di Paolo Merlini *
Ci sono 174 Antonio Meloni negli elenchi telefonici della Sardegna, e oltre un centinaio di utenti su Facebook con questo nome e cognome, per lo più residenti in Sardegna. Nell’elenco di New York invece c’è soltanto lui, Antonio anzi Tony Meloni da Tortolì, classe 1956. È candidato ad entrare nel consiglio cittadino della Grande Mela, nelle liste dei democratici. A settembre parteciperà alle primarie del suo partito per il seggio di Astoria, il quartiere nel distretto del Queens dove vive da sempre ed è molto conosciuto. È abbastanza ottimista sull’esito di queste consultazioni, anche perché dalla sua parte c’è il consigliere uscente Peter Vallone e la struttura del partito. E una volta superato quello scoglio, la possibilità di entrare nel City Council come rappresentante del 22esimo distretto è molto alta: New York, vedi le recenti elezioni presidenziali che hanno confermato Obama, oggi ha un cuore democratico, e il quartiere di Tony Meloni è tra i più multietnici nella città per eccellenza del melting pot: vi abitano moltissimi greci, italiani e ispanici. Il candidato sardo, insomma, gioca in casa, anche perché dei diritti degli immigrati ha fatto una ragione di vita da trent’anni a questa parte. E perché la sua avventura americana è cominciata proprio così, da immigrato. Tony Meloni è stato uno di quei bambini che un tempo, quando in Sardegna era costume abbastanza diffuso, venivano definiti “fill’e anima”, figli dell’anima (il termine cambia leggermente in ciascuna variante della lingua sarda). Una condizione, certo comune ad altri popoli, che ha avuto grande notorietà con il romanzo più importante di Michela Murgia, “Accabadora”, dove Maria, il personaggio principale, lascia la famiglia naturale e viene presa con sé da tzia Bonaria, sarta del paese esperta nell’arte della buona morte, l’eutanasia praticata in Sardegna sino a mezzo secolo fa. Anche Tony Meloni è un “soul-child”, per usare il termine con cui “fill’e anima” è stato tradotto nella versione inglese del libro. Ultimo di tre fratelli, nel 1965 lascia Tortolì e la famiglia per seguire a New York lo zio Aldo – fratello del padre, viveva negli Usa dagli anni ’40 – e la moglie. I due non avevano figli e ne desideravano tanto uno. Non fu una decisione facile per i genitori del piccolo Antonio, che allora aveva nove anni, soprattutto per la madre. «Zio Aldo venne in Sardegna per visitare i parenti – ricorda Tony Meloni, raggiunto al telefono nel suo ufficio a New York –. Lui e la zia non potevano avere figli, così proposero a mio padre di portarmi con loro. Fu un gesto di grande generosità da parte dei miei genitori, che erano comunque consapevoli delle maggiori opportunità che avrei avuto negli Stati Uniti».
La saga della famiglia Meloni merita un discorso a parte, perché il nonno di Tony, Giuseppe, è stato uno dei pionieri in Italia nell’allevamento degli struzzi, tra i primi in Europa. Un’attività cominciata nel 1910, quand’era maestro elementare, che lo portò nel giro di qualche anno ad avere 200 capi e un discreto giro d’affari. Al contrario di oggi, la carne di struzzo non veniva mangiata, ma l’allevamento era finalizzato unicamente alla produzione di piume, che andavano a finire nei cappelli o nei boa svolazzanti delle agiate signore della Belle Époque di mezza Europa e costavano anche 80 lire ciascuna. Ma soprattutto il cavalier Giuseppe inventò le corse con gli struzzi, e fece costruire a Tortolì uno “struzzodromo” che venne visitato persino da Re Vittorio Emanuele III. Da allora le corse con gli struzzi (galoppo e calesse) impazzarono per una breve stagione nelle capitali più importanti, grazie anche all’abilità del fantino Periccu, che in sella al piumato raggiunse la straordinaria velocità di 60 chilometri all’ora. Ma negli anni Trenta il sogno finì con la stessa rapidità con cui era cominciato. Dei numerosi figli di Giuseppe Meloni solo Aldo andò all’estero, stabilendosi negli Stati Uniti. Dopo due anni nell’esercito, diventò un maitre via via più affermato e lavorò per molti anni nei migliori ristoranti di New York. Come la maggior parte dei bambini italiani dell’epoca Antonio non conosceva una parola di inglese, ma lo seguì. Volentieri, sembra di capire. «Dopo sei mesi avevo già imparato la lingua, e così potei continuare gli studi cominciati in Italia. Non ho mai avuto problemi, la scuola italiana a mio avviso allora era molto più completa. E infatti dopo appena due anni passai a una classe avanzata per la mia età». Dopo gli studi superiori ha frequentato il Queens College, laureandosi in Studi Urbanistici, con una specializzazione in “Ethnic studies”. Proprio grazie alla sua formazione e all’interesse per la storia dei popoli e i loro spostamenti, viene assunto dalla Federazione delle società italoamericane, ma il suo interesse per il tema dell’immigrazione prende definitivamente forma negli anni Ottanta, con la riforma varata da Ronald Reagan che regolarizzò oltre tre milioni di clandestini ma impose regole severe per il futuro. Nel 1988 Tony Meloni contribuisce a fondare la Immigration Advocacy Service, organizzazione non profit che assiste gli immigrati legali nelle procedure per ottenere la cittadinanza americana. Da allora a oggi ha assistito migliaia di persone, entrando in contatto con le etnie più diverse. Oggi Meloni lavora all’Ufficio immigrazione e inoltre, come volontario, in un’altra organizzazione che ha contribuito a fondare, anche questa non profit, la New York Anticrime Agency. «Aiutiamo i minorenni che hanno commesso reati a svolgere un servizio sociale quando i giudici concedono loro questa opportunità. Anche qui, nella mia esperienza quasi trentennale, ho conosciuto situazioni di grande disagio». E la Sardegna? «È sempre nel mio cuore», dice Tony, che torna a Tortolì ogni due o tre anni. C’è da credergli, perché nel suo sito (meloninycc.com) compare un video dove il candidato sfoggia una polo con il simbolo dei quattro mori. E una targhetta con il nome all’italiana, Antonio Meloni, come si diceva molto diffuso in Sardegna. D’obbligo una domanda sulla politica di casa nostra, anche perché un fratello di Tony, Nuccio Meloni, è il vicesindaco di Tortolì, in quota Udc nella giunta a guida Pdl. «Quando ci capita parliamo di politica. Anche se abbiamo visioni diverse, con i dovuti raffronti fra le rispettive nazioni, crediamo che la buona politica sia fatta dagli uomini e non dai partiti». Ma lei Silvio Berlusconi l’avrebbe votato? Risata. «No».
* La Nuova Sardegna