È in via di ripartizione la spesa dei fondi stanziati dalla Giunta regionale sarda per un importo complessivo di 10 milioni di euro per il disinquinamento e la bonifica di aeree industriali dismesse e il recupero e la bonifica di siti minerari chiusi o esausti. In particolare con le delibere sono stati assegnati 4 milioni di euro a favore del Comune di Portoscuso per il completamento degli interventi previsti dal Piano di disinquinamento del Sulcis Iglesiente e la realizzazione di un ulteriore intervento di bonifica di aree pubbliche; inoltre, sempre in conformità con il Piano di bonifica dei siti inquinati e con quello delle bonifiche dei siti minerari dismessi del Sulcis Iglesiente Guspinese, sono stati stanziati 6 milioni e 112mila euro. Interventi differenziati conoscendo il territorio. “Diciamo che un’azienda corretta dovrebbe disinquinare, man mano che lavora; ma questo non è mai avvenuto in Sardegna. Hanno tutti lavorato, ma sono tutti andati via senza preoccuparsi di disinquinare, lasciando tutto a carico dell’Isola”, spiega Luciano Ottelli, che è stato direttore del parco geominerario della Sardegna ed è uno dei massimi esperti in recupero e gestione di siti minerari dismessi. Le cifre stanziate dalla Giunta, “se sono destinate a iniziative mirate e ridotte, forse serviranno. Ma i fondi sono decisamente insufficienti per fare le bonifiche necessarie”. Ad esempio, “nel territorio di Iglesias non si può lontanamente pensare di bonificare con queste cifre. I conti si fanno velocemente. Basti considerare i quantitativi di materiale da smaltire, i costi di trasporto e movimentazione: il lavoro è molto”. Per Ottelli l’augurio è che i fondi vengano usati per iniziare subito le bonifiche “ma che non servano per ulteriori studi e analisi: ne sono stati fatti migliaia perché si ha paura di affrontare veramente il problema delle bonifiche. Sono stati spesi finora una marea di soldi, ma troppo poco è stato fatto da un punto di vista concreto”. Non è stato creato un futuro. Il problema dei residui minerari che si sono formati durante lo sfruttamento intensivo dagli anni Trenta ai Sessanta del Novecento “inizialmente non è stato considerato dalle popolazioni, che nelle miniere hanno visto la salvezza dell’area e forse anche la possibilità di un riscatto sociale. Ma la gente non ha colpe perché prima non c’era una cultura di tipo ambientale”. Il panorama caratterizzato da “depositi di vario tipo, materiali inerti di scavo, grandi bacini per milioni di metri cubi, fanghi rossi, scorie fondiarie – afferma il geologo – necessita d’interventi differenziati e di una conoscenza approfondita sia del territorio sia dei detriti da bonificare: ma oggi i minatori stanno andando via tutti, non si è giunti a creare una nuova economia; con la fine delle miniere e una bonifica seria si sarebbe dovuto dare un futuro a queste popolazioni. Invece siamo davanti a una nuova disperazione. L’unica cosa che conta è che si utilizzino giovani per fare questi lavori, perché così si crea occupazione in un’area dove manca”. Risanare in maniera creativa. Per Giovanni Sistu, professore di geografia economico-politica presso la facoltà di Scienze politiche di Cagliari, “questi fondi devono essere un punto di partenza per cominciare a guardare oltre ai semplici interventi d’emergenza. Il fallimento delle imprese industriali è un dato di fatto, le miniere sono infruttuose da tempo e l’inquinamento è reale. Le prospettive di bonifica del territorio partono da progetti che hanno dato già risultati in vari siti minerari dismessi. La gestione operativa di questi interventi deve essere strategica con chi già lavora in loco”. Secondo Sistu “si richiederanno competenze specialistiche affidate con appalti esterni, ma supportate dalla grande esperienza tecnica pre-esistente”. Il professore ricorda che “la Regione ha un Piano d’azione ambientale regionale e interventi straordinari specifici, ma manca il censimento di siti inquinati, fermo al 2008”. Ora il problema è “se le bonifiche saranno risolutive per il disinquinamento o resteranno solo un modo per offrire nuova occupazione”. Certo, rileva Sistu, “di siti altamente inquinati come Porto Torres non sappiamo ancora nulla; quindi, da un lato, bisogna completare il censimento, dall’altro bisognerà individuare gli interventi veramente necessari e non realizzati per creare consenso elettorale locale”. Non solo: “Occorre usare le attività di risanamento anche in maniera creativa, per formare nuove professionalità che possano essere spese pure all’esterno. Allora sì – conclude Sistu – il risanamento ambientale diverrà opportunità di lavoro. Inoltre, dovremo pensare come far sì che i siti risanati e recuperati vivano un nuovo futuro, per esempio legato al turismo”.
DOPO LO SFRUTTAMENTO, I FONDI PER IL DISINQUINAMENTO E LA BONIFICA DI AREE INDUSTRIALI E SITI MINERARI
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