silenzio dei media nazionali, e senza che i Sardi conoscano le ragioni e le regole di una lotta pericolosa che deve essere tra lo Stato e Cosa Nostra ma si sta trasformando in una lotta impari tra l’isola e la mafia, lotta che la Sardegna non potrà sopportare da sola, anche alla luce dell’attuale crisi economica e sociale, e che può corrompere l’immagine positiva che si è costruita in questi anni.
La chiosa dell’On. Pili è sulla mancanza di azioni abilitanti e formazione specifica degli operatori delle carceri sarde, confermata da Arlacchi che lamenta la mancanza di una valutazione dei carichi di lavoro extra che graveranno sulla polizia penitenziaria a livello locale, e l’assenza di valutazioni collaterali concertate con le autorità locali, riservando alla Sardegna un trattamento da colonia. Conclude l’eurodeputato che sebbene la Sardegna e i Sardi abbiano mostrato nel tempo fattori di resistenza molto forti, questo patrimonio genetico non può essere messo alla prova, perché la storica balentia dei sardi non potrà tenere davanti alla violenza mafiosa.
Restiamo in attesa di sapere se e quali reazioni produrranno le analisi del Prof. Arlacchi, e se si attiverà tra i rappresentanti della politica regionale, le autorità locali e tutti i Sardi la mitica costante resistenziale.