Ho letto da qualche parte che un importante personaggio, quando seppe che i colleghi volevano festeggiare i suoi ottant’anni con una giornata di studi in suo onore, disse: «Bene, mi fa molto piacere: ma non voglio assolutamente che celebrino il mio ottantesimo compleanno. Sono ancora piuttosto giovane». Il prof. Manlio Brigaglia ha compiuto 80 anni il 12 gennaio 2009 e anche lui, sentendosi (sono sicuro) ancora piuttosto giovane, avrebbe potuto uscirsene con la stessa battuta nei confronti di chi avesse voluto celebrare questo suo notevole traguardo di vita. La giovinezza mentale di Brigaglia traspare dal ritmo della sua produzione pubblicistica e dalla vastità dei suoi interessi e delle sue curiosità. Chi collabora strettamente con lui confessa che è effettivamente difficile tenere il suo passo in tutti i lavori collegati alla espressione scritta (scrittura saggistica, comunicazione giornalistica, revisione redazionale di testi) e alla performance orale (introduzione o relazione a un convegno su temi di storia e di cultura, lezione accademica o per l’università della terza età). Tutto questo è possibile perché Brigaglia vuol dire Memoria. Dico questo basandomi su una testimonianza diretta di un mio parente: il giovane Brigaglia era capace di leggere un libro e di riuscire a ripeterlo integralmente. Ma Brigaglia significa memoria soprattutto per il gusto che lo ha sempre contraddistinto di rievocare brillantemente per iscritto e di raccontare a voce con verve la grande storia della Sardegna ma anche i piccoli fatti dei sardi geniali e comuni (non esclusi quelli emigrati). Uno stile piacevolmente affabulatorio accomuna, in felice interscambio, scrittura e parola: la sbobinatura della registrazione del "parlato" rilascia un testo che è già pronto per essere stampato; solo la prosa saggistica più "alta" non rinuncia ai richiami di un periodare classicamente ciceroniano, quindi non precisamente adatto ad avvincere un pubblico di ascoltatori, ma in generale la scrittura di Brigaglia è pensata per un uditorio, quindi è ricca di tutte le agudezas che inchiodano l’attenzione di chi ascolta, laureato o non laureato che sia. Se Brigaglia cura con particolare attenzione l’ordito dei suoi discorsi, con maggiore concentrazione (se possibile) cura tutte le parti dei prodotti di scrittura che nascono direttamente dalle sue mani, cioè i libri (gli articoli, una volta inviati al giornale, escono dal controllo finale dell’autore). Quindi copertina, titolo, frontespizio, colophon, didascalie delle immagini, risvolti, oltre naturalmente il testo base: tutto deve essere vagliato dai suoi occhi critici. In questi sessanta anni di scrittura (1950-2008) Brigaglia significa anche Enciclopedia, cioè vocazione a sistematizzare tutto il sapere relativo a tutto quello che è Sardegna. La cultura può essere democratizzata, è l’assunto da cui parte Brigaglia, e la predisposizione di opere di divulgazione e di consultazione alla portata della massa dei lettori (secondo l’esempio dell’editore-scrittore Livio Garzanti) è un obbligo morale per chi ha avuto la fortuna di poter studiare e non ha gettato al vento questa opportunità. Ha scritto nel 1968 il poeta e critico letterario Franco Fortini: «Si vuole che la comunicazione esca dalla passività e dal linguaggio ricevuto, quindi dalla ideologia che lo sostiene e vi si esprime? Questo vuol dire trasformare i rapporti di comunicazione orale e scritta, agire sugli schemi generali e i veicoli loro. Lo studio di questa materia la vanno compiendo linguisti e sociologi, lo scrittore rimane estraneo perché continua a porsi i problemi del linguaggio soprattutto in funzione espressiva o creativa, tradizionalmente. Da qui l’attenzione critica scarsissima alla scrittura comunicativa – saggistica, storiografica, politica – nel nostro secolo, fuor di omaggi a mezza bocca. Di qui anche lo stato quasi generale di abbandono e di irresponsabilità in cui sono tenuti i testi destinati alla scuola. Mai la critica letteraria delle riviste o dei giornali si occuperà di un manuale scolastico di storia». Brigaglia, nelle sue lezioni al Liceo "Azuni" (forse è inutile dirlo, ma io sono stato uno dei suoi diecimila allievi) e nei suoi corsi universitari, nelle modalità di impostazione del discorso e della scrittura per la trasmissione delle nozioni, è come se avesse voluto provocare raffinati critici letterari come Fortini, desiderosi di misurarsi criticamente sul terreno della scrittura di comunicazione: «Provate a venire in Sardegna, precisamente a Sassari; troverete materiale di prim’ordine per l’avvio dei vostri pionieristici ‘saggi’».
Paolo Pulina
PER I SARDI ALL’ESTERO CHE SI RECHERANNO SULL’ISOLA PER LE ELEZIONI DI META’ FEBBRAIO
COME OTTENERE I RIMBORSI
Abbiamo chiesto a Tonino Mulas, presidente della Federazione delle Associazioni Sarde in Italia, anche per far fronte alle numerose richieste avute sul nostro sito e sui siti con cui abbiamo creato dei "gemellaggi" che si occupano di Sardegna all’estero, in prossimità delle elezioni regionali che si terranno sull’isola a metà febbraio, come si deve comportare per avere il rimborso spese?
Innanzitutto è fondamentale che la persona che si dovrà recare il Sardegna abbia con se il certificato elettorale. In caso contrario, deve subito informarsi presso il suo comune di residenza per ottenerlo.
Basta questo?
Per avere il rimborso spese è fondamentale, perché dopo aver votato, verrà apposto sul certificato un timbro. Con il certificato contrassegnato, deve recarsi in comune. Solo in questo caso otterrà il rimborso. Va da sé che l’elettore deve essere iscritto all’anagrafe italiana residenti all’estero (AIRE).
Sarà immediato?
Beh, dipende dai casi. Ci sono comuni che sono preparati a rimborsare la cifra prevista immediatamente. Più facilmente, al sardo votante che vive all’estero verrà in un secondo momento effettuato un bonifico. E’ importante quindi portarsi appresso i riferimenti della propria banca. Servono anche i biglietti di viaggio e un documento d’identità.
A quanto ammonta il rimborso spese?
Per le persone che vivono in Europa è di 360 euro. Per gli extra europei è circa il doppio.
Massimiliano Perlato
L’ISOLA ARRIVA AL 38%. LA MIGLIOR PERFORMANCE E’ DI FONNI
CRESCE IN SARDEGNA IL RICICLO DEI RIFIUTI
Sprint finale da record per il riciclo dei rifiuti in Sardegna. Il dato medio tendenziale passa dal 30% d’inizio maggio al 38%. Con un conseguente incremento dei quantitativi smistati per il riuso di plastica, ferro, carta, vetro, sostanze organiche: in tutta l’isola si va da 230mila tonnellate a 300mila. Un’impresa quasi da guinness. Non è l’unica performance degli ultimi mesi in questo settore. Altri dati, infatti, appaiono particolarmente confortanti, almeno secondo il nuovo rapporto sul controllo delle scorie nell’isola. Il dossier rientra nelle attività d’analisi con scadenze annuali promosse dalla Regione. In quest’occasione, per la prima volta, l’inchiesta è stata fatta dagli esperti dell’Arpas. Gli specialisti dell’agenzia istituita due anni fa per la protezione ambientale, radiografando la situazione per conto dell’assessorato, ipotizzano moderni scenari in un quadro di estremo interesse. Soprattutto se si ricorda come il tema dello smaltimento delle scorie urbane abbia spesso arroventato il clima politico anche in Sardegna. Intanto, per la questione generale legata alla tutela del territorio e alla presenza delle discariche (dal dopoguerra non tutte costruite e gestite a norma di legge). In secondo luogo, per la polemica seguita alla decisione di consentire a navi di rifiuti campani lo sbarco nell’isola, per la successiva contestazione pacifica al porto canale di Cagliari e per gli scontri violenti tra gruppi ultras e forze dell’ordine davanti alla villa del governatore Renato Soru a Bonaria, per ore sotto assedio. Infine, per il tema più generale dell’affinamento degli strumenti e dei metodi per smaltire le immondizie in una logica che punta sempre più allo zero-rifiuti. In breve tempo la Sardegna è così divenuta la prima regione meridionale (e la sesta in assoluto) in una campagna che può trasformarsi in eco-business. Sono 31 su 1081 censiti in Italia i comuni sardi più ricicloni dove si supera il 40% della differenziata. Nel presentare il report l’assessore Cicito Morittu si sofferma perciò su alcuni punti molto chiari. Le statistiche attestano un salto di qualità. Specie se si rammenta come nel 2004 il riuso dei materiali di scarto fosse fermo ad appena il 4%. «Col varo del piano regionale sono stati invece stabiliti precisi obiettivi – dice Morittu – Il primo è la progressiva riduzione dei rifiuti urbani. Il secondo, il raggiungimento del 65% di raccolta differenziata nel 2012. Il terzo, il recupero di materie per la produzione di beni. E, ancora, la valorizzazione energetica del "secco residuo" e lo smaltimento in discarica del solo rifiuto non altrimenti utilizzabile». Con questi progetti sono stati stanziati 23 milioni per realizzare un eco-centro in ogni comune dell’isola. Sono poi previsti contributi «per l’attivazione d’iniziative di compostaggio domestico». Altre risorse sono fissate per interventi tesi a sensibilizzare tutti nell’impegno per la riduzione degli imballaggi e nell’impiego dell’acqua potabile dai rubinetti attraverso l’installazione di erogatori di rete filtrata. Si punta poi alla costituzione di una sola Autorità d’ambito per la gestione unitaria del recupero e dello smaltimento, con tariffa unica in tutta la regione. «La Sardegna è tra le prime regioni d’Italia nell’acquisto di almeno il 50% di carta riciclata e nell’adozione di una politica organica che porti al raggiungimento di una quota di merci verdi non inferiore al 30% del fabbisogno territoriale – chiarisce ancora l’assessore – Grazie alla collaborazione dei cittadini, all’impegno delle amministrazioni e all’eccellenza dei risultati raggiunti la Sardegna è così divenuta un caso di studio nazionale». Dai 200 comuni che sino a metà dell’anno appena trascorso erano già attivi nella battaglia si è arrivati adesso a oltre 320 centri. Restano al palo una cinquantina di paesi e qualche città. Come per esempio Oristano. Nel suo caso, il più volte annunciato avvio delle procedure per la raccolta differenziata dovrebbe trovare finalmente attuazione entro gennaio. Ma alcuni ostacoli e difficoltà dell’ultim’ora invitano comunque alla prudenza: un altro rinvio, insomma, non è da escludere. Oltre ai primati raggiunti da Sassari (per il riuso della carta) e dal consorzio di comuni che fa capo a Gavoi, Ollolai e Tiana (per il riciclo in generale), non va dimenticato l’exploit di Fonni. Assieme a Oliena e Orgosolo, il paese con la maggiore altitudine nell’isola, mille metri sul livello del mare, è infatti risultato il campione 2008 nella lotta per l’eliminazione dei rifiuti speciali. Ossia: frigo, lavatrici, lavastoviglie, apparecchiature elettriche, strumenti elettronici, tv, computer. Tutti, non appena dismessi, capaci di trasformarsi in bombe ecologiche e causare forte degrado, specie in montagna. Bene: analizzati i risultati del lavoro svolto in questo campo da Fonni, Orgosolo e Oliena, i dirigenti di Legambiente hanno dichiarato gli abitanti dei tre centri vincitori assoluti del premio bandito dall’associazione su scala nazionale nel 2008. Un riconoscimento al cuore verde dell’isola. Ma non è solo nelle zone interne che il problema è stato affrontato di petto. Cagliari sta rapidamente recuperando il gap accumulato per il ritardo nella partenza della differenziata. Altri centri sono da tempo all’avanguardia. Soprattutto nel Campidano. È il caso, per esempio, di Elmas. Dove, con metodica svizzera, il ritiro di tutte le tipologie di scorie non subisce mai interruzioni o soste. Perfino durante le ultime festività, assicurano in tanti, non è mai passato un giorno, Natale e Capodanno compresi, senza che gli addetti garantissero puntualmente il servizio. Nel recente passato la provincia più virtuosa in questo processo si è rivelata proprio il Medio Campidano (59,1%). Seguono Ogliastra (42,8%), Oristanese (37,5%), Nuorese (27,7%), Cagliaritano (27,6%), Olbia- Tempio (25,5%), Carbonia-Iglesias (20,2%). Il Sassarese è il fanalino di coda con appena il 19,8%. Un milione e 800mila tonnellate, pari ad altrettanti metri cubi di rifiuti: tra i 2 termovalorizzatori di Macchiareddu e Ottana e 5 tra le maggiori discariche è questa l’attuale capacità di assorbimento degli impianti sardi. Copre le esigenze del milione e 660mila abitanti dell’isola, che spesso durante l’estate raddoppiano. Anche questi numeri compaiono nelle oltre 200 pagine del dossier realizzato dall’Arpas.
Pier Giorgio Pinna
RIVELAZIONI DI GAVINO LEDDA IN VACANZA SUL LAGO DI COMO
"RISCRIVO PADRE PADRONE"
Durante un breve periodo di vacanza a Como nei giorni scorsi, ospite di un amico, Gavino Ledda si è soffermato in ammirazione davanti alle statue dei Plinii sulla fronte della cattedrale. Due pagani, ben noti a chi, come lui, ha studiato la storia antica, celebrati dal cristianesimo! Un grande gesto di ammirazione, in aggiunta a ragioni già radicate da tempo nell’animo, che hanno invogliato lo scrittore sardo a visitare il territorio lariano. Motivi che sono sostanzialmente collegati con le scoperte di Volta e Marconi, due sperimentatori delle forze occulte esistenti in natura. «Non si ha un’idea – ci ha detto Ledda – di quanto si parlasse di questi geniali scienziati capaci di imprigionare voci e luci e lanciarle nello spazio fra i pastori delle campagne sarde, quand’ero ragazzo».
La pila, la radio, il telegrafo senza fili dunque erano diventati una specie di leggenda? Un mito, sì. Io stesso me n’ero innamorato al punto da trascinarmi ad approfondire la conoscenza del funzionamento della radio ed i fenomeni legati all’elettricità. Per questo ho voluto andare a scuola. Ma mio padre mi ha strappato dalle elementari quando ero arrivato a metà. Il bisogno di studiare è rimasto represso fino ai vent’anni. Divenuto uomo non ho più resistito e, per togliermi dalla pastorizia, ho voluto arruolarmi nell’esercito. A un patto: che potessi applicarmi allo studio e all’uso, al montaggio delle radio. Così è avvenuto.
In fondo, si sentiva lei stesso, per indole, vicino a Marconi. Certo, perché era un istintivo. Come faceva il suono a scavalcare le montagne? Ai suoi tempi non si sapeva dell’esistenza della ionosfera. Ma c’era e funzionò come superficie di rimpallo delle onde elettromagnetiche.
Questo il dato di conoscenza, di curiosità per i fenomeni della natura. Ma nel romanzo «Padre padrone», pubblicato nel 1975? Ma lo cominciai a scrivere almeno cinque anni prima.
Nel romanzo, dicevamo, lei ha raccontato questa prima esperienza e poi la lotta per riuscire a coltivare liberamente le sue aspirazioni di maturità intellettuale e umana. Oggi tutti lo conoscono o ne hanno sentito parlare, condividono ciò che ha sofferto ed è riuscito ad ottenere. La diffusione del libro mi infonde una grande speranza per ciò che sto facendo ora. A distanza di oltre trent’anni sto infatti riscrivendo l’opera in una doppia versione linguistica, in sardo e in italiano perché io mi sento sardo e italiano insieme. Allora lo scrissi, metaforicamente, nella lingua di Marconi, di Leonardo, di Dante, ma non in un dialetto che nessun poeta degno di questo nome ha fatto finora assurgere a dignità di mezzo di comunicazione universale.
E lei sta tentando di trasformare il vernacolo in una lingua? Con un salto indietro di oltre mille anni, quando il sardo si arrestò, si rinchiuse in crisalide, mi sono impadronito del dialetto in tutte le sue componenti, glottologiche, sintattiche, storiche e voglio che rinasca, arricchendolo.
Ma la nuova versione in sardo sarà accompagnata da una traduzione in italiano? Non una traduzione, ma una traslazione. Un poeta non traduce se stesso, sarebbe una vergogna; può concedersi delle licenze. Anche l’italiano sarà diverso: e nuovo. Pluridimensionale.
In che senso? Le parole sono bloccate dalle convenzioni d’uso. Ma la loro potenzialità inespressa va ben oltre un significato imposto. È la prima volta che lo rivelo a un intervistatore: ritengo che ogni parola viva in uno spazio-tempo.
Una concezione einsteiniana … Secondo la sua visione del mondo, che trascende la realtà percepibile. Credo che il tempo sia inquilino della materia, che finora è stata inventariata come oggetto. L’acqua, per esempio: un oggetto formato da due elementi, idrogeno e ossigeno, con un solo nome che la contraddistingue, ma anche la madre stessa della natura, parte di noi stessi. Quindi l’acqua non può essere chiamata solo "acqua", ma con un qualcosa che identifichi la sua valenza ben superiore. Lo stesso procedimento può essere adottato per ogni parola, rispettandone comunque formazione e storia.
Perciò? Perciò aggiungo alle parole particelle che le ampliano, mai comprese nella grammatica. Una struttura nuova della lingua.
È un concetto che non sembra facile da capire. Sono vent’anni che lavoro per ottenere un risultato convincente.
Crede di esserci riuscito? Bene, sono arrivato circa a metà del mio lavoro, ma sono sicuro di quanto ho fatto e penso di continuare sempre meglio. Manzoni, per citare un maestro di queste parti, impiegò un tempo simile innestando però sul lombardo un’altra lingua, il toscano, già esistente. Il mio intento è invece di ottenere la pluridimensionalità delle parole in un modo del tutto inventivo.
Che cosa si aspetta da quest’opera? Le sembrerò troppo ardito, ma mi sento in una posizione di attesa non molto lontana da quella di Marconi. Una rivelazione. La scrittura creativa aperta alla possibilità di fruire di una formula matematica, lo spazio-tempo di Einstein, che la proietti nel cosmo.
Una trasformazione che faccia guadagnare l’universalità ad un’opera lirico-narrativa impegnata a potenziare la dimensione espressiva di lingua e dialetto, a pari livello? Ecco, lei mi ha augurato ciò che davvero sarebbe il pieno successo di tanto lavoro. Chissà che per la fine del 2009 non mi riesca di darne un saggio, pubblicando un breve racconto concepito per lettori adolescenti. E mentre pronuncia queste parole, gli occhi di Gavino Ledda paiono farsi di brace, nel legno scuro del suo volto di ex pastore fedele comunque alla sua terra d’origine.
Da pastore a scrittore Gavino Ledda è nato a Siligo, in provincia di Sassari, il 30 dicembre 1938; fa il pastore fino a 20 anni, senza frequentare alcun tipo di scuola. Nel 1958, dopo di essersi ribellato al padre che lo vorrebbe costringere con la violenza a fare il pastore, decide di arruolarsi nell’esercito. Nel 1969 si laurea in Glottologia. Nel 1971 insegna negli atenei di Cagliari e Sassari. Scrive il libro «Padre padrone. L’educazione di un pastore», che nell’aprile 1975 viene pubblicato da Feltrinelli e nel 1977, diventa un film con la regia dei fratelli Taviani, che vince al Festival di Cannes. Vive a Siligo con una modesta pensione assegnatagli attraverso i benefici della legge Bacchelli.
Alberto Longatti * La Provincia di Como
IN "ALI DI BABBO", UNA SARDEGNA AMBIENTALISTA
E’ L’ULTIMO ROMANZO DI MILENA AGUS
E’ da molti anni che gli scrittori sardi parlano e scrivono d’ambiente, in molti modi, nei loro romanzi e sui giornali dell’Isola. Da Giulio Angioni a Giorgio Todde, da Luciano Marrocu a Salvatore Niffoi, fino ad arrivare a Milena Agus, scrittrice cagliaritana dall’incredibile successo di pubblico e dalla leggendaria timidezza, sempre un po’ impacciata, molto poco glamour, ma capace di trovare in poche parole il cuore delle cose. Anche se è difficile, d’acchito, sostenere che Agus sia un’autrice impegnata politicamente, l’ultimo suo libro, senz’altro, lo è: nella sua finta ingenuità, nel suo tono lieve e quasi infantile, "Ali di babbo" è un romanzo ambientalista, cioè politico al massimo grado, soprattutto in un’isola, la Sardegna, in cui l’ambiente è diventato, negli ultimi anni, e di nuovo nelle ultime settimane, il tema dei temi della battaglia politica. Nel romanzo una signora strampalata, che tutti chiamano Madame, è proprietaria di un terreno di fronte a una spiaggia bellissima che lei coltiva a verdura, e che non vuole vendere agli speculatori. Ed ecco il bivio, il dilemma esistenziale, la grande questione politica: è facile essere ambientalisti in generale, ma davanti alla possibilità, reale, concreta, di guadagnare una cifra folle sacrificando in cambio un pezzo di natura incontaminata, sapremmo tenere ferma la nostra posizione? Il personaggio di Agus lo fa, con leggerezza e animata da una convinzione profonda, del tutto demodè: che non siano cioè i soldi a fare un uomo o una donna felice, e che distruggere una spiaggia è un gesto che farà del male a tutti, per sempre. Dalla Deledda a oggi, forse è questo una delle più evidenti, spettacolari trasformazioni della Sardegna, e del racconto di questa terra: la consapevolezza, cioè, che la natura, per secoli matrigna e pericolosa, è oggi fragile, in balia della potenza dell’uomo, della sua avidità, delle sue scelte. Se la narrativa non deve (e forse non può) dare risposte definitive, sposare posizioni politiche, diventare la voce di un partito o di un uomo politico, è però indubbio che gli scrittori hanno conquistato in questi anni, in Sardegna, un pubblico attento, e che su questo punto sono stati quasi costretti a interrogarsi, e a dire la loro: su cosa, cioè, la Sardegna rischia dalla furia edilizia, su quanto la bellezza straordinaria del nostro mare può diventare un pericolo per una sorta di colonizzazione dei nostri villaggi sulla costa, su cosa possiamo aspettarci dal turismo, e dai turisti, e su quale modello di sviluppo economico sia più adatto alla nostra terra lontana dal continente, perfettamente dentro il mondo contemporaneo ma splendidamente antica nei paesaggi e nei silenzi. Sono temi enormi, e non riguardano solo la Sardegna: ci sono molte Madame in giro per l’Italia, davanti a un bivio, decise a tenere duro, a non cedere i propri ideali per del denaro. O almeno è importante sperare che esistano davvero, delle Madame, e che qualcuno sarà capace, politicamente, di far sentire che la loro resistenza ha un senso, nella realtà ancora più che nei romanzi.
Flavio Soriga
TROVATI NEL LAGO OMODEO, FURONO SEQUESTRATI DALLA SOPRINTENDENZA ARCHEOLOGICA
I REPERTI ETRUSCHI FINITI NEL BUIO
Fra qualche giorno, il 20 gennaio, sarà un anno da quando la Soprintendenza archeologica
mandò ad Allai i carabinieri per sequestrare un bel po’ di ciottoli trovati nel lago Omodeo. Ciottoli che, secondo quanto disse allora il professor Gigi Sanna, portavano iscrizioni etrusche. La prima improvvida reazione di una funzionaria della Soprintendenza davanti ad un cronista fu che si trattava di un falso. Da quel giorno, dei ciottoli di Allai non si sa più niente. Si dice che la Soprintendenza li abbia spediti a Milano presso un non meglio identificato esperto etruscologo. Nulla di preciso, comunque. Sul mio sito (http://www.gianfrancopintore.it/) c’è stato un breve dibattito fra Massimo Pittau che negava e Gigi Sanna che affermava. In una mail, il grande epigrafista tedesco Herbert Sauren accennò una interpretazione della iscrizione a spirale riprodotta nella foto: "Alcune lettere saltano agli occhi. La lettera t, a forma di una freccia, marca ciò che sta in alto e ciò che sta in basso, la punta della freccia indica l’alto. La scrittura è sinistrorsa, dall’interno verso l’esterno. Ci sono tratti verticali che marcano la fine di una frase". Pur dicendo che in mancanza di un disegno preciso e in presenza di punti danneggiati, la lettura completa non è facile, così traduce la terza riga fra i due tratti verticali: "Noi siamo assenti, molto lontani, tristi". A parte la suggestione che questa frase provoca ed evoca, ed anche prescindendo dalla esattezza della traduzione (ci vorrebbe un pari di Sauren per confermarla o smentirla), la lettura che della spirale ne dà l’epigrafista segnala che o si tratta di un falso geniale ed estremamente colto oppure si è davanti a una prova della frequentazione etrusca nella vallata ora sommersa dal lago Omodeo. In ogni caso, la Soprintendenza non si può arrogare il diritto di tacere ancora, dopo un anno che i ciottoli sono nelle sue mani. Non può, voglio dire, usare la prepotenza del silenzio come se quell’ufficio potesse fare a meno – il verbo giusto sarebbe "fregarsene" – di un corretto rapporto con i cittadini sardi che contribuiscono non poco a pagare gli stipendi di funzionari ed archeologi lì impiegati. PS – Cerco lettori di questa pubblicazione, disposti a sottoscrivere una lettera al ministro dei Beni culturali, Bondi, che riproduce questo testo. Basterà un cenno, firmato con nome, cognome, località di residenza e indirizzo elettronico, nei commenti a questo blog. Si dispensano gli anonimi.
Gianfranco Pintore
IL "REGIONAL GEOGRAPHIC" DI DOMENICO RUIU
FLORA E FAUNA ISOLANA
«Smettiamola di parlare di Sardegna e cominciamo a raccontare le Sardegne. Al plurale». È l’esortazione che Marcello Fois rivolge a chiunque gli chieda di fare il punto sull’isola vista dagli scrittori sardi. Se c’è un autore che ha raccolto alla perfezione l’appello del romanziere nuorese è Domenico Ruiu, forse non a caso suo concittadino, e lo ha fatto soprattutto con il nuovo libro delle sue fotografie appena pubblicato. Da decenni ci sentiamo dire che la nostra, più che una regione, è la sintesi di un continente. Per la varietà dei paesaggi, per la capacità della natura di riassumere in poco spazio orografie, geologie e flore lontane e diverse. Non è un luogo comune e questo "La Sardegna di Domenico Ruiu" (Fabula editore, 240 pagine, 50 euro) lo dimostra pagina dopo pagina. E dimostra che non ha senso tanto parlare di fotografia quanto di fotografie: se l’etimo greco dice che il fotografo "scrive con la luce", non c’è da stupirsi che uno scrittore sapiente come Ruiu sappia cambiare narrazione luminosa in profondità, scatto dopo scatto, per raccontare la storia cangiante della natura di casa nostra. E così in questo suo Regional Geographic la nostra zolla mediterranea muta in continuazione umore e atmosfera. Il cielo sopra l’altopiano di Campeda, mongolo per ampiezza e intensità. La nitida severità alpina del Monte Albo di Lodè. La furia bretone di una mareggiata sulla costa a sud di Alghero. La suggestione celtica dei laghi di nebbia che galleggiano tra i monti d’Ogliastra. Appaiono poco, ed è giusto, i Caraibi troppo spesso evocati da chi si proclama innamorato della Sardegna, un po’ come gli adolescenti che si prendono una cotta per un’attrice per averla vista truccata e in lingerie su una rivista. Ruiu conosce e racconta anche il caratteraccio della Sardegna, le sue cupezze, le durezze. I boschi e le scogliere, non solo e non tanto i sorrisi estivi da atollo. E allo stesso modo conosce e racconta i protagonisti di questi scenari: gli animali. Ci vuole uno stile sicuro e potente per restituire al lettore le striature del cinghialetto, la grazia della martora, la maestà del muflone senza un solo ammiccamento disneyano. La fauna di Ruiu non è mai da fiaba: è da leggenda, o da racconto orale. La silhouette del cervo che appare inaspettato su una duna di sabbia – un «montagna effimera», come scrive nei testi raffinati e accurati che accompagna alle immagini – sembra l’atto di nascita di un mito berbero. Ma questa dimensione narrativa, questa forza simbolica che hanno gli abitanti delle foreste e delle rocce non tolgono nulla all’accuratezza documentaristica delle immagini. Di un altro cervo colto da Domenico Ruiu, quello che si materializza nel silenzio grigioverde di un bosco sulcitano, sentiamo tutto il vigore da Bestia, ma possiamo anche contare ogni pelo del mantello, distinguere le sfumature castane dell’iride, le singole increspature ossee sulle corna. Verrebbe da definirla zoologia lirica. D’altronde di scientifico c’è molto, nel lavoro del fotografo nuorese: non solo il nitore e l’accuratezza nell’illustrare la livrea di una pernice, il volo di un avvoltoio, il galoppo di un cavallino della Giara. Scientifica è innanzitutto la conoscenza dai luoghi che il suo obiettivo trasforma in panorami. Quando fa il ritratto al volto pietroso del Monte Albo sa già qual è il gioco carsico delle acque, che ghiacciandosi e scongelandosi hanno impresso quei lineamenti sulla pietra. Mentre insegue la corsa rumorosa, tambureggiante dei mufloni in fila indiana sui rilievi dell’Asinara ricorda anche l’anno e le circostanze dell’introduzione delle pecore selvatiche nell’isola-penitenziario. Una metodicità nello studio del territorio che accomuna il fotografo ai migliori militari, che prima di sferrare un attacco si documentano a fondo sul "campo". È partendo da questa conoscenza appassionata, oltre che dal suo talento, che Ruiu può conquistare tutte le sue Sardegne, e poi regalarcele.
Celestino Tabasso *Unione Sarda
INDAGINE 2008 DEL "SOLE 24 ORE" SULLA QUALITA’ DELLA VITA
E’ ORISTANO LA PROVINCIA IDEALE PER VIVERE
La provincia di Oristano si è collocata al 19/o posto su 103: l’unica del Mezzogiorno a occupare la parte alta della graduatoria, facendo registrare rispetto all’indagine svolta nel 2007, il miglior risultato in assoluto. E’ passata in graduatoria dal 72/o posto del 2007 all’attuale 19/o, recuperando 53 posizioni. Per trovare le prime province del Sud dobbiamo scorrere, invece, la classifica fino al 55/o posto dove si attestano a pari merito rispettivamente Isernia, l’Aquila e Como. La prima provincia sarda ad ottenere il secondo miglior risultato è Nuoro (al 60/o, +5 posizioni rispetto al 2007), seguono Sassari (al 70/o, -10 posizioni) e Cagliari (73/o posto, -8). La provincia di Oristano è anche la più sicura e meno interessata da reati (15 denunce per scippi e borseggi ogni centomilamila abitanti o 70 per furti in casa); mentre fra le altre provincie sarde seguono Nuoro al 10/o, Cagliari al 16/o, e Sassari al 25/o. In ultima posizione si attesta, invece, Torino e in penultima Genova. "Dati decisamente positivi che generano fiducia nei confronti della nostra città e del nostro territorio e questa e’ una cosa particolarmente importante in un momento di crisi come questo". Il sindaco di Oristano, Angela Nonnis, ha commentato così il diciannovesimo posto di Oristano nella classifica 2008 del quotidiano Il Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle 103 province italiane. Per il sindaco di Oristano, il balzo in avanti di 53 posizioni rispetto al 2007, il primo posto per quanto riguarda l’ordine pubblico e i significativi risultati negli altri settori confermano che Oristano è una città e la Provincia un territorio dove esiste una buona qualità della vita. "Questi dati sono uno stimolo a fare bene – dice il sindaco Nonnis – a guardare con soddisfazione al lavoro svolto e con fiducia al futuro, ma anche un bel biglietto da visita per le imprese e per chi intende investire nel nostro territorio. Nel 2009 saremo impegnati a conservare questi livelli con l’attenzione sempre rivolta al miglioramento della qualità della vita, anche ispirandoci ai modelli di eccellenza delle altre province che ci precedono nelle classifiche. I dati vanno letti con la giusta attenzione e si riferiscono alla provincia, ma il comune capoluogo evidentemente ha un peso specifico elevato all’interno della rilevazione, per il numero di abitanti, per i servizi offerti e – conclude Nonnis – per il ruolo che Oristano esercita nel sistema sociale ed economico territoriale".
BOOM NEL 2008 NEGLI AEROPORTI SARDI: SUPERSTAR E’ ELMAS
OLTRE 6 MILIONI DI PASSEGGERI IN TRANSITO
Nel 2008 è stata superata, per la prima volta, la soglia dei sei milioni di passeggeri negli arrivi e partenze dai tre aeroporti sardi di Cagliari, Olbia e Alghero. Un andamento fortemente positivo che, con quasi 6.050.000 passeggeri, ha incrementato di oltre il 6% il numero dei passeggeri del 2007 (che erano stati 5.687.000). La significativa crescita avvenuta l’anno scorso, che ha riguardato sia i collegamenti nazionali che internazionali, assume un significato ancora più importante se si considera che il dato complessivo degli aeroporti italiani è negativo per quasi l’1%, con una forte flessione dei passeggeri sui voli nazionali (-2,4%) e una sostanziale tenuta di quella sui voli internazionali (+0,1%). La crescita del traffico aereo in Sardegna nell’anno 2008 è la conferma di quanto è avvenuto negli ultimi quattro anni: rispetto al 2004, infatti, la crescita è stata di oltre il 27%, con un aumento di 1.300.000 passeggeri in transito. I nuovi voli nazionali ed internazionali, che saranno attivati dalla prossima stagione estiva, confermano che entro un anno dall’avvio delle nuove rotte potrà essere superata la soglia dei 7 milioni di passeggeri. All’interno di questo boom degli scali isolani, la performance di Cagliari-Elmas. L’aeroporto della capitale è il secondo scalo in Italia per crescita del traffico passeggeri 2008. La Sogaer precisa che nella classifica degli aeroporti sopra il milione e mezzo il "Mario Mameli" viene preceduto solo da Bergamo Orio al Serio. Il bilancio di fine anno – si legge in una nota – indica il raggiungimento di uno storico traguardo: nel 2008 i passeggeri in arrivo e partenza hanno toccato quota 2.921.954, +10,44% rispetto all’anno precedente. Il conteggio evidenzia dati positivi anche per gli aerei: i decolli e gli atterraggi nel 2008 sono stati 33.124 con una crescita del + 7,84% rispetto al 2007. Per quanto riguarda i collegamenti internazionali si è avuta una cr
escita del 21%, risultato ottenuto grazie alla conferma ed ulteriore attivazione dei collegamenti diretti low cost. Commentando i risultati, il presidente della Sogaer Vincenzo Mareddu, ha sottolineato che "con l’attivazione dal mese di marzo 2009 delle 13 nuove destinazioni operate da Ryanair, che collegheranno Cagliari a Italia e Europa, verrà ampiamente superato il traguardo dei 3.500.000 di passeggeri". Sul fronte dei voli nazionali si registra un +8,54% per un totale di 2.434.191 passeggeri. Da rilevare, anche in questo caso, un significativo contributo dei voli low cost, con 419.904 passeggeri.
DA LUGLIO NUOVA ROTTA LOW COST DI RYANAIR PER BRISTOL
L’ESTATE SARA’ PIU’ INGLESE
Stavolta la destinazione è Bristol, il prezzo ancora più stracciato delle altre proposte Ryanair: 10 euro l’andata. Si comincia il primo luglio, nella nota stampa la compagnia irlandese spiega che a Bristol c’è il Clifton Suspension Bridge con vedute mozzafiato sulla gola del fiume Avon e poi tante opportunità di shopping e una bella vita notturna. I voli si faranno due volte la settimana e nel primo anno di operatività i passeggeri saranno 30mila. La solita crescita di Ryanair che nel 2007 a Cagliari aveva trasportato 162mila persone e nel 2008 si è arrivati a 332mila. L’obiettivo ribadito da Ryanair per l’Italia è di trasportare, attraverso l’aeroporto di Cagliari-Elmas, un milione e trecentomila persone entro il 2010. Da qui all’anno prossimo, infatti, gli aerei di stanza nello scalo passeranno da due a tre e quindi potranno aumentare le linee dirette da un aeroporto all’altro. Dal 30 marzo, 14 linee nuove (è già noto) collegheranno Cagliari ad altrettanti scali italiani ed europei. Il volo per Bristol (la diciannovesima rotta Ryanair dallo scalo sardo) è un passo importante per accrescere l’offerta dei voli tra Cagliari e il Regno Unito. L’importanza di questa novità va colta anche e soprattutto al di fuori dell’ambiente aeroportuale. Infatti, a beneficiare dei voli diretti a prezzi altamente competitivi sarà soprattutto il territorio perché, se da un lato la Sardegna meridionale sarà più accessibile per chi la vorrà visitare per turismo o esigenze di lavoro, dall’altro sarà possibile ridurre i disagi dei privati e delle aziende sarde che hanno come meta la Gran Bretagna. Altri annunci sono prematuri, ma attorno al volo per Bristol è in corso un cuci-e-ricama di pacchetti vacanza destinati a cittadini del Regno Unito soprattutto fuori dai mesi di luglio e agosto. E poi c’è l’avvio di contatti con operatori economici, soprattutto nel settore della nautica, interessati allo sviluppo del sistema portuale cagliaritano che si trova a due passi dallo scalo di Elmas. Tornando allo sviluppo dell’aerostazione: la presenza di Ryan Air è considerato il classico volano. Sul vettore low cost e sulla sua affidabilità nel proporre una crescita continua dei collegamenti col resto dell’Europa e dell’Italia è stata impostata la richiesta di allungare il collegamento ferroviario dell’aeroporto fino a Oristano. Disporre di un treno veloce che si prende quasi all’uscita della sala bagagli e che porta fino al capoluogo ed in altri centri dell’isola significa dare una robusta mano sicuramente al turismo, ma anche agli operatori economici decisi a stabilire relazioni dentro e fuori la Sardegna. La bretella ferroviaria è un progetto avviato, è ufficiale che sarà pronta a settembre 2009, il primo passo è il collegamento con Cagliari, Decimoputzu e Iglesias (mentre le Ferrovie lavorano per la fermata vicino all’ex acciaieria Fas sulla statale 130), ma l’ambizione è raggiungere subito anche Oristano. In questo modo Cagliari-Elmas si candida a diventare l’aeroporto di quasi tutta la costa occidentale, visto che i collegamenti con la più vicina Alghero non sono i migliori né per strada né per ferrovia.
UNIVERSITA’, TRA PLAUSI E POLEMICHE VIA AI FONDI PER 715 STUDENTI
CULTURA E ISTRUZIONE, PRIMI ASSEGNI DI MERITO
Soddisfazione. Delusioni. Proteste. Attesa. Sono contrastanti le reazioni e i sentimenti che stanno accompagnando la prima svolta nel varo degli assegni di merito per gli studenti universitari voluti dalla Regione. C’è l’orgoglio, da parte degli amministratori e dei loro collaboratori tecnici, di aver dato vita a un’iniziativa unica in Italia per premiare i più bravi e azzerare le differenze di reddito. E c’è naturalmente l’amarezza dei tanti, almeno per il momento, esclusi dalle graduatorie per l’assegnazione dei dieci milioni stanziati per l’anno accademico 2008-2009. Presto 715 ragazzi sardi incasseranno le prime quote degli assegni, tratte dai 3 milioni e 303mila euro già disponibili. I fuori sede otterranno seimila euro l’anno, gli iscritti che vivono a Sassari e a Cagliari la metà. Altri 1.308 candidati, sui quasi diecimila, che complessivamente hanno presentato domanda all’assessorato per la Pubblica istruzione, sono stati giudicati idonei: per loro si aspetta lo storno di finanziamenti europei che non dovrebbero tardare ad arrivare. Gli esclusi, in questa fase, sono invece 724. Ed è proprio la loro posizione a suscitare qualche polemica. «Gli elenchi diffusi sinora sono provvisori: ricorsi e segnalazioni possono essere tranquillamente presentati sino a fine gennaio, secondo quanto previsto di norma per i bandi regionali – chiarisce l’assessore Maria Antonietta Mongiu – Io in ogni caso vorrei soffermarmi sugli aspetti positivi che la nostra azione politica permette da subito. Sono tanti. E tutti degni di nota». La responsabile della Cultura e Pubblica istruzione comincia ricordando come gli universitari sardi siano oggi oltre sessantamila: un quarto a Sassari, due quarti a Cagliari, l’ultimo costituito da chi studia in atenei della penisola e all’estero. «Ma se pensiamo che gli assegni di merito sono destinati unicamente ai ragazzi in regola con gli esami e con i crediti va innanzitutto rimarcato come un universitario sardo su tre abbia richiesto il contributo regionale – sottolinea l’assessore – È questo un dato che da solo deve fare riflettere: tra le nuove generazioni c’è una tenace, fortissima volontà di concentrare ogni risorsa sul lavoro accademico. È un elemento che mi pare molto importante. Ha sorpreso perfino noi: non ci attendevamo una risposta così entusiasmante, coinvolgente». Che i premi stabiliti dalla Regione incontrino riscontri positivi, vista la crisi economica che nell’isola colpisce migliaia di famiglie, è dimostrato ancora da un altro dato: le centinaia di telefonate e le decine di segnalazioni online che gli uffici cagliaritani continuano a ricevere dal momento della pubblicazione della graduatorie. Tutto ciò dimostra che, quando si crea un clima favorevole, la risposta dei giovani e delle loro famiglie non tarda ad arrivare. Corsie preferenziali, nel progetto re
gionale «Chi studia merita», sono state promosse per gli iscritti alle facoltà scientifiche. Le domande per l’ottenimento degli assegni provenienti da chi segue questo genere di discipline sono state 4.620. Ma tra i beneficiari immediati e gli idonei figurano comunque molti ragazzi che frequentano corsi in materie umanistiche e letterarie. Per prendere visione dell’intero quadro generale legato ai benefici e scorrere i nomi degli universitari inseriti nella prima graduatoria è sufficiente cliccare sul sito www.regionesardegna.it. I funzionari dell’assessorato per il momento hanno cercato di sopperire alle grandi richieste d’informazioni introducendo una serie-tipo di domande e risposte per fare capire chi ha diritto alle agevolazioni e chi no. «Gli uffici sono stati messi sotto pressione e pur lavorando a pieno ritmo ci siamo trovati a dover fare fronte a una mole impressionante di richieste – è la conclusione dell’assessore – Tutti i ragazzi sappiano comunque fin da ora che gli elementi di criticità segnalati saranno tenuti in debita considerazione: tanta attenzione è l’ennesima prova di vitalità e passione negli studi».
Pier Giorgio Pinna
I BENEFICI POTENZIALI DEL DIGITALE TERRESTRE
NUOVA TV, NUOVA RESPONSABILITA’
Si fa un gran parlare, in questi ultimi tempi, del "digitale terrestre", che i poli televisivi Rai e Mediaset stanno pubblicizzando dopo l’approvazione delle norme sul riassetto del sistema televisivo e le prime applicazioni della nuova tecnologia. Il sistema di trasmissione e ricezione digitale consente di utilizzare il televisore già in uso ma richiede l’installazione di un decoder, apparecchio simile a quello usato per la tv satellitare, da collegare alla presa dell’antenna e al televisore per fruire del servizio nelle zone coperte dall’apposito segnale. Il passaggio dal sistema analogico a quello digitale sul territorio italiano ha preso il via dalla Sardegna, che ha completato la trasformazione. Pian piano tutte le altre regioni percorreranno la stessa strada. Fissato istituzionalmente a più riprese e poi rinviato nel corso degli anni, il passaggio al nuovo sistema sembra avere imboccato la strada per concretizzarsi definitivamente entro i tempi previsti. L’Italia non è sola: tutti i Paesi dell’Unione Europea si stanno attrezzando per convertire le reti nazionali di trasmissione televisiva in tecnologia Dtt (Digital terrestrial television) secondo tempistiche differenti ma entro un arco temporale limitato ai prossimi anni. Negli spot a favore del nuovo sistema si insiste sulla possibilità di una fruizione interattiva e personalizzata da parte dello spettatore, che avrà la possibilità di scegliere tra un maggior numero di programmi disponibili e di usare il televisore come strumento per accedere ai servizi di pubblica utilità. Se davvero la questione sostanziale si può porre in questi termini, il nuovo corso si preannuncia estremamente interessante. Come i suoi predecessori, anche l’attuale ministro delle Comunicazioni ha sottolineato a più riprese la potenziale maggiore "democraticità" del mezzo televisivo attraverso il nuovo sistema di trasmissione e ricezione, in quanto aumenterebbe il numero di emittenti facilitando il pluralismo d’espressione e la libertà di scelta. In realtà, qualche dubbio continua a serpeggiare anche tra gli addetti ai lavori, oltre che fra i potenziali destinatari che devono ancora capire bene cosa succederà in concreto e come potranno cambiare le loro abitudini di fronte alla tv. Il digitale può offrire l’opportunità di aumentare i canali di offerta, la suddivisione tra operatori della rete e fornitori di contenuti, il riconoscimento di nuove figure professionali e nuovi operatori della comunicazione, ma può anche rivelarsi terreno di ulteriore conquista per chi già adesso la fa da padrone, a dispetto dell’Antitrust. Fra i punti problematici, si registra infatti l’obiezione sollevata da chi teme che la nuova tecnologia possa essere monopolizzata dalle emittenti più forti sul mercato del piccolo schermo (in particolare Mediaset e Rai), che già detengono una posizione dominante in campo televisivo e alle emittenti minori lascerebbero soltanto poche briciole.
Marco Deriu
INTERVISTA A MARIA JOLE SERRELI DI TERRALBA, PITTRICE E SCULTRICE
STATI D’ANIMO TRASFORMATI IN SCULTURA
Ho incontrato Maria Jole Serreli, pittrice e scultrice autodidatta; nata a Roma da genitori sardi vive e lavora a Terralba. Innamorata della Sardegna porta nel cuore da sempre anche la sua città d’origine.
Come nasce la passione per la pittura e la scultura? Sono sempre stata una bambina creativa, realizzavo forme e omini persino con la mollica di pane, ogni occasione era buona per creare. Disegnavo dappertutto anche sulle scatole della pasta. Poi un giorno, quando avevo 15 anni, ho preso un pezzo di argilla e ho iniziato a lavorarlo, i miei attrezzi sono stati uno stuzzicadenti e una forchetta. E’ stata la mia prima opera scultorea rappresentando due anziani seduti "a su friscu" come usavano i nostri nonni. Per me gli anziani sono un grande tesoro e mi hanno dato tanto.
Cosa ti ha fatto scattare l’idea di concretizzare e valorizzare le tue doti artistiche? Ho partecipato ad un corso di introduzione alla ceramica presso l’istituto d’arte Contini di Oristano, immergendomi finalmente nel mondo che mi appartiene, lasciandomi trasportare dalla tradizione della ceramica oristanese. Successivamente ho frequentato un corso per ceramisti presso l’ente regionale formazione lavoro Pastore di Oristano ed a Urbania nelle Marche. Tutte esperienze formative da tanti punti di vista, ho conosciuto grandi professionisti del settore che mi hanno dato tanto anche credendo in me.
La tua prima mostra personale scultorea è intitolata "Statue d’animo – il mio presepe"… Statue d’animo è in concreto ciò che io sento dentro, un viaggio nel mio animo. Qualcosa di speciale che ho voluto realizzare vivendomi nel profondo. Desidero un insolito presepe dove non ci sono re magi e pastorell
i a venerare la sacra famiglia, ma solo angeli caduti e demoni della vita. E’ così che i miei infiniti stati d’animo si trasformano in scultura, materia che desidero plasmare, in cui l’argilla è come inchiostro e le parole diventano forme.
Dove e quando la tua ultima mostra? Ho esposto nel periodo natalizio a l palazzo Bojl di Milis una collettiva organizzata dal comune in collaborazione con l’associazione "Morsi d’Arte" di Oristano. Per l’occasione ho realizzato una installazione intitolata "la valigia dei ricordi" legata all’emigrazione, tema a me molto caro e che mi tocca da vicino.
Qual è per te un artista vero? L’artista vero credo sia quella persona che riesce a trasmettere l’emozione nell’opera che ha realizzato facendola sentire propria allo spettatore.
Cosa senti più tua, la pittura o la scultura? Nella pittura non ho ancora trovato la mia strada, nella scultura ho il mio stile, e credo di essere pronta a sviluppare forme più grandi anche sulla trachite.
Idee per il futuro? Mi piacerebbe realizzare un laboratorio di ceramica per valorizzare questa meravigliosa arte, recuperando i mestieri antichi e proporli per il futuro.
Claudia Tronci
"SU RE": UN FILM CON LA FEDE DEI SARDI
I VANGELI E UNA SCOMMESSA DI VITA
Sarà nelle sale cinematografiche fra un anno, un anno e mezzo, ma già si annuncia come un evento straordinario nel panorama culturale isolano. Le riprese, dopo i primi 3 mesi dedicati ad accurati provini, si concentreranno nei prossimi mesi e dovrebbero concludersi entro il luglio 2009. Autunno ed inverno dedicati al montaggio, quindi le prime presentazioni nella primavera 2010. Questa la scaletta temporale de "Su Re", il film che Giovanni Columbu sta girando interamente in Sardegna con attori esclusivamente sardi e tutto in limba. Una scommessa che parte da lontano, da "un fascino – come dice Columbu – che i Vangeli hanno sempre esercitato su di me, e non solo da un punto di vista strettamente professionale". L’opera si avvale della prestigiosa consulenza della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna. Un puntello importante che rafforza un progetto sostenuto finora, in gran parte, proprio dalla base, dalle parrocchie (prima Sant’Eulalia) che Columbu sta visitando da nord a sud dell’isola. Ad oggi il budget è stato coperto solo per metà. Per la parte mancante si spera in un sostanzioso contributo di qualche ente pubblico o di un imprenditore che accetti di condividere con Columbu questa scommessa. "A dire il vero – rivela il regista – un finanziatore l’avevo trovato, pronto a coprire l’intera intrapresa. Un miliardario ebreo che, però, chiedeva in cambio di scaricare tutte le colpe della condanna del Cristo a Ponzio Pilato, quindi al potere romano, e non al Sinedrio". Inevitabile la scelta di Columbu di rinunciare alla facile sponsorizzazione che avrebbe snaturato la verità evangelica. Tante le difficoltà fin qui affrontate sia per quanto riguarda la scelta dei luoghi che gli attori principali e le comparse. "Ma è stato incredibile scoprire – dice Columbu – come, soprattutto nelle zone interne della Sardegna, io abbia trovato degli attori veri, schietti, diretti. Una capacità straordinaria di recitare la fede, davvero impensabile". Per la figura centrale, quella di Gesù, la selezione è stata accuratissima, fino a quando il regista non si è imbattuto semplicemente in un giovane pastore dell’interno, con tutte le caratteristiche che andava ricercando. "Su Re" sarà la riproposizione scenica della figura di Gesù così come ci viene raccontata dai 4 Vangeli. Il cuore del progetto sarà i giorni della Passione, Morte e Resurrezione, dall’Ultima Cena fino all’Ascensione. Ma verranno riproposti anche altri momenti centrali della vita di Gesù: dalla sua nascita al Discorso della Montagna ad alcuni miracoli. Intanto Giovanni Columbu continua, con un’ostinazione tutta sarda, nella sua strada fatta di pazienti contatti, di incontri a vari livelli, di partecipazione a dibattiti o talk show televisivi per promuovere il suo "Su Re". L’Ente lirico di Cagliari ha già realizzato 400 costumi di scena. La macchina organizzativa sta mettendo a punto il programma dei prossimi mesi quando ogni giorno sarà importante e decisivo.
Paolo Matta
MOSTRA ANTOLOGICA AL "PALAZZO DELLA FRUMENTARIA" DI SASSARI
AUSONIO TANDA, L’INQUIETUDINE DEL REALE
Al pittore Ausonio Tanda (Sorso 1926-Roma 1988), uno dei maggiori artisti sardi del secondo dopoguerra, il Comune di Sassari dedica una grande retrospettiva al Palazzo della Frumentaria a vent’anni dalla scomparsa. La mostra, che segue di pochi mesi quella organizzata al Complesso monumentale di San Michele a Roma, ridisegna il percorso dell’artista attingendo a un importante fondo di opere inedite e a numerose collezioni pubbliche e private. Viene privilegiata la fase più feconda e felice della sua ricerca, dai primi anni Cinquanta alla metà dei Sessanta. Attraverso le 90 opere esposte emerge il suo volto più autentico: quello di un artista drammaticamente diviso tra esigenza di modernità e attaccamento al passato, avanguardia e tradizione, centro e periferia; un artista inquieto, impegnato e sperimentale. All’interno del percorso della mostra trova spazio la proiezione del documentario biografico realizzato nel 1961, con la regia di Massimo Mida e che si avvale del prestigioso commento dello scrittore Giuseppe Dessì e dello stesso Mida. Dai lavori iniziali, influenzati dal tonalismo romano e da artisti isolani come Pietro Antonio Manca e Giuseppe Biasi,Tanda passa verso il 1955 a una pittura drammatica, dal piglio energico e sintetico. La ricerca di Tanda culmina verso il 1960 con alcune serie di opere di forte impatto: i Lupi, in cui i corpi deformati delle bestie caricano l’immagine di selvaggia energia;
gli Americani, che, non senza suggestioni pop, registrano le impressioni raccolte nel corso di un soggiorno di alcuni mesi in Canada e negli USA. Dal 1962 comincia per Tanda un’intensa fase sperimentale. Nascono così i Torsi straziati e mutilati evocati da impronte di colore, i Ciborg, bizzarre figure di mutanti fatti di transistor e matasse di fili elettrici, le Estrazioniplastiche, rilievi scavati in negativo nel polistirolo bianco, in cui la realtà trasformata dalla scienza e dalla tecnologia appare come una traccia fossile all’indomani del disastro globale. Le ultime ricerche, apprezzate da critici come Corrado Maltese e Marcello Venturoli, erano però destinate ad avere scarso successo commerciale. L’artista avrebbe quindi continuato ad affiancarvi la pittura figurativa, destinandola al mercato sardo in cui continuava a trovare numerosi acquirenti. È soprattutto a questa produzione, che perpetua i vecchi temi delle tonnare e dei pescatori, che il suo nome sarebbe rimasto a lungo legato.
STORICA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI FIRENZE: MAXI-RISARCIMENTO PER UN PARACADUTISTA
IL CANCRO E’ STATO PROVOCATO DALL’URANIO
Una sentenza storica: per la prima volta la magistratura italiana ha riconosciuto il nesso di causalità tra tumori del sistema emolinfatico e ambienti "inquinati" dall’uranio impoverito. Il giudice civile di Firenze, ha infatti accolto il ricorso da un paracadutista, Gianbattista Marica di Orbetello, e ha condannato il ministero della Difesa a un risarcimento di 545.061,41 euro. Mantica si era ammalato di un linfoma di Hodgkin dopo aver partecipato nel 1993 alla missione Ibis, in Somalia. La sentenza è fondata sulle conclusioni del consulente del tribunale e sulla documentazione allegata agli atti, dalla quale risulta che già nel 1993 la direzione della sanità militare Usa (Department of the Army, Office of the Surgeon General) aveva diffuso un documento, secondo il quale «quando i soldati inalano o ingeriscono uranio impoverito, incorrono in un potenziale incremento del rischio di cancro». Di più: nel 1984 la Nato aveva inviato ai paesi membri un documento nel quale già si parlava esplicitamente della pericolosità dell’uranio depleto per la salute. Documenti che, secondo il giudice di Firenze, provano una responsabilità del ministero della Difesa nel non aver fatto conoscere questi rischi e, soprattutto, per non aver adottato misure adeguate per tutelare la salute dei militari. Su questo punto, il giudice esprime un giudizio molto severo sul comportamento delle autorità militari nel corso della missione in Somalia: «Al di là delle raccomandazioni che erano e dovevano essere note al Ministero, il fatto che ai militari americani fosse imposta l’adozione di particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva allertare le autorità italiane. Deve concludersi che, nel caso in discorso, vi sia stato un atteggiamento non commendevole e non ispirato ai principi di cautela e di responsabilità da parte del ministero della Difesa, consistito nell’aver ignorato le informazioni in suo possesso, già da lungo tempo, circa la presenza di uranio impoverito nelle aree interessate dalla missione e i pericoli per la salute dei soldati collegati all’utilizzo di tale metallo, nel non aver impiegato tutte le misure necessarie per tutelare la salute dei propri militari e nell’aver ignorato le cautele adottate da latri paesi impegnati nella stessa missione, nonostante l’adozione di tali misure di prevenzione fosse stata più volte segnalata dai militari italiani. Dopo la diagnosi della malattia, Marica raccontò che i militari statunitensi in Somalia, anche a 40 gradi all’ombra, operavano con tute, maschere, guanti e occhiali, mentre i soldati italiani erano in calzoncini corti e canottiera. Un racconto che coincide perfettamente con quello del maresciallo Marco Diana di Villamassargia, ammalatosi anche lui di tumore. Marica nel 2001 si rivolse all’Anavafaf, l’associazione che tutela le vittime arruolate nelle forze armate, presieduta dall’ex presidente della Commissione Difesa, Falco Accame. Fu l’Anavafaf ad affiancare Marica nel suo ricorso. Si tratta di una sentenza storica. Per la prima volta è stata data ragione in sede di giurisdizione e ora si aprono le porte a eventuali altri ricorsi. Vorrei ricordare che la Sardegna, con almeno venti casi di tumore rilevati sul personale militare, è insieme alla Puglia la regione che più ha pagato e più sta pagando un tributo di dolore e di sofferenza.
Piero Mannironi
SCOPRIAMO INSIEME IL MOSTRO CHE SE PENETRA NEL CORPO UMANO, E’ DEVASTANTE
COS’E’ L’URANIO IMPOVERITO?
Con il termine uranio impoverito s’intendono due composti abbastanza diversi tra loro. In natura troviamo raramente dell’uranio altamente radioattivo, detto U235, mentre è molto diffuso l’uranio U238, poco radioattivo. Normalmente solo lo 0,7% è U235, mentre il 99,3% è U238. Nelle centrali nucleari e per costruire ordigni bellici serve uranio altamente radioattivo, quindi l’uranio naturale viene artificialmente trattato per trasformarlo in U235; in questo modo si ottiene l’uranio arricchito. Questo uranio viene raffinato, estraendo tutto l’U235 possibile e quello che resta si chiama uranio impoverito. In questo caso, dalle industrie di produzione di combustibile d’uranio, si ottiene uno scarto quasi totalmente composto da U238; non è però questo l’uranio impoverito usato nei proiettili. Le centrali nucleari ricevono l’U235 e lo sfruttano, finché possono; quando la reazione a catena viene interrotta, si cambia l’uranio sfruttato, che è paragonabile ad un rifiuto come la cenere in una stufa a legna, e che viene detto ancora uranio impoverito. Quello usato nei proiettili. Però questo uranio contiene molte cose in più rispetto a prima: prevalentemente sarà sempre fatto da U238, ma si troverà ancora dell’U235, assieme a tracce di Plutonio e di altri composti formatisi durante la combustione nucleare.
Quanto costa l’uranio impoverito?
Essendo un materiale di risulta, e per giunta radioattivo, l’uranio impoverito rappresenta un problema per le centrali nucleari, che non sanno come fare a smaltirlo. Questo materiale quindi non vale nulla, anzi le aziende che lo producono come scarto sono disposte a pagare chiunque voglia andare a prenderselo.
Quanto uranio impoverito esiste oggi? Da fonti autorevoli è stato calcolato che in questi pochi anni di funzionamento delle centrali nucleari abbiamo già accumulato oltre un chilo a testa di uranio impoverito, che nessuno sa come smaltire. Si tratta di 6 milioni di tonnellate di uranio, prevalentemente depositato nei paesi dell’Est, ma anche l’Unione Europea ha la sua parte, oltre 300.000 tonnellate. Questo uranio è conservato come esafloruro, gassoso, in bidoni spesso lasciati colpevolmente all’aria aperta.
Per quanto tempo dura la radioattività? La vita di un materiale radioattivo cambia in funzione della sua composizione. In fisica si usa stabilire il tempo che un materiale radioattivo impiega per dimezzare la sua radioattività: per l’uranio impoverito questo tempo è circa 4,5 miliardi di anni.
Perché si usa l’uranio impoverito nei proiettili? L’uranio impoverito è un metallo duttile e malleabile, che si ossida facilmente, e che presenta due caratteristiche molto interessanti per gli impieghi militari, oltre a non costare nulla: la sua densità è molto elevata, quindi a parità d’ingombro risulta molto più pesante di altre leghe. Quando si scontra con altri metalli, come l’acciaio delle corazze dei carri armati, si arroventa immediatamente, come la testa di uno zolfanello e si squama progressivamente, trasformando la parte superficiale in polvere finissima. Da quanto detto deriva che un proiettile la cui ogiva è in uranio impoverito, rispetto ad uno tradizionale avrà molta più capacità di penetrazione, perforando anche ampie lastre di acciaio ed inoltre, una volta entrato, provocherà un incendio che potrà far esplodere la carica stivata nel retro del proiettile. In questo modo si ottiene un ordigno anticarro o antibunker senza paragoni quanto ad efficacia.
Che danni all’uomo provoca l’uranio impoverito? Essendo la radioattività molto bassa ed essendo le radiazioni principalmente di tipo alfa, sino a che l’uranio resta all’esterno del corpo umano non risulta particolarmente nocivo. Al contrario, se l’uranio riesce a penetrare nel corpo umano, la sua nocività è molto elevata: questa polverina, formata da particelle cento volte più piccole di un normale granello di sabbia, si fissa nelle ossa, in particolare lungo la colonna, e bombarda il midollo e le aree circostanti. Qualora la dose sia elevata, si può arrivare anche a tumori o leucemie, ma normalmente il danno più diffuso sono le continue mutazioni genetiche. L’esito di tali mutazioni non è detto che sia immediatamente riscontrabile in coloro che hanno assorbito l’uranio, almeno senza particolari analisi, ma è più facile che si renda visibile nelle generazioni successive.
Come ci si può proteggere? Come già detto, il problema si risolve evitando che l’uranio entri nell’organismo. Questo può entrare in circolo o attraverso le vie respiratorie o attraverso la bocca, sotto forma di bevande, cibo o contatto con corpi contaminati, quali le stesse mani. Quindi bisognerebbe essere dotati di opportune tute e maschere protettive, non toccare i proiettili, loro frammenti o loro bersagli colpiti, bisognerebbe evitare di sollevare la polvere, di accendere fuochi, bisognerebbe lavarsi le mani spesso ed essere sempre certi della qualità delle bevande e dei cibi ingeriti. Tutte precauzioni difficili da osservare in zone di guerra.
Quanto si può diffondere l’uranio impoverito? Nel 1979 la National Lead Industries di Colonie (New York), costruttrice di pallottole ad uranio impoverito, che rilasciava nell’aria involontariamente della polvere di uranio durante il suo processo di fabbricazione, riempì 16 filtri d’aria del Knolls Atomic Power Lab. di Schenectady, che poi le fece causa per danni, a circa 45 Km di distanza. Tutto questo senza che vi fossero state esplosioni o incendi. Gli esperti calcolano che in pianura e in presenza di vento, a seguito di un incendio tipo quelli normalmente verificati quando viene colpito un carroarmato, la propagazione può estendersi sino a 1.000 Km dal luogo di origine.
Come si possono decontaminare le aree colpite? La decontaminazione è impossibile, per ragioni di costo. Lo stabilimento della Starmet a Concord, nel Massachusetts, che faceva penetratori a uranio impoverito, per un incidente contaminò il suolo e le acque circostanti. Nell’ottobre 1997 iniziò un programma di decontaminazione di un territorio abbastanza limitato, con un preventivo di spesa di circa 6,5 milioni di dollari. Ben presto ci si rese conto che la spesa sarebbe stata molto più elevata, quindi il programma venne abbandonato.
I proiettili all’uranio impoverito possono far parte delle armi non convenzionali? Gli spinosi aspetti legati alla nomenclatura sono di pertinenza del Legislatore, tuttavia, come spesso accade, anche le migliori intenzioni del legislatore possono essere facilmente eluse ed ignorate per decenni. Esiste, ad esempio, una convenzione internazionale che obbliga gli eserciti regolari ad utilizzare proiettili "incamiciati" con rame. Questo per evitare, ad esempio, che l’utilizzo di proiettili esplosivi possa generare gravi ed inutili mutilazioni. Come prevede tale convenzione internazionale, in genere gli eserciti regolari utilizzano munizioni blindate ma che, per la loro particolare conformazione, presentano il baricentro spostato verso la parte posteriore. Questo implica una corretta traiettoria nella linea di volo ma, il proiettile, raggiunto il bersaglio e penetratovi per uno o due centimetri, inizia i suoi cicli di ribaltamento su se stesso provocando lacerazioni larghe quanto la sua lunghezza, con conseguente morte per emorragia interna nella quasi totalità dei casi di ferimento anche in organi non vitali. Con tali proiettili non si viola alcuna convenzione internazionale. Tuttavia essi presentano effetti di balistica terminale analoghi a quelli di molti altri vietati dalle convenzioni internazionali.
Si parla di decessi, insorgenze violente di leucemie, dovuti ad armi chimiche che possono scatenare malattie mortali a breve o lunga scadenza. Se l’uranio non è direttamente colpevole, quali sono gli altri componenti a rischio? Lo si può spiegare rivedendo la metodologia operativa bellica. La presenza fisica dell’esercito è anticipata da bombardamenti aerei, navali o da artiglieria. Questi normalmente colpiscono obiettivi bene o male calcolati. I bombardamenti a tappeto colpiscono ettari interi, facendo terra bruciata, mentre quelli chirurgici colpiscono pochi metri quadri. Questi servono come prima preparazione che tende a neutralizzare i sistemi di trasmissione, quelli di trasporto ed i rifornimenti, cioè le componenti nemiche che possano rispondere al fuoco. Poi subentra la seconda ondata di guerra classica con armi da fuoco. Si sviluppano così gli incendi di idrocarburi con nubi concentrate tossiche e cancerogene che ricadono sull’ambiente. Questo vale anche per i bombardamenti di fabbriche non solo di probabili armi chimiche, ma anche di semplici vernici e diluenti, che immettono nell’atmosfera nubi di sostanze pericolosissime e cancerogene. Sono dunque coinvolti tutti i prodotti fuoriusciti dai bombardamenti. A questi andranno poi ad aggiungersi gli stessi composti delle armi usate come l’Uranio ed i suoi successori come il plutonio e gli altri.
Esistono in Italia depositi di uranio impoverito o di scorie nucleari? A Garigliano c’è un deposito di scorie nucleari, dove si registrano 10 Ram/ora, cioè 1000 volte superiori al livello naturale. A Casaccia ci sono montagne di bidoni radioattivi degli impianti ENEA. A Caorso c’è una "piscina" con parecchie tonnellate di Uranio, Rutenio, Stronzio… e migliaia di bidoni di rifiuti. A Trino c’è una piscina con alcune tonnellate di Uranio, Plutonio… e tonnellate di rifiuti che subiscono continue alluvioni. La Dora Baltea, nella pianura del Vercellese, periodicamente allaga gli impianti nucleari abbandonati con migliaia di metri cubi di scorie radioattive. Sulla zona vi è la "Sorin Biomedica" ed un reattore con materiale fissile. Vicino c’è la "Eurex" dell’ENEA, un magazzino con 600 metri cubi di scorie radioattive e sulla collina ci sono migliaia di tonnellate di rifiuti con Calcio, Stronzio, Uranio… sotterrati in serbatoi di acciaio. Dal Centro dell’ENEA e dalla Sorin, Cobalto, Cesio ed altro, passano nelle falde acquifere. Il Ministero dell’Ambiente sembra ignorare il problema, e le procedure di rimozione di queste sostanze vengono scaricate dall’uno all’altro responsabile. Intanto le falde sotterranee radioattive facilmente raggiungono gli acquedotti da cui viene distribuita l’acqua potabile per i comuni.
L’8 FEBBRAIO A CINISELLO BALSAMO, IL CONCERTO
ALL’AMIS C’E’ CARLA DENULE
Con i suoi 2 cd CD, "Notte de luna" e "OGH’ELADA" (in coll. Con Eugenio Finardi ) è riuscita ad eseguire le più belle melodie della Sardegna unendo agli strumenti sardi più antichi quelli classici della musica sinfonica. Da due anni ormai viene accompagnata nei i suoi concerti da un gruppo di sei elementi tutto al femminile formato da 4 archi ( 2 violini – viola e violoncello) una pianista-tastierista e una chitarrista-corista. Si presentano al pubblico in modo molto elegante e raffinato con una scenografia completamente bianca come i loro vestiti e vengono apprezzate, oltre che dal pubblico sardo, anche da coloro che si avvicinano per la prima volta alla nostra musica etnica e che si lasciano trasportare con grande emozione dal suono dolce dei violini e la voce melodica di Carla. Sulle musiche di grandi artisti sardi e su canzoni tradizionali come "No potho reposare", l’artista interpreta in chiave moderna, senza mai snaturare l’essenza sarda, la forza e la dolcezza unica della canzone in limba. Elemento di unione di questi diversi modi di concepire la musica," lo spettacolo" trova armonia e sintesi nella voce della Denule, custode della memoria e del tempo, interprete eroica di una sardità che diventa valore universale e linguaggio per tutti i popoli. Uno spettacolo emozionante e capace di trasmettere quelle sensazioni forti che solo un concerto che mira a far incontrare linguaggi e canoni musicali diversi tra loro può dare". Forse anche per questo gli organizzatori delle varie manifestazioni collaterali svoltesi durante i grandi Giochi Olimpici di Torino, dopo aver visionato tutto il materiale audio-video della cantante, hanno deciso che fosse proprio Carla la persona giusta a rappresentare la Sardegna davanti a un pubblico che arriva da tutto il Mondo.
Carla Cividini