Fin dal primo annuncio è stato chiaro che le dimissioni di Benedetto XVI non fossero una conclusione, ma un gesto profetico carico di senso per la Chiesa e per il mondo. Solo che non riuscivamo a immaginare come. L’emozionante serata di ieri con l’annuncio al mondo dell’elezione di papa Francesco è uno dei primi frutti di quel gesto e ci mostra come nella Chiesa si sia aperto uno spazio di novità. Nonostante si tratti del 266º successore di Pietro, con stupore ci rendiamo conto che sotto molti punti di vista si tratta di una prima volta, come sottolineano anche i gesti del neoletto Pontefice. Merita la pena approfondire questo aspetto che pure molti hanno già notato.
Per la prima volta abbiamo un Papa latinoamericano. Certo con radici italiane, ma anche portatore di una sensibilità specifica di un diverso continente. Anzi, per la prima volta abbiamo un Papa che guarda il pianeta con gli occhi del Sud del mondo. Questa diversa prospettiva è legata alle peculiarità della Chiesa argentina, diversa da quella occidentale, radicata in una realtà molto popolare, in termini di religiosità ma anche di vicinanza concreta a chi vive situazioni di sofferenza e povertà. Questa spiritualità spiazza le nostre dicotomie tra “conservatori” e “progressisti”, che faremo meglio a mettere da parte per evitare di perderci la novità e la sorpresa che abbiamo davanti agli occhi.
Ebbene, quest’uomo che i cardinali “sono andati a prendere quasi alla fine del mondo” si presenta dal balcone della basilica vaticana affermando che la sua missione è quella di essere vescovo di Roma, senza riferire né a sé né a Benedetto XVI alcun altro titolo (come papa o pontefice). Fin dalle prime parole del suo pontificato, Francesco si propone come il pastore di una Chiesa locale – certo con un ruolo particolare – chiamato a collaborare “nella carità” con tutti gli altri fratelli nell’episcopato, responsabili di altre Chiese locali. Questa immagine di una Chiesa collegiale non è una novità, è la dottrina affermata dal Concilio Vaticano II, ma che finora non ha trovato una soddisfacente attuazione. Le prime parole di Papa Bergoglio lasciano intravedere che sarà questo uno degli assi del suo pontificato.
È anche la prima volta di un Papa gesuita, uscito tra l’altro da un Conclave in cui Bergoglio era l’unico gesuita presente. Certamente la spiritualità della Compagnia di Gesù darà un’impronta a papa Francesco, e nel suo senso più autentico, non in quello deteriore che ha preso piede anche a causa dei limiti con cui i gesuiti concreti l’hanno incarnata nella storia. È una spiritualità che spinge a coinvolgersi integralmente nella relazione con Dio: non solo con la mente ma anche con l’affettività, i sentimenti, la memoria, il corpo … È una spiritualità che invita a non accontentarsi, ma a osare il nuovo, l’impensato, sempre alla ricerca di un “di più” nella direzione della costruzione del Regno di Dio e della sua giustizia. Infine, è una spiritualità che insegna a contemplare Dio all’opera nella storia del mondo e degli uomini – e certamente non solo all’interno dei confini della Chiesa – e a nutrire uno sguardo positivo su tutti gli uomini e tutta la creazione, uno sguardo di fiducia (non a caso una delle prime parole pronunciate da papa Francesco). Riconosciamo una traccia potente di questo atteggiamento nella richiesta che la folla pregasse Dio di benedire il neoletto vescovo di Roma, prima che a sua volta lui impartisse la benedizione, e soprattutto nel gesto di inchinarsi di fronte alla piazza gremita. Dio è presente e all’opera in tutti, e non solo nel Papa; e tutti, Papa compreso, abbiamo bisogno di scambiarci reciprocamente i doni che derivano da questa presenza.
Ma quello che più mi ha commosso è la scelta del nome, anche questa una novità assoluta nella storia della Chiesa. Francesco di Assisi è l’uomo che, senza essere neanche prete, accolse il compito di ricostruire la Chiesa in un epoca di corruzione e di allontanamento dal Vangelo, facendosi forte solo della povertà, della semplicità, della capacità di affidarsi interamente a Dio. La scelta di chiamarsi Francesco in una Chiesa indebolita da scandali, mancanza di trasparenza e intrighi indica con chiarezza quale strada intenda prendere papa Bergoglio. Oltre che con il nome lo ha indicato rinunciando alla mozzetta bordata di ermellino e presentandosi con la sola veste, senza neanche la stola sacerdotale (poi indossata al momento della benedizione): un Papa, sull’esempio di Francesco di Assisi, spogliato di tutte le sue insegne, che porta sul cuore soltanto quella croce – nemmeno dorata! – da cui riceve forza.
Queste le novità, per molti versi inaudite, del giorno dell’elezione di Papa Francesco. In termini più squisitamente teologici possiamo chiamarle promesse. Attraverso di loro tocchiamo con mano che lo Spirito, a cui è affidata la Chiesa, non ha smesso di soffiare e di “fare nuove tutte le cose” (per utilizzare le parole dell’Apocalisse), anche quelle che sembrano più immutabili. Fin dalle sue prime parole papa Francesco ci ha ricordato come il ruolo di vescovo e di papa abbia una natura irriducibilmente relazionale: non vi è pastore se non c’è un gregge, e viceversa. Come in ogni relazione, tocca a ciascuno fare la propria parte. Il successo del pontificato di Francesco è affidato alla responsabilità sua come a quella di tutti i membri della Chiesa: se la accoglieremo, potremo assistere e partecipare al compimento delle promesse che abbiamo udito ieri sera.
grande Jacques 🙂
Grazie a Tottus in Pari!
Me encanto, gracias por compartirlo!!!
Es increible que haya gente que critique a nuestro Papa argentino, por una causa que no està probada (y que la justicia en todo caso seguirà investigando), o sea mirando las cosas negativas, en vez de estar contentos que por primera vez en la historia tenemos un Papa latinoamericano, nacido en Buenos Aires de padres italianos, o sea uno màs de nosotros!