AL CONVEGNO DI CAGLIARI "LE CINQUE DOMANDE DEL 2013 A NOI STESSI" PER "SA DIE DE SA SARDIGNA": LE PROPOSTE DA FARE AI GIOVANI CHE HANNO RIPRESO AD EMIGRARE


di Fabrizio Palazzari

 

La quinta domanda di questa giornata si ricollega simbolicamente e sostanzialmente alla prima: “La Sardegna ha una classe dirigente e politica all’altezza della crisi che sta vivendo?”. La decisione di emigrare, infatti, è fortemente correlata non soltanto alle contingenze del presente ma soprattutto alle opportunità e alle aspettative sul futuro in un dato tempo e in un dato luogo. Nella costruzione di queste aspettative e opportunità le classi dirigenti svolgono un ruolo cruciale perchè sono loro a definire, con le loro scelte e con le loro politiche, il quadro dell’orizzonte temporale di riferimento nell’ambito del quale ogni individuo prenderà le sue decisioni che poi diventeranno decisioni collettive. In altri termini, una classe dirigente sarda non adeguata non potrà che contribuire a generare aspettative negative sul futuro dell’isola e a condizionare negativamente i progetti di vita delle nuove generazioni che considereranno sempre più praticabile l’idea di costruirsi una vita oltre Tirreno proprio perchè in quest’isola non avranno più speranza. Un’isola che si trova di fronte, ancora una volta, a sfide e scelte determinanti legate al governo del processo di deindustrializzazione in corso e alle politiche relative a lavoro, imprese, istruzione, ricerca, trasporti ed edilizia abitativa; alla tutela del paesaggio e delle coste, alla riduzione delle servitù militari e allo spopolamento delle zone interne e, più in generale, dell’intera regione. Queste sfide e queste scelte richiedono una classe dirigente responsabile capace di farsi carico di politiche pubbliche che abbiano una prospettiva che vada oltre il tradizionale ciclo politico-elettorale e che sappiano definire con chiarezza l’orizzonte temporale dei prossimi ventanni nell’ambito del quale saranno assunte le decisioni dei singoli sul proprio futuro progetto di vita.

I dati Aire Le statistiche rivelano però una tendenza, in Italia e in Sardegna, di segno opposto rispetto a quanto sarebbe auspicabile. Infatti, come emerge dai dati dell’Anagrafe Italiani all’estero (Aire) presso il ministero dell’Interno, nel 2012 la crescita degli emigranti italiani all’estero, aumentata del 30% con il passaggio dai 60.635 espatri del 2011 a 78.941, ha rappresentato un vero e proprio boom, mai verificatosi nei precedenti sei anni. Neppure nella fascia 20-40 anni, la più giovane e produttiva, si era mai registrato un incremento così spettacolare con una crescita, in un solo anno, del +28,3% pari a 35.453 unità (circa il 45% del totale degli espatriati nel 2012). In questo quadro sono stati oltre 3.400 i sardi che, nel 2012, sono emigrati all’estero per un totale dei sardi residenti all’estero che, nel 2011, era pari a 103.121 unità. Secondo stime ufficiose, il dato reale avrebbe proporzioni molto più ampie (infatti, spesso anche a distanza di anni dal loro arrivo, non tutti gli espatriati si iscrivono all’Aire).

L’insularità “grande e distante” e l’emigrazione “liquida” L’aggravarsi nell’ultimo anno della crisi occupazionale ed economica ha sicuramente accelerato un fenomeno, quello dell’emigrazione, che nell’isola ha origine, per proporzioni e intensità, alla fine del Secondo Dopoguerra e che negli ultimi ventanni ha subito radicali trasformazioni. In passato i caratteri peculiari dell’insularità sarda, un’insularità “grande e distante”, hanno rappresentato un limite fisico e psicologico difficile da superare sia in fase di uscita che, a maggior ragione, in un’ottica di rientro. L’orizzonte informativo del migrante era spesso molto limitato e ci si affidava soprattutto alle reti delle catene migratorie. Questo ha determinato la nascita spontanea, nei paesi di adozione, di forti e ben definite comunità di sardi all’estero; che poi si sono organizzate in associazioni sino a definire la rete attuale dei circa 130 circoli sardi nel mondo. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta questo quadro tradizionale è mutato radicalmente. Da un lato la rivoluzione digitale, con la Sardegna addirittura protagonista nello sviluppo di internet e della sua capacità di far superare i confini geografici alle informazioni e alle idee; dall’altro la rivoluzione dei voli “low cost”, hanno radicalmente modificato lo scenario tradizionale dell’emigrazione ridefinendo profondamente il rapporto tra mobilità delle persone e territorio. Oggi possiamo parlare di una emigrazione “liquida” nel senso che non ha più una forma definita come in passato, che mantiene una relazione continua, fluida e diretta con il territorio e le reti sociali di origine e che spesso si declina in molteplici spostamenti di residenza resi possibili dalla facilità dei mezzi di trasporto e di comunicazione. In altri termini chi parte non si sente migrante in senso classico pur continuando a vivere e sentire gli effetti dello spostamento (la partenza, lo sradicamento, l’allontanarsi dai luoghi consueti, dagli affetti sicuri, il cambio di abitudini, di lingua, di modi di fare). Si tratta, come nel caso della “generazione Erasmus”, di un’emigrazione informata, preparata, consapevole e molto dinamica per la quale l’emigrazione non costituisce una fuga, bensì una grandissima opportunità per valorizzare il proprio talento. Tutto questo, naturalmente, sino al momento in cui non si matura l’ipotesi di un rientro. E’ in questa fase infatti che la Sardegna mostra tutti i suoi limiti, gli stessi che spingono tanti altri a sardi a fuggire da una regione incapace di offrire opportunità lavorative per tutti.

La percezione del problema e i suoi costi Per la Sardegna, infatti, i sardi all’estero potrebbero costituire un potenziale sociale, culturale ed economico per l’intera regione a condizione di riuscire a mantenere legami fruttuosi tra chi è partito e chi è rimasto anche al fine di favorire il successo dei percorsi di rientro. Questo discorso vale sia per i giovani che emigrano che, a maggior ragione, per gli emigrati adulti inseriti all’estero da tempo e spesso a livelli elevati di responsabilità nei vari settori in cui operano. In realtà questo non sempre avviene, anche a causa del tradizionale disinteresse per il mondo dell’emigrazione spesso nell’isola percepito come distante. Per cui la potenzialità prima richiamata rimane solo formale e continua ad essere trascurata dalla classe politica senza che si considerino adeguatamente i costi sociali ed economici dell’investimento in capitale umano perso per l’espatrio delle giovani generazioni. In altri termini il tasso di mancato rientro dei sardi espatriati potrebbe essere considerato come la cartina di tornasole del livello di inadeguatezza della classe politica e dirigente rispetto alla crisi che l’Isola sta vivendo. Crisi che non è solo economica e sociale ma anche psicologica, culturale e di mancanza di prospettive definite.

Cosa proporre? Una proposta che possa essere funzionale al superamento di tutte le criticità sopra descritte non può che essere innanzitutto rivolta a tutti coloro che, in Sardegna o fuori dall’isola, abbiano sensibilità per queste tematiche e dovrebbe avere come elementi strategici chiave il proporre, ai giovani sardi che hanno ripreso a emigrare, di fare rete, di non restare soli, di fare associazionismo (possibilmente inserendosi e aiutando la rete dei circoli sardi nel mondo), di creare e scoprire canali di comunicazione e di partecipazione tra i sardi nell’Isola e quelli oltre Tirreno al fine di far circolare continuamente idee, progetti, buone pratiche e casi di successo che possano favorire i percorsi di mobilità sia in uscita dall’Isola che, soprattutto, in ingresso. Più in generale, sarà solo con un elevato livello generalizzato di relazioni e di consapevolezza che la Sardegna potrà contare su uomini e donne capaci di creare ponti e di percorrerli di continuo coinvolgendo anche il fresco multiculturalismo delle seconde e terze generazioni di sardi residenti all’estero che rappresentano con la loro preparazione, vivacità e curiosità una risorsa inestimabile. Sebbene in Sardegna permanga un generale disinteresse per queste tematiche esistono almeno due elementi che, a mio avviso, dovrebbero spingerci a guardare con fiducia al futuro. Il primo è rappresentato dal dinamismo dell’informazione online sarda e dei social network che oggi offrono dei canali di comunicazione e di ascolto nuovi per comunicare da e per l’Isola; il secondo è quello della rete delle associazionismo isolano e dei circoli sardi nel mondo con le loro capacità di generare coscienza collettiva e fornire capacità progettuale.

Alcuni esempi Limitatamente a questo secondo elemento e alla mia esperienza personale vorrei portare come esempi i casi dell’associazione Tramas de Amistade e del Circolo Sardo di Berlino. Tramas de Amistade è un’associazione indipendente che, dal 2008, si propone di facilitare la presa di coscienza ed il diretto protagonismo dei sardi verso obiettivi di autoconsapevolezza e protagonismo economico, sociale, politico e culturale attraverso l’organizzazione di eventi e l’invio della newsletter “Sa Chida Sarda” che è uno strumento settimanale di sintesi dei principali fatti di politica, economia e società avvenuti in Sardegna. L’associazione in particolare punta a mettere in rete giovani sardi che operano in Sardegna, in continente e all’estero, in modo che venga costituita e valorizzata la continuità di positivi rapporti tra coloro che molteplici motivi portano ad operare all’esterno e quelle forze che in Sardegna si muovono per il miglioramento complessivo della realtà sarda. Il Circolo Sardo di Berlino è la più giovane delle quindici associazioni affiliate alla “Federazione dei Circoli sardi di Germania” che, dal 1999, promuove e sostiene la cultura e l’immagine della Sardegna nella capitale tedesca. Negli ultimi anni ha dato prova di una elevata capacità progettuale realizzando il progetto “Circoli Sardi 2.0” – che rappresenta il primo caso di piattaforma e-learning di formazione a distanza su come gestire un circolo sardo –  e la mostra dal titolo “Berlin-Island/ Empirical survey on a Heritage” inaugurata il passato mese di marzo al Lazzaretto di Cagliari. Si è trattato della parte finale di un progetto d’arte contemporanea costituito da tre esperimenti culturali sul ruolo dell’arte contemporanea nella esplorazione dell’identità sarda contemporanea, realizzati tra il 2010 e il 2012, dall’associazione berlinese. L’evento cagliaritano ha voluto simbolicamente rappresentare il ritorno di un’idea, in questo caso artistica, e dei suoi protagonisti.

Conclusioni Insomma, serve una pressione intellettuale costante sulla nostra classe dirigente, serve un’azione continua per raccontarci tutte le storie di successo, generare una mutata percezione del problema da parte dell’opinione pubblica isolana, riscrivere il nostro sè autobiografico e ridefinire il quadro del nostro orizzonte temporale di riferimento. Non possiamo fare a meno dei talenti, delle energie, delle relazioni dei sardi emigrati. Facciamo in modo che le idee prima e, di riflesso, anche le persone possano, se lo vorranno, rientrare in Sardegna. Tutto questo richiederà naturalmente l’impegno di tutti, di chi da fuori avverte questa sensibilità e di chi nell’isola ha la capacità di coglierla. Dovrà essere un movimento collettivo che però dovrà necessariamente partire dalla consapevolezza e dalla motivazione personale di ogni singolo individuo. Narra un’antica fiaba africana che, bruciando la foresta, tutti gli animali si misero a fuggire, compreso il leone. Solo un colibrì volava intrepido verso l’incendio. Così il leone, re della foresta, chiese al piccolo volatile perchè si dirigesse con tanta fretta verso il luogo in cui tutto stava bruciando. Il colibrì rispose che andava là proprio per questo, per spegnere l’incendio.“Ma è impossibile domare fiamme così vaste con la goccia che porti nel becco’ – gli disse il leone.  Gli rispose allora il colibrì: “Io faccio la mia parte”.

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