di Paolo Pulina
Alcuni elementi bio-bibliografici uniscono due scrittori che hanno conquistato recentemente la ribalta nazionale: si tratta di Cinthia Collu e Marco Cubeddu. Vediamo la scheda biografica e bibliografica di ciascuno dei due (le citazioni tra virgolette «…» sono tratte da Internet).
CYNTHIA COLLU
È nata a Milano, dove vive e lavora. Ha frequentato l’Accademia serale di Brera, fatto mostre personali e collettive, insegnato lingue presso un Istituto Professionale, seguito un corso quadriennale di teatro con Claudio Orlandini, direttore artistico di “Quelli di Grock”. Poi ha deciso di dedicarsi alla scrittura. Nel 2007 ha vinto il premio letterario “Arturo Loria” e nel 2008 il “Castelfiorentino”. Suoi racconti sono stati pubblicati in antologie (“Fiocco rosa”; Fernandel, 2009) e riviste (“Linus”, “L’Accalappiacani”). Il suo primo romanzo “Una bambina sbagliata” (Mondadori, pagine 350) è uscito il 14 aprile 2009, data per lei doppiamente importante perché ha visto, anni fa, la nascita di un’altra creatura: suo figlio Corrado. Ha vinto il Premio letterario “Giuseppe Berto” 2009 per l’opera prima.
Ecco come è arrivata a pubblicare il suo romanzo d’esordio “Una bambina sbagliata” presso Mondadori: «Frequentavo una scuola di scrittura, la Bachmann di Milano. I nostri docenti erano tutti bravi scrittori ed editor, come Rollo, Bricchi, Centovalle e molti altri. A un certo punto mi sono stancata di mandare in giro per case editrici le copie del mio libro, e ho trovato il coraggio di chiedere a uno di loro di leggere il romanzo. Lui sapeva come scrivevo, e ha accettato. Ne è rimasto entusiasta. Da lì è cominciata l’avventura del mio libro. In Mondadori ha dovuto passare uno sbarramento di letture incrociate prima del “sì” definitivo, ma per fortuna ha convinto tutti. Precedentemente avevo inviato il romanzo a parecchie case editrici – una trentina, mi sembra di ricordare – ma tutte avevano risposto che “non rientrava nella linea editoriale”. Adesso tengo le loro risposte sulla mia scrivania, in una cartelletta bene in vista». E ancora: «Sì, è stato per me un gran bell’esordio, uno di quelli che ti fanno dire che i miracoli accadono ancora. Quando mi son sentita dire, dal direttore della Collana Narrativa, “benvenuta in Mondadori”, ho provato un’emozione che mi ha spiazzata tanto era forte. Poi è arrivato il Premio Berto. Inaspettato».
Descrizione di “Una bambina sbagliata”
La protagonista è una bambina costretta a crescere tra la Sardegna e Milano, picchiata dal padre, senza affetto materno. L’amore che non riceve la convince d’essere “sbagliata”. Il romanzo ripercorre le tracce della sua infanzia, fino all’adolescenza, il suo difficile rapporto con gli uomini e il suo “sentirsi sempre mancare qualcosa” anche quando riuscirà a realizzarsi.
«In ospedale, al capezzale del padre e accanto alla madre che lo veglia, Thea Ligas aspetta i suoi fratelli rievocando la propria esistenza. Dalla primissima infanzia, trascorsa in Sardegna insieme ai nonni, entrambi sardi, alla vita coi genitori nella periferia milanese degli anni Cinquanta e Sessanta, la protagonista narra le vicende di diverse generazioni alle prese con l’asprezza del vivere.
Tra i personaggi spicca una Milano letterariamente inedita, proletaria e grigia ma animata da elementi di imprevedibile e profondissima umanità, perché la narratrice abbraccia con indulgenza tutti i suoi personaggi e ne porta alla luce colpe e motivazioni. La giovane Thea si affanna a crescere cercando di dare un senso alla sua vita segnata dall’alcolismo del padre e dal disamore della madre. Ad alleggerire l’atmosfera familiare cupa e oppressiva contribuisce in parte la presenza dei fratelli, Marco e Giulio-che-sa-di-biscotto: per loro, nelle notti di vento forte e luci gelide, Thea si trasforma in Peter Fan, sollevando piano la tapparella della cameretta e dicendo “buffe cose alle stelle”. Ma il destino incrudelisce sulla loro innocenza, mentre lei, ormai lontana da casa, cercherà di percorrere la propria difficile strada di “bambina sbagliata” sperimentando la bohème cittadina, la politica e il teatro, continuamente in bilico tra l’orgogliosa affermazione della propria indipendenza e l’inevitabile bisogno d’amore».
Quel “paesino della Sardegna” è Ploaghe
Da “Una bambina sbagliata”: «Nonna Cosma, l’Unica, la Terribile, superava a malapena il metro e quaranta, nera di capelli e di pelle, il viso severo, gli occhi piccoli e grigi. Nacque in un paesino della Sardegna, in mezzo agli ulivi e alla cacca delle capre. Per un’estensione di circa trenta ettari tutte quelle piante, ulivi pini e querce di sughero, appartenevano alla sua famiglia, cacca delle capre compresa. Quando crebbe, nonostante avesse frequentato fino alla sesta classe – cosa straordinaria per quell’epoca, avrebbe potuto insegnare alle elementari – accettò di lavorare in un panificio. […] Nonno Gavino era nato povero, povero come la terra su cui aveva imparato a camminare: arbusti, sterpaglia, cardi selvatici e nient’altro a perdita d’occhio se non qualche ulivo contorto. Sopra, un cielo terso e grande. Il nonno aveva fame, sempre. Da quando era nato, il suo pensiero costante era trovare qualcosa da mangiare.[…] Diventò socialista; dopo poco fu assunto nell’Arma dei carabinieri, gli diedero un bel cavallo grigio, ed era un piacere vederlo mentre cavalcava dritto come un fuso per le strade del paese. Dovette essere un piacere soprattutto per le donne del posto, perché un marito geloso protestò dal maresciallo di zona, e il nonno si trovò trasferito nel nord della Sardegna. Non aveva fatto in tempo a procurarsi la tessera comunale, ed era senza divisa e soprattutto senza il cavallo il giorno che entrò nel panificio dove lavorava Cosma. La conobbe così, in mezzo ai profumi dei dolci appena sfornati, e gli parve desiderabile come una pagnottella dalla crosta scura, ma che voglia di metterci sopra i denti e di sentirla morbida e tenera dentro. Che voglia, Eia!». «Nonna preferì tenersi il morto di fame e fu diseredata. Il giorno delle nozze, appena usciti dalla chiesa, gli sposi fecero più volte il giro della piazza tra gli applausi divertiti dei bifolchi, entrambi poveri ma felici, lui alto e bellissimo, lei appesa per tutto il tempo al suo braccio, come un ombrello».
Come mi ha informato personalmente Cynthia Collu (che era tra gli scrittori che hanno partecipato al quinto Congresso della FASI – Federazione delle Associazioni Sarde in Italia –, tenutosi ad Abano Terme, in provincia di Padova, dal 21 al 23 ottobre 2011), la nonna, di Ploaghe, si chiamava Maria Pulina; il nonno, di Decimomannu, Giuseppe Collu. I nomi dei genitori della scrittrice: Fiorenzo Collu e Nicoletta Linzalone (di Gioia del Colle).
MARCO CUBEDDU
È nato a Genova nel 1987. Dopo il diploma, negli anni 2006-2008, a Torino ha frequentato la Scuola Holden (corsi di sceneggiatura cinematografica; scrittura di romanzo e racconto; ecc.), mantenendosi facendo il pompiere. Sotto vari pseudonimi pubblica regolarmente racconti su “Nuovi Argomenti”. Studia fotografia e arte contemporanea. “C.U.B.A.M.S.C. Con una bomba a mano sul cuore” (Mondadori, pagine 372), è il suo primo romanzo.
Ecco cosa ha dichiarato riguardo alla Scuola Holden: «Parliamo della Holden… Non può insegnarti a scrivere come Nabokov, ma può insegnarti a scrivere come Raymond Carver. Penso che ci vorrebbero molte più scuole Holden, soprattutto ora che si sta riorganizzando grandiosamente. Ha molti margini di miglioramento, a partire dalla selezione degli studenti che purtroppo, mediamente, sono dei fichetti hipster senza alcun talento e nessuna voglia di darsi da fare. Dovrebbero essere forgiati come in una caserma della Legione straniera».
Nella finzione letteraria di Cubeddu l’avvocata di Alessandro Spera [il narratore, alter ego dello scrittore: Cubeddu finge di essere il tramite per la pubblicazione della lunga confessione di questo famoso scrittore, di cui per dieci anni si erano perse le tracce] spiega l’origine di un titolo particolare come “C.U.B.A.M.S.C. Con una bomba a mano sul cuore”: «Alessandro Spera, sempre attento alle questioni di marketing, non indicava il titolo per il suo romanzo. Nella lettera di accompagnamento mi suggeriva di lasciar fare ad Antonio Franchini [mitico editor, responsabile della Narrativa Mondadori], “quel ninja ha un fiuto infallibile per queste cose”. […] Fortunatamente nella stessa pagina di agenda, ecco che compariva: “Adesso che l’ho rivista, mi sento con una bomba”. “Con una bomba a mano sul cuore” diventò immediatamente il titolo di lavorazione. Per comodità, negli infiniti scambi di mail con Antonio Franchini, indicavo come oggetto l’acronimo c.u.b.a.m.s.c. A furia di aggiornare i nuovi passaggi del file, ero finita a chiamarlo in quel modo anche a voce. Pochi giorni prima di licenziare le bozze per la stampa, domandai ad Antonio: “Ma siamo sicuri del titolo? Alessandro Spera vorrebbe un successo strepitoso per C.U.B.A.M.S.C.”. E lui: “Perfetto. Perché non lo chiamiamo così? 16 aprile 2029 [non è un refuso!]».
Descrizione di “C.U.B.A.M.S.C. Con una bomba a mano sul cuore”.
«Il nuovo enfant terrible della narrativa italiana è arrivato. L’anello mancante tra Andrea Sperelli e Stewie Griffin. Alessandro Spera, il più famoso scrittore italiano, è scomparso. Nessuno sa dove sia fuggito il giorno in cui ha fatto irruzione al matrimonio del suo grande amore, Mel-In-Wonderland, con il surfista australiano Toby Paramore, massacrando a colpi di mitra i futuri sposi e tutti gli invitati. Dopo dieci anni rompe il suo silenzio con una lunga confessione che ripercorre la sua vita sregolata, dalle prime esperienze sessuali alla scuola materna fino ai due anni trascorsi nella Legione Straniera. All’ombra di un amore maledetto e disperato, con una prosa scintillante e ironica, piena di riferimenti letterari e pop, il libro mischia il romanzo di formazione al romance picaresco e al racconto di una grande storia d’amore, mentre scorrono sullo sfondo i grandi avvenimenti della nostra epoca, intrecciandosi con le vicende personali del protagonista: il G8, l’undici settembre, il terribile incidente alla fabbrica torinese della Thyssenkrupp».
Ploaghe in “C.U.B.A.M.S.C. Con una bomba a mano sul cuore”.
Il settimanale “Panorama” del 17 aprile 2013, pp. 114-115, correda una esplosiva intervista con Cubeddu (a cura di Terry Marocco, è intitolata «Marco Cubeddu: “Credetemi, sentirete parlare di me”. Ha 25 anni ed è l’esordiente su cui molti scommettono. Perché si ispira a Nabokov») con queste note biografiche: «Marco Cubeddu, 25 anni, genovese, ha scoperto che il ramo sardo della sua famiglia comprende Italo Calvino. Da quando ha dato la maturità da privatista recuperando cinque anni in uno, si mantiene facendo il pompiere. Collabora a “Nuovi Argomenti”. Appassionato di arte contemporanea e combattimenti MMA (Mixed Martial Arts), invidia al protagonista del romanzo il flirt con la pornostar».
Ricordiamo che la madre di Italo Calvino, Eva Mameli, era figlia di Maria Maddalena Cubeddu, nata a Ploaghe e andata sposa a Giovanni Battista Mameli, ufficiale dei carabinieri.
«La prima volta che Alessandro Spera ha fatto l’amore (perché in questo modo lui l’avrebbe definito), nell’estate fra la terza media e il primo anno delle superiori, fu l’8 settembre 2001. La famiglia Spera si trovava in campeggio a Cala Goloritzé dopo intense settimane in visita a Ploaghe, il paese dei nonni paterni, nella Sardegna del Nord».
I nonni ploaghesi di Marco Cubeddu [nella fiction Alessandro Spera] sono: Giommaria Cubeddu e Lia Paba. Lia Paba è sorella del poeta ploaghese-genovese Foricu Paba. Ecco ciò che le due figlie di quest’ultimo, Giovanna e Barbara, hanno scritto al “Messaggero Sardo on line” e che Gianni De Candia ha pubblicato nel sito il 3 marzo 2012: «Caro Messaggero, siamo le figlie di Foricu Paba, emigrato a Genova tanti tanti anni fa e di cui nel tempo avete pubblicato numerose poesie. Papà purtroppo si è spento lo scorso primo marzo e farà, come suo desiderio, ritorno nella sua terra lunedì prossimo per essere sepolto a Ploaghe martedì 6 marzo. I funerali avranno luogo alle 10.30 nella chiesa di San Pietro. Noi vi ringraziamo per quanto avete fatto in questi anni per papà: attraverso le Vostre pubblicazioni avete contribuito a tenere ancora più vivo il legame che nostro padre sentiva per la sua terra. Grazie ancora! Le figlie Giovanna e Barbara Paba».
Nota finale.
Ploaghe genius loci? Per una coincidenza che inorgoglisce i ploaghesi è un dato oggettivo che hanno avuto una nonna ploaghese sia Italo Calvino sia due nuovi scrittori emergenti a livello nazionale: Cynthia Collu e Marco Cubeddu.
Epperò! Anche Italo Calvino! Onorata. 🙂
Sono fiero come sardo e come oriundo ploaghese.
Per ciò che riguarda Cubeddu c’è poco da andare orgogliosi di uno scellerato di quel genere, fomentatore di odio e pregiudizio,ipocrita “sepolcro imbiancato”, misogino sessista! Spero che il suo sia il primo e ultimo libro, e voi, prima di esaltarvi davanti ad una sardità taroccata di un prodotto “continentalissimo, nella forma e nella sostanza, leggete le cazzate di questo “signore”!
Prima di incensare persone come cubeddu consiglio la lettura dei suoi articioli su il Secolo XIX. Nei quali sostiene delle posizioni misogine maschiliste e volgari e di nessun rispetto nei confronti delle donne. Confido che Paola Pulina, persona che stimo, non conosca queste esternazioni di cubeddu e perciò abbia potuto scrivere parole di elogio nei suoi confronti. Ovviamente i suoi nonni e il paese di Ploaghe non sono responsabili di avere generato un essere del genere.
Trovo in Internet questo autoritratto di Amalia Martinelli («cinquantacinque anni, poetessa – meglio che lo dicano gli altri però – , femminista attivista, studentessa terzo anno di filosofia, impegnata nel sociale, amica, madre, moglie, flamenkera, infine – in ordine di importanza – funzionario regionale da 32 anni») : «In realtà mi chiamo Luana Farina, e con questo nome pubblico poesia; Amantia è il nome che uso su Facebook, pseudonimo utile a “filtrare” richieste di amicizia non gradite. Il cognome è quello di mia madre, quindi una sorta di omaggio a lei, il nome invece ha una duplice origine: Amantia è una specie di anagramma di “amiatina” = originaria del Monte Amiata, in Toscana, (mia mamma proveniva da lì), inoltre amantia è stata una parola da me coniata (su richiesta di un amico cantautore in “limba”), per indicare in sardo la “vedova dell’amante”; infatti non esiste un termine specifico, solo il dispregiativo “amiga/u” per indicare l’amante, mentre vedova si dice “batia”, quindi amiga + batia = amantia. Insomma ho inventato questo nome come una specie di rivalsa dell’amante-vedova sulla vedova-moglie»).
Mi dispiace per Amalia Martinelli ma il suo percorso di vita e di lavoro e le sue invenzioni linguistiche non la autorizzano a decidere quali sono i libri che devo leggere io, ploaghese, autore dell’articolo sulle origini ploaghesi dei nonni di Marco Cubeddu, personaggio che lei definisce nei termini che potete leggere qui sopra. Io ho solo messo in evidenza un dato biografico di Marco Cubeddu (classe 1987), che comunque non può non essere considerato uno scrittore emergente se si tiene conto che il suo primo romanzo “C.U.B.A.M.S.C. Con una bomba a mano sul cuore” (di pagine 372) è stato pubblicato da un editore come Mondadori con grande battage pubblicitario. Non capita tutti i giorni che un giovane scrittore riesca a ottenere questi risultati: o c’è qualcuna che pensa che alla Mondadori, dal mitico editor Antonio Franchini all’ultimo consulente letterario, si siano tutti bevuti “unu cubeddu de inu” o addirittura il cervello?
Forse la nostra poetessa avrebbe fatto bene a precisare che i suoi giudizi su Marco Cubeddu sono stati originati da alcune recentissime dichiarazioni anti-femminili prima che anti-femministe dello scrittore (posso ancora chiamarlo così o devo chiedere il permesso?). Informiamo dunque.
Cubeddu, nella rubrica “Intransigenze” sul “Secolo XIX”, raccontando di un viaggio in Italia in cui era rimasto colpito dalla quantità di quattordicenni in pantaloncini cortissimi, ha scritto: «Non possono lamentarsi se poi le stuprano». L’autore ha attribuito il pensiero a un’amica, definendola una donna «non bigotta». Nell’articolo poi Cubeddu parla dell’ « inutilità» della parola femminicidio: «un omicidio è sempre un omicidio» dice. Se Cubeddu dice “cazzate” come queste, è giusto metterlo alla berlina. Ognuno/a poi può anche personalmente rinunciare all’acquisto e alla lettura dell’opera letteraria dello scrittore che dice “cazzate” ma la gentile interlocutrice consentirà che è giusto almeno lasciare agli altri la libertà di decidere quali romanzi leggere. Personalmente non credo sia un buon metodo (non sarà anch’essa una “cazzata”?) non leggere un’opera letteraria perché l’autore ha detto “cazzate”.
Mi scuso per i refusi volevo dire ovviamente Paolo Pulina
Ripropongo a Carmen Anolfo (della quale ho apprezzato e valorizzato, nelle mie conferenze sul tema, gli interventi a favore del reintegro di Grazia Deledda tra gli autori degni di essere studiati nelle scuole italiane) il mio commento al commento di Amantia Martinelli (mi scuso: ho scritto due volte Amalia…).
Riassumiamo: Mondadori ha pubblicato nell’aprile 2013 l’opera prima (372 pagine) del giovane Marco Cubeddu (nato a Genova nel 1987) e lo ha “promosso” con una campagna pubblicitaria a tappeto cui si sono aggiunte paginate di articoli sui maggiori quotidiani con recensioni lusinghiere del suo “libro-bomba”. Non mi sfugge su “Panorama” del 17 aprile 2013, pp. 114-115, una intervista con Cubeddu (a cura di Terry Marocco, è intitolata «Marco Cubeddu: “Credetemi, sentirete parlare di me”. Ha 25 anni ed è l’esordiente su cui molti scommettono. Perché si ispira a Nabokov»), corredata da questa nota biografica: «Marco Cubeddu, 25 anni, genovese, ha scoperto che il ramo sardo della sua famiglia comprende Italo Calvino […]».
Questo riferimento che a molti altri non avrebbe detto niente non poteva lasciare indifferente me, ploaghese, che modestamente si vanta di avere per primo fatto sapere ai ploaghesi (tra i quali magari anche i nonni e i genitori di Cubeddu) che era di Ploaghe Maria Maddalena Cubeddu, madre di Eva Mameli in Calvino, a sua volta madre di Italo e Floriano Calvino.
Leggo quindi il romanzo di Cubeddu, vi ritrovo addirittura la citazione di Ploaghe e scrivo l’articolo che 14 maggio è già su questo Blog.
Cubeddu, “promosso” ormai anche al ruolo di opinionista-rubrichista da un giornale non propriamente “periferico” come “Il Secolo XIX” di Genova, pubblica su questo quotidiano un pezzo di cui fornisco il link, dopo aver già dato il sunto nel mio commento precedente
http://www.ilsecoloxix.it/p/cultura/2013/07/01/APvyOAsF-ragazze_siete_shorts.shtml
Quindi, io ho scritto a maggio, dopo aver letto il suo libro, delle origini ploaghesi di Marco Cubeddu, scrittore emergente (dato inconfutabile). Le reazioni contro la sua dichiarazione pubblicata il primo luglio si sono registrate ovviamente solo dopo quella data.
Per completezza di informazione riporto la lettera (ho corretto i refusi) che Carmen Anolfo ha inviato al quotidiano “Il Secolo XIX” in merito alla pubblicazione degli articoli di Marco Cubeddu: « Gentile redazione, vi scrivo a proposito delle due esternazioni del signor Cubeddu, quelle per intenderci riguardanti gli shorts e lo stupro. Sarebbe opportuno che il vostro giornale prendesse le distanze dalle idee professate da Cubeddu. Idee che trasudano maschilismo ed ignoranza ma soprattutto nessun rispetto per chi è vittima della violenza. Voglio ricordare nel caso fosse sfuggito che 6 milioni e 700 mila italiane hanno subito nella loro vita violenza secondo i dati dell’OMS e non ci risulta che usassero gli shorts. Non voglio entrare in merito al pensiero di Cubeddu che giudica la parola femminicidio una parola idiota perché questa affermazione denota principalmente un’ignoranza di fondo con cui è difficile e ahimè inutile confrontarsi. Ci sono state 65 donne ammazzate dall’inizio dell’anno ad oggi, ammazzate per mano di uomini che spesso facevano parte della loro vita. Questo è il femminicidio e non un omicidio dovuto ad una rapina o ad un altro incidente qualsiasi. Non si può essere superficiali su questi dati tragici neppure se si sta facendo pubblicità al proprio libro. Concludo richiedendovi di prendere le distanze dalle idee professate da Cubeddu. C’è un libro di mezzo, c’è la pubblicità, ma c’è anche il rispetto e l’intelligenza per capire che non si possono avallare queste aberranti affermazioni. Cordiali saluti».
Io ho trovato questo testo in Facebook e non so se il giornale cui è stata indirizzata lo ha pubblicato. Personalmente lo sottoscrivo in pieno, ma, detto questo, eviterei – lo ripeto – di confondere il giudizio sull’opera letteraria di Cubeddu con il giudizio sulle sue personali opinioni relative alle cause dello stupro ai giorni nostri. Se no, mi viene da osservare, sarebbe stato bene partire con una campagna contro il libro di Cubeddu molto prima che dopo il primo luglio. Per esempio, a Sassari e dintorni, dopo il 17 aprile 2013, cioè dopo che in una pagina quasi intera il quotidiano “La Nuova Sardegna” ha pubblicato un’anticipazione del romanzo di Cubeddu col titolo “Se l’amore esplode come una bomba a mano”. Il testo tratto dal romanzo «definito trascinante e politicamente scorretto» si conclude con queste parole: «Non si può certo dire che Mallory InWonderland, detta Mel, non fosse una ragazza piena di vita. E lui l’ha uccisa».
Paolo Pulina, io capisco perfettamente che le origini ploaghesi di cubeddu lo abbiano spinto a parlarne in questo sito legato al suo paese. E capisco anche la domanda in riferimento al valore del libro e alle interviste rilasciate invece da cubeddu. Io non ho letto il libro ed infatti non do giudizi su questo (ne ho letto vari e tutti pessimi sul libro), ma qua si parla di altro, il fatto che cubeddu riporti queste frasi "Ho chiesto alle mie compagne (non esattamente bigotte): da donne, erano perplesse. Secondo una di loro “non possono lamentarsi se poi le stuprano”. ora, sinceramente, si riporta una frase del genere se non si è d’accordo? L’intervista è un trattato sociologico? Non mi pare, ed ancora cubeddu : "Anche se impopolare, bisogna dirlo: spesso, le violenze domestiche nascono da situazioni in cui, donne con scarsa personalità, si legano a zotici della peggior risma." Tutte le donne uccise erano donne "con scarsa personalità?" ma questa è un’affermazione che si può fare? Che può fare una persoona mediamente intelligente e aspirante scrittore? No e poi no. Manca comprensione e per comprensione intendendo proprio il prendere a sè, manca umanità, manca conoscenza. Nessuno vuole partire con una campagna contro il libro, dottor Pulina, non io perlomeno e quindi non sono in ritardo, quello che vorrei fare con i miei pochi mezzi e quando posso è denunciare tutta la violenza verbale e psicologica che purtroppo spesso si nasconde dietro intellettuali e pseudo intellettuali, dietro le trasmissioni televisive più seguite in quest’Italia che sta perdendo il senso del rispetto verso chi è vittima. E’ una battaglia lunga e difficile alla quale molte donne stanno partecipando ed anche alcuni uomini. E’ questa cultura superficiale e maschilista che deve cambiare per un mondo migliore non solo per le donne ma per tutti.