di Sergio Portas
Anche questa volta mi sono scordato di chiedere ad Alberto Scalas, pittore oristanese, cosa ci facessero i suoi genitori a Milano in quel 1947 che lo vide nascere nella città meneghina, salvo poi ritornare alle origini familiari tre anni più tardi in quell’Oristano dove ebbe a incontrare alle scuole medie Antonio Corriga che fu suo maestro fondamentale anche nella scelta della carriera artistica. In verità a Milano ci tornò di nuovo, erano gli anni ’70 e il clima politico recitava scene di “rivoluzione permanente”, di possibilità mai prima sperimentate di cambiamenti epocali nella gestione del potere borghese, la classe operaia e le sue forze organizzate nel sindacato, nei partiti tradizionali, spinta dalle avanguardie extraparlamentari che manifestavano un giorno sì e l’altro anche, non avevano altro da fare che raccoglierlo ed esercitarlo questo potere, a vantaggio del “popolo”, ovviamente. Nei restanti dieci anni, tornò in Sardegna definitivamente nell’ ’80, Antonio Scalas fu “artista militante”, dipinse murales, si avvicinò alla “Pop Art” con particolare riferimento al Realismo Esistenziale. Fece politica, ebbe grande frequentazione con Raffaelino De Grada, pilastro della sinistra comunista milanese e grande critico d’arte, scomparso nel 2010. Quale migliore sito per questa sua ennesima mostra che titola: “Ritratti ed Autoritratti, omaggio a Charles Darwin” della Camera del Lavoro di Milano di C.so di Porta Vittoria? Oggi, 23 di aprile, c’è più che un po’ di mestizia che traspare dai visi dei convenuti ( me compreso). Gli è che in questo luogo, avamposto di tante battaglie sindacali della sinistra milanese, l’esito delle ultime scelte politiche del cosiddetto “centrosisnistra” ( leggi PD) che hanno portato alla rielezione del presidente Napolitano con conseguente nascita del governo di “larghe intese” ha avuto l’effetto di un uno-due con conseguente KO per dirigenti, militanti, elettori, sognatori sempiterni di un cambiamento sempiternemente rimandato alle calende greche. D’accordo i pentastellati di Giuseppe Piero Grillo da Genova con la loro “intransigenza rivoluzionaria a trecentosessantacinque gradi”, ci hanno pure messo del loro. Eppure assistere al tracollo di un partito che pure aveva preso un terzo dei voti italiani nelle ultime elezioni, eleggendo un numero spropositato di rappresentanti anche grazie a una scellerata legge elettorale che la destra berlusconiana si era auto cucita addosso in grande solitudine (infischiandosene che la legge elettorale deve essere cosa di tutti), con l’aiuto indispensabile dei leghisti e indipendentisti di Umberto Bossi ( l’ultrafamosa porcata di Calderoli), mentre i rampolli di cotanto statista compravano macchine e barche d’altura coi soldi del finanziamento pubblico, ha lasciato tutti inebetiti. Straniti, come se si fosse materializzato un fantasma, svelando che quello che appena un attimo prima pareva un partito vivo e vegeto era in realtà morto, chissà da quando. Ora tocca leggere nei giornali borghesi che il Cavaliere è tornato a esigere un ruolo da Padre costituente, e come scrive Filippo Ceccarelli su “Repubblica” del 1° maggio: “ a forza di scherzare in Italia le cose si avverano e anzi superano qualsiasi leggiadra congettura” e fa bene ad elencare una serie di porcate, sorelle di quella legge che dicevamo prima, mai abbastanza sottolineate, spesso sottaciute dai “media indipendenti”, che hanno contribuito a sprofondare nel ridicolo la reputazione del Belpaese in cui viviamo, non le cito tutte che non avrei spazio sufficiente: “… il conflitto d’interessi, gli avvocati e le vallette in Parlamento, le miss al governo, le leggi ad personam, i processi, le condanne e dunque gli attacchi alle procure e le valutazioni sulla salute psichica dei magistrati, i riferimenti bonari a Mussolini e al fascismo, lo stalliere in casa, le barzellette sessiste…”. Vicepresidente del nuovo governo quell’ Alfano che, da ministro di Giustizia, si premurava di studiare i “lodi” che dessero “Disposizioni in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato”. Che ci fosse aria di funerale alla Camera del Lavoro vi pare esagerato? I Darwin di Scalas appesi alle pareti ci guardano beffardi, a ricordarci la nostra discendenza animale, “cogito” è uno scimmione dagli occhi infuocati, l’autoritratto è Antonio mezzo scimmia pelosa e mezzo umano che pure esibisce un grugno scimmiesco assolutamente non amichevole. “Famiglia” sono due aquile reali in cima ad un albero contorto su cui è il loro nido con due aquilotti dentro, che si apprestano a volare e a predare come i genitori loro. Che la natura questo ha costruito nei loro geni perché la vita si propagasse. La stessa vita che fa scappare a gambe levate una serie di capriolo e daini, di singolare leggerezza di forme e colori. Ma sono anche coccodrilli e tigri e leoni, tutto un bestiario di prede e cacciatori che si intreccia mirabilmente a magnificare quel quadro del vivente che Darwin ha delineato per la nostra cultura. E che ancora regge ogni falsificazione popperiana, anche se deve scontare la guerra totale che i creazionisti che si rifanno alla “Bibbia libro sacro che quindi non può mentire” gli fanno sopratutto negli Stati Uniti, da noi anche col ministero Moratti alla pubblica istruzione, e sapeste che risate in Europa! La lettura delle sequenze del DNA, la doppia elica che ci fa riprodurre noi e le piante di questo mondo, ci dice che per il 98% esso è uguale a quello del topo, quello degli scimpanzè e per alcuni versi del gorilla è ancora più simile al nostro di “scimmie nude”. Con loro quindi abbiamo avuto un “antenato comune” da cui ci siamo separati una decina di milioni d’anni fa. Paolo Sirena che a Villanovaforru dirige il Museo e il Consorzio turistico “Sa Corona Arrubia”, ci fa vedere con gli occhi del critico d’arte alcuni dei lavori di Scalas, facendoci notare quanto di Darwin ci sia anche in Alberto, con una evoluzione che per altri versi torna su se stessa. La linee di forza che spesso si concentrano nei quadri del pittore oristanese, che pure sono caratterizzati da intensi spazi di riflessione. Che la famiglia sia di rapaci dice cosa l’autore pensi possa diventare la cellula che regge l’umana società. E i fenicotteri delicatamente rosati che Scalas ha potuto ammirare nell’oristanese e negli stagni di Cagliari, ha a sottotitolo “migrante” come tanti sardi che sono oggi qui alla sua mostra. E migrante di ritorno è un po’ anche lui, milanese per caso e sardo per scelta di vita e famiglia. Tonino Mulas, emerito presidente FASI, ricorda il lavoro di operatore culturale che Alberto Scalas svolge a Cagliari oramai da una decina d’anni, a piazza del Carmine riesce a mettere insieme un numero di pittori sardi davvero notevole sotto il nome di “Arte in città”, dal 2004 è anche direttore artistico dell’Associazione culturale “Caffè dell’Arte” (presidente il gestore del locale dove si svolgono le mostre). Insomma lui che ha cominciato ad esporre in mostre collettive sin dal 1969 ad Oristano e avrà fatto non meno di quindici “personali” sopratutto in Sardegna e a Milano oggi si spende per i nuovi artisti isolani. Magari in ricordo di quel ragazzo poco più che ventenne che è stato lui, nel ’68 mitico, quando per fare a Bari una mostra per il Movimento Studentesco ci si andava con uno scassatissimo camioncino, insieme ai “compagni milanesi”. Che come lui erano allora e “dadaisti” e “surrealisti”, convinti comunque di dover fare una pittura di impegno sociale che dovesse parlare alla società. Tra i quadri che non sono di animali ce ne è uno rosso di tinta che raffigura uomini che lottano in un abbraccio avvinti l’uno contro l’altro, una lotta di classe che non cessa, costitutiva del nostro interagire politico modernamente inteso secondo quelle direttive studiate da un pensatore ebreo tedesco contemporaneo di Darwin, Carlo come lui , a cognome Marx. Che molto seppe dirci del capitalismo che ci fa econom
icamente agire, molto anche delle dinamiche che sottendono alla distribuzione del reddito che viene generato. Ora che il capitalismo mondiale sembra in crisi di identità ( 19 milioni di disoccupati in Europa) Alberto Scalas continua ad occuparsi del “bello”, convinto che sia questa la chiave che porterà ad una rivoluzione di umanità universalmente condivisa.