dal Corriere.it
L’amore per la natura ha sempre contraddistinto la storia di Daniela Ducato, imprenditrice sarda e coordinatrice di La casa verde CO2.0, il polo produttivo per la bioedilizia più grande d’Italia, fondato sull’utilizzo delle eccedenze agricole, boschive e della pastorizia dalla sua regione. È anche alla guida di Edilana, società di prodotti di pura lana vergine di pecora sarda, prima azienda europea per i prodotti termoisolanti naturali. E’ la storia di una delle regioni più in crisi d’Italia, come la Sardegna (citata anche dal presidente Napolitano durante il discorso di fine anno). Paradigmatica della creatività e dell’imprenditoria femminile che dal basso ha creato un’attività diventa ora il principale polo per la bio-edilizia italiana. L’esperienza che ora vi raccontiamo si è estesa fuori dal proprio territorio.
ISPIRAZIONE – Da Cagliari, dopo il matrimonio, Daniela si sposta a Guspini, vicino al mare della bellissima Costa Verde. È qui che nasce il suo primo progetto, una banca del tempo: un’associazione i cui aderenti si scambiano ore di tempo tra loro con gli stessi meccanismi dei soldi in banca, per semplificare la vita di donne e mamme (che di tempo ne hanno poco) e soprattutto valorizzare le competenze di tutti, anziani e giovani. L’idea può essere applicata anche alle imprese.
RETE INTELLIGENTE – L’intuizione dell’imprenditrice è questa: se aziende diverse mettono a disposizione ognuna le proprie competenze e lavorano in sinergia, proprio come gli iscritti a una banca del tempo, è più facile aiutarsi, evitare gli sprechi e avere successo.
«Realizzando prodotti con le eccedenze delle lavorazioni del latte, del miele, della lana, si trasformano rifiuti speciali in risorse speciali. Con questo lavoro noi custodiamo la biodiversità animale, vegetale, ma salvaguardiamo soprattutto la biodiversità dell’intelligenza. Senza, non si riesce a trasformare uno scarto della lavorazione del formaggio in un’ottima pittura o in un altro dei nostri prodotti che hanno vinto premi come quello all’innovazione amica dell’ambiente, il premio Ecomondo e molti altri».
LA PRODUZIONE – Daniela coordina 72 aziende, di cui 40 si trovano in Sardegna e 32 in altre regioni italiane. Costituiscono il maggior polo bioedile d’Italia per tipologie (oltre 400) tra edilizia, arredo e design: si va dagli isolanti alle pitture, ai materassi, ai letti, agli alambicchi per estrarre oli essenziali, il tutto realizzato solo con materie prime locali eccedenti – quello che normalmente si chiama “scarto”.
«Quello che è eccedenza dell’uno, diventa risorsa dell’altro, ma soprattutto la cosa più importante è che scambiamo ricerche e studi. Con una piattaforma condivisa mettiamo a disposizione le nostre competenze per colmare le lacune reciproche. Questo ci porta a risparmiare anche molto denaro. Condividendo le ricerche ne guadagna l’economia, ma soprattutto ne guadagna la relazione».
CASA VERDE CO2.0 – La casa verde CO2.0 è una realtà che genera posti di lavoro dignitosi, con prodotti italiani al 100% che in qualche modo raccontano anche il territorio nazionale:
«Produrre una vernice con vinaccia di Nero d’Avola siciliano o con un Cannonau non vuol dire solo recuperare il rifiuto di un’azienda vitivinicola o un sale di tartaro, che hanno il loro costo ambientale ed economico, ma vuol dire anche raccontare l’Italia, descriverne i colori, l’agricoltura, riutilizzare i vocaboli della cultura contadina nel linguaggio dell’architettura. Non per fare case di campagna, ma per creare edifici, anche molto tecnologici e moderni, adatti a tutti i contesti».
SARDEGNA TECNOLOGICA – Nell’immaginario collettivo l’isola è mare, paesaggio, vacanza, pecore, formaggio, mirto. Difficilmente la si ricollega all’hi-tech, a una tecnologia che non sia legata al Sulcis o al petrolchimico. Daniela, invece, ha preferito la lana di pecora al petrolio e per la sua lavorazione ha applicato la scienza tecnologica più avanzata. «Nonostante il 70% del patrimonio ovino nazionale si trovi qui, quando abbiamo iniziato le persone si chiedevano “Ma come? Producono in Sardegna?”. C’è un immaginario che va ridisegnato. Si può fare ricerca anche qui, dato che siamo la regione europea con il maggior numero di materie prime eccedenti per la bioedilizia. Non esisterebbe il polo delle piastrelle di Sassuolo senza le materie prime sarde che partono per quel distretto. Abbiamo tutti gli ingredienti per costruire in modo ecosostenibile, ma non davamo loro importanza».
PRODOTTI DI MASSA – Tra i prodotti proposti si va dai tetti pronti da assemblare come fossero mattoncini di Lego, alla prima vernice “concentrata” senz’acqua d’Europa, che permette di risparmiare imballaggio, costi ed emissioni in atmosfera, visto che i camion viaggiano più leggeri.
«Ci siamo ispirati alla pastorizia: il pastore era nomade e transumante e nei suoi spostamenti doveva portarsi dietro oggetti utili e leggeri, resistenti, efficaci e forti. Pesanti non si può viaggiare. Abbiamo isolanti ai quali viene sottratto il 50% del volume, e che poi in cantiere lo riprendono interamente».
ECCEDENZE ALIMENTARI – Sono oltre cento gli ingredienti alimentari utilizzati in bioedilizia sottratti allo spreco. Si tratta principalmente di «avanzi» provenienti dai campi agricoli.
«Qui vicino abbiamo campi di carciofi. Di un carciofo di 200 grammi mangiamo circa 30 grammi, perché togliamo la parte non edibile. Quel tipo di spreco non lo consideriamo e lo chiamiamo scarto. Perché? Quando noi chiamiamo qualcosa in questo modo, in pratica la stiamo già pregiudicando… È possibile che la natura ci abbia messo tanto tempo per arrivare a quell’ortaggio e noi ne buttiamo l’80%? Quel che resta del carciofo ha diversi utilizzi. Lo usiamo come colorante, ma i suoi tannini sono molto interessanti anche come leganti. E poi ci sono le sottolavorazioni del formaggio, i liquidi residuali come il siero, il cui smaltimento crea grandsissimi problemi. Noi, le utilizziamo per creare leganti straordinari che ci aiutano a valorizzare terre, terre crude, argille, grassello di calce senza usare additivi chimici. Creando prodotti che non hanno nulla da invidiare a quelli convenzionali».
IL MECCANISMO – Le 72 aziende unite sotto il polo produttivo sono tutte in distretto di filiera. La Casa Verde CO2.0 non è solo un marchio, ma anche una comunità d’intenti con linee guida comuni. Ad esempio ha messo al bando l’uso di qualsiasi materiale di origine vegetale che non sia d’eccedenza, perché considera svantaggioso togliere spazio all’agricoltura, pertanto preferisce concentrarsi su quello che verrebbe buttato via. «Se tutti costruissimo case con tinte vegetali o ci vestissimo con fibre vegetali coltivate appositamente per questo ci vorrebbero quattro pianeti per farlo. Se invece recuperiamo le eccedenze, allora sì che possiamo ricoprire tutta la richiesta di materiale edile naturale, non solo italiano ma anche di altre nazioni. In Italia abbiamo un’agricoltura straordinariamente ricca e produciamo tantissimo spreco. Usiamolo».
W i sardi che fanno onore alla sardegna come daniela ducato