di Daniela Amenta
"Passavamo leggeri come acqua che scorre", scriveva Sergio Atzeni, penna visionaria di Sardegna. Ma l’acqua che bagna l’isola non è più lieve, da tempo. Anzi, la pioggia benedetta nella terra arsa, si trasforma in tragedia ogni volta che il cielo si apre. Quattro morti il 22 ottobre nel cagliaritano, migliaia di danni. E a novembre ancora disastri. Allagata la Baronia: Orosei in ginocchio, Tortolì isolata. Le greggi portate via dall’acqua che batte. E ogni pecora che muore è un piccolo dramma che si consuma in una terra dal tessuto fragilissimo. Un tassello di un’economia antica che annega. E pensare che prima era una festa. La Baronia è uno spicchio di Sardegna tra monti e mare, una conca verdissima sotto gli spigoli nuragici della Barbagia, attraversata dal Cedrino. Il fiume scorre fino alla diga, ma quando straripa anche il bacino di cemento si gonfia, tracima, copre d’acqua la valle. Copre ogni cosa. I campi, le case costruite nell’alveo del fiume. Per questo la legge urbanistica di Renato Soru è sacrosanta. Non c’è niente di naturale in queste catastrofi, tutta colpa degli uomini, di questa smania di costruire, usare i blocchetti invece delle pietre. I pastori, con gli agricoltori sono i più colpiti. Lavorano la terra, curano le bestie anche quando l’acqua non c’è, quando si muore di sete. Poi, se piove è ancora peggio. Ma i fondi a sostegno dell’agricoltura arrivano davvero col contagocce, controllati dalle norme comunitarie. «La civiltà della pecora massacrata dalle banche, dalla burocrazia», per citare Gavino Ledda, l’autore di "Padre Padrone". Una civiltà che annaspa, tanto che il latte, il latte che ancora si ricava, serve più al Continente, più per il pecorino romano che per il Fiore Sardo. L’ultima umiliazione. Orosei, Galtellì poggiano su un territorio delicatissimo. Esiste un reticolo idrografico che ha dormito per anni, e ora si è svegliato. Non ci sono solo i grandi palazzinari della Costa, in Sardegna. Esistono piccoli pesci con la fame di cemento a tutti i costi. Orosei d’inverno conta 7mila anime, che d’estate triplicano. E’ indubbio: il ciclo naturale si è messo di traverso, l’area è vulnerabile. Come a Villagrande Strisaili, Ogliastra, dove a dicembre del 2004 la piena del Rio Sa Teula fece due vittime: nonna e nipotina di tre anni. Il Rio, certo, che forse poteva defluire se non avesse trovato i canali delle fogne cementate. Il sindaco saltò. Ma da allora la vita di Gianfelice e Antonietta Longoni è cambiata. Non c’è giorno che non piangano la figlioletta morta. Si chiamava Francesca. La piena si portò via anche l’archivio comunale, gli atti di nascita, di morte. Villagrande è ancora un paese a lutto, senza più memoria. E’ passato oltre un mese dall’alluvione di Capoterra, periferia abusiva e condonata. Il mare ogni tanto restituisce frammenti di vite altrui. Sulla spiaggia del Poetto sono arrivati pezzi di frigoriferi, sedie di plastica, bambole, perfino un album di foto di un matrimonio. C’è lei in bianco che ride. Sullo sfondo una montagna senza più alberi, senza pecore al pascolo.