“Per essere facili avremmo dovuto snaturare, impoverire un dibattito che versava su concetti di massima importanza, sulla sostanza più intima e più preziosa del nostro spirito. Far questo non è essere facili: significa frodare, tal quale il vinattiere che vende acqua tinta per barolo o lambrusco.”
Comincia con questa citazione tratta da un articolo di Antonio Gramsci apparso su Il Grido del Popolo nel maggio del 1919, il libro di Luca Paulesu Nino mi chiamo. Fantabiografia del piccolo Antonio Gramsci
E non era propriamente un libro “facile”, gramscianamente parlando, quello che è stato presentato splendidamente dall’autore a Roma il 26 aprile scorso nell’accogliente e gremita sala Italia dell’Unar – la Federazione della Associazioni Regionali, di cui fa parte e dove il Il Gremio dei Sardi di Roma ha la sua sede.
Nonostante il mezzo espressivo del libro sia principalmente il fumetto, ci racconta Luca Paulesu che proprio nel disegno conferma le sue grandi capacità, genere “facile” per naturale vocazione, questa volta il mezzo non è stato utilizzato per “parlare facile”.
Nino mi chiamo, non è infatti la biografia giovanile a fumetto di Antonio, o meglio di Nino, come fu sempre chiamato in famiglia.
In questa ricostruzione fantabiografica della vita e del pensiero di Nino, l’autore italiano più citato nel mondo, oggetto di una “renaissance” di studi in Italia e all’estero, si comincia da un punto di partenza originario, dall’interno della casa Gramsci di Ghilarza, dalla biblioteca di famiglia, formata dai molti volumi utilizzati da Antonio e inviati da Torino e dal carcere di Turi di Bari nella casa in Sardegna perché costituissero la base di partenza per una biblioteca di famiglia.
Sono stati i suoi libri, quelli dell’adolescenza e quelli del carcere, questi ultimi con impresso il numero di matricola e il timbro del penitenziario di Turi di Bari, a stabilire il collegamento affettivo tra Nino e i suoi discendenti.
Antonio Casu, direttore della Biblioteca della Camera dei Deputati, si sofferma a lungo sulle pagine dell’introduzione, dove Paulesu racconta come si è andata strutturando la memoria all’interno della famiglia sarda dei Gramsci, prima con la conservazione di lettere e documenti, che negli anni sono state cedute ai fini di studio alla Fondazione Gramsci di Roma, poi con i racconti della nonna Teresa, la sorella di Antonio, ai nipoti, e ancora con la nascita del museo di Casa Gramsci a Ghilarza, luogo pubblico della memoria per eccellenza, e infine con la custodia e la lettura dei libri della biblioteca di famiglia. Quest’ultimo è il modo con cui Nino è rientrato in famiglia, parlando di se: un diretto e inequivocabile invito alla lettura. Parafrasando e allargando la speculazione gramsciana, contenuta in una nota dei Quaderni del carcere, sulla massima di Feuerbach “L’uomo è quello che mangia”, Casu chiudeva il suo intervento affermando che “L’uomo è anche la sua biblioteca”.
“ Nino”, racconta Luca Paulesu, è un piccolo Antonio, dal corpo gracile ma dalla testa poderosa, ritratto nella casa di Ghilarza. Ogni episodio della sua infanzia reso celebre dai biografi ufficiali diventa il pretesto narrativo per fare dialogare il piccolo Nino con i grandi temi del suo pensiero da adulto, l’egemonia, la guerra di posizione e la guerra di movimento, l’intellettuale organico, la subalternità, il partito come moderno Principe. L’autore ripercorre gli aspetti più importanti della biografia umana, politica e intellettuale di Antonio con brevi note che precedono i capitoli in cui si sviluppa la storia a disegno di questo piccolo sardo, supereroe subalterno, senza superpoteri.
Il ‘900 del giornalismo e della pubblicistica politica e culturale, la sconfitta del socialismo, la classe politica, il cortile di casa come metafore del carcerario, i dialoghi con Benedetto Croce sulla funzione degli intellettuali nella società, le eroine russe dei grandi classici tolstoiani.
Ai disegni si intercalano citazioni da le Lettere e dai Quaderni del carcere, inseriti nell’intreccio narrativo o come nota in calce alle immagini; foto di famiglia, documenti, citazioni tratte dalle arti figurative, temi della scuola elementare dei piccoli Gramsci, aiutano a delineare meglio i contorni di questa figura storica.
Nino è indiscutibilmente sardo, nell’avere condiviso la sorte e il destino difficile degli ultimi, è sardo nello sguardo critico che getta sulla modernità di allora, è sardo nel modo con cui reinterpreta le geografie del potere di un mondo grande, terribile e complicato.
Nella fantabiografia Nino finisce per misurarsi nuovamente con Palmiro Togliatti, ritratto nelle invisibili spoglie de “l’amico immaginario”, anche se come dice Nino il tempo è passato e “non mi importa più, se mi mette in disordine i quaderni”.
Il Prof. Sabatini, presedente della Fondazione Silone, ripercorre la storia degli studi sul nostro pensatore, soffermandosi sulla recente stagione biografica italiana, ancora piegata agli interessi di parte quando non interessata a cercare la prova di quaderni rubati, tradimenti politici, abiura e conversione religiosa, o semplicemente il bandolo della matassa per formulare accettabili interpretazioni “esopiche” degli scritti carcerari.
A guardare al passato certo non si può negare che tradimento a danno di Antonio ci fu, nel partito, nel primissimo dopoguerra. Quando Ignazio Silone rese pubblica la lettera del 1926 di Antonio a Togliatti, di aperta critica nei confronti del Partito Comunista Bolscevico, il PCI affidò all’Unità, quotidiano fondato da Antonio Gramsci la smentita della veridicità del carteggio. Sabatini, ricorda con amarezza quanto furono dolorose per Silone le illazioni sulla sua sopravvenuta pazzia. Togliatti decise di rendere pubblico il carteggio solo nel 1963, pochi mesi prima della sua morte.
Alcuni associati sardi del Gremio presenti in sala, a partire dal presidente Masia (che ha letto suscitando commozione e coinvolgimento fra gli ospiti, il famoso brano di Gramsci “Odio gli indifferenti”) hanno raccontato il loro rapporto personalissimo di conoscenza e/o di affetto con il grande autore. C’è chi ha redatto la biografia di Nino per una enciclopedia e chi aveva fatto degli scritti di Antonio l’oggetto privilegiato di una vita di studio. Particolarmente interessanti gli interventi di Gaspare Mura e di Neria De Giovanni.
Il prof Gaspare Mura, filosofo (figlio del noto scrittore e poeta sardo Antonino Mura Ena) professore ordinario emerito di Filosofia della Pontificia Università Urbaniana, nel ricordare i rapporti del padre con il PCI di Gramsci, evidenzia il carattere prevalentemente umanistico e spirituale del pensiero politico e culturale del grande sardo, e non materialistico come potrebbe far pensare l’appartenenza a quel partito.
La prof.ssa Neria De Giovanni, scrittrice (molte le sue opere su Grazia Deledda) e presidente dell Aicl – Associazione internazionale dei Critici Letterari – ci tiene a ricordare il grande e meritevole impegno della sorella di Antonio, Teresina, a favore della diffusione della conoscenza di Grazia Deledda nell’ambito femminile di Ghilarza, attraverso appositi incontri e dibattiti. .
Sa Die de sa Sardigna, storicamente richiamata e descritta da Masia nella sua introduzione all’evento e dedicata, come lo saranno tutti gli eventi del 2013, al 65° anno della fondazione del prestigioso Gremio (nato il giorno di pasquetta dell’aprile 1948 per opera di lungimiranti sardi a Roma), ha voluto in questa occasione ricordare, con l’orgoglio e la passione dei suoi soci, uno dei più figli più grandi e più amati della nostra Isola.