di Maria Adelasia Divona
Anche quest’anno si è ripetuto l’appuntamento con gli Archi del Friuli e del Veneto del maestro Guido Freschi promosso dal socio Pietro Dore e organizzato al Circolo dei Sardi “Montanaru” di Udine. L’appuntamento di quest’anno ha inteso festeggiare il carnevale con una ventata di sonorità fresche da “Le quattro stagioni” di Antonio Vivaldi. Ma è stata anche l’occasione di riconfermare il connubio Friuli Sardegna grazie ad un contributo della Provincia di Udine concessoci per la promozione delle due culture. Abbiamo così potuto invitare il Maestro Fabio Melis, suonatore di launeddas che era già stato nostro ospite quattro anni fa. Primi ad esibirsi gli Archi del Friuli e del Veneto, orchestra d’archi formata da concertisti delle province di Udine e Treviso: Francesco Fabris e Tiziano Michelin (violino), Maria Moreale e Riccardo Toffoli (violoncello), Francesco Ambrogetti (viola), Carlo Rizzi (clavicembalo) e Guido Freschi (violino solista e diretto). Il gruppo ha all’attivo esperienze in Italia e all’estero, e collaborazione con numerose orchestre . Il complesso nelle sue esibizioni esplora ad ampio raggio la letteratura cameristica sia sacra che profana e la produzione musicale di alcuni compositori contemporanei, con particolare attenzione a quelli locali. Per il concerto di carnevale l’orchestra ha proposto il celeberrimo ciclo de “Le quattro stagioni”, inquadrato nell’opera VIII “Il cimento dell’armonia e dell’invenzione” (1728), in cui ognuno dei concerti del ciclo delle stagioni è stato corredato di un sonetto, letto dal consigliere Gianluca Chessa, che ne descrive le situazioni.
In sala il pubblico delle grandi occasioni, quasi 150 persone che hanno occupato tutti i posti a sedere. Al termine dell’esecuzione, gli archi hanno lasciato il palco a Fabio Melis, che ha voluto sottolineare come anche lui condivide la stessa passione musicale di chi lo ha preceduto, sebbene con strumenti diversi. Il Maestro Melis, di Sorso, diplomato al conservatorio di Rovigo è un musicista poliedrico specializzato in strumenti a fiato: dal sax al clarinetto, dalle launeddas al didgeridoo australiano, ma è anche un ricercatore musicale, dal momento che sta tentando di raccogliere in maniera codificata una tradizione esclusivamente orale come quella delle launeddas. L’esibizione di Fabio è stata anche una lezione di musica e di tecnica dello strumento: ha raccontato le launeddas, presentandone le diverse caratteristiche, le modalità di costruzione, i suoni prodotti e le modalità di esecuzione. Con la prima melodia, una pastorella, è stato evidente come nel suono prodotto dallo strumento non è concepita la pausa che è evitata mettendo in essere la tecnica del fiato continuo, che consente di immagazzinare una riserva di fiato nelle guance mentre si respira col naso. Le launeddas sono composte da 3 canne palustri tenute con entrambe le mani, di cui quella più piccola, tenuta dalla mano destra, rappresenta la canna solista, con la quale si esegue il “Ballu cabillu”. Il maestro sostiene che la fortuna di costruirsi da sé lo strumento permette di adattarlo alle esigenze, consentendo anche passaggi audaci dalla musica folk alla classica. Lo dimostra suonando “L’inno alla gioia” di Beethoven, che è anche inno d’Europa, che si presenta come un ritmo sincopato e curioso. Fabio attinge a tanti generi e tanti repertori, e non solo a quelli tradizionali del ballo sardo, che le launeddas accompagnano. Prima di ogni esecuzione testa i suoi strumenti, fatto che lo porta ad ammettere, con una battuta, che un suonatore di launeddas passa metà del tempo a costruire ed accordare gli strumenti, e l’altra metà a suonarli scordati. L’artista richiama anche il ruolo della tutela della lingua e della cultura tradizionale sarda, a cui le launeddas appartengono: infatti su questo strumento non esiste niente di scritto, se non il lavoro di un ricercatore danese negli anni 50. Di fatto è stato stimato, grazie ad un bronzetto nuragico ritrovato dal prof. Giovanni Lilliu, che l’origine delle launeddas può essere datata tra il terzo e il nono secolo AC. Per questo Fabio sta cercando di recuperare questa tradizione musicale orale, dal musicista appresa solo ad orecchio, trascrivendo le nodas su appositi spartiti per launeddas. Dalle 7 note che contraddistinguono le launeddas, il maestro passa ad illustrare u sulittu, o pippiolu, costituito da una piccola canna che emette 5 note, con cui ha eseguito un Ballittu. Anche l’uso di su sulittu è dal maestro costantemente innovato, accompagnandolo alle launeddas, ma anche al canto dei Tenores di Bitti e di Neoneli. L’ultimo strumento mostrato e suonato dal musicista è sa trunfa: molto utilizzata in Baronia, la trunfa è caratterizzata da 3 note fondamentali, e Fabio ne dimostra l’utilizzo eseguendo “Sa Trunfa noa”, melodia in cui l’esecuzione è caratterizzata dalla tecnica gutturale sarda e dalla tecnica del marranzano siciliano suonato con la lingua. Per suggellare il connubio tra musica classica e musica tradizionale, il maestro Melis ha coinvolto il maestro Freschi e Gli Archi del Friuli e del Veneto in due musiche molto care ai Sardi, e che un artista isolano in visita ad un circolo di emigrati non può esimersi dall’eseguire: le launeddas e i violini hanno quindi eseguito prima Non potho reposare e poi l’Inno della Brigata Sassari Dimonios, accolti con enorme emozione da tutti i presenti. E’ possibile ascoltare le due esecuzioni sulla pagina Facebook del Circolo dei Sardi “Montanaru” di Udine, e prossimamente anche sul sito del circolo. Il maestro Melis ha infine salutato il pubblico udinese per recarsi a Gorizia dove lo attendeva un altro concerto.