di Giovanni Runchina *
La condizione di emigrante le è familiare sin da piccola, quando i genitori si trasferirono dall’Ogliastra a Cagliari e poi a Quartu. Forse, anche per questo motivo, ha sviluppato una sensibilità straordinaria che le fa cogliere le sfumature più tenui e le ha regalato un grande rispetto per le diversità. «Sono nata a Villagrande, sotto i monti del Gennargentu, e ho origini fondamentalmente agropastorali. Nel mio paese ho trascorso le feste di Natale e le vacanze estive sino alla gioventù. In città eravamo immigrati, ci sentivamo “diversi”, pensavamo diversamente». Nina Lepori, 44 anni, laurea in Scienze Politiche a Cagliari, lavora ad Amburgo come consulente in un istituto americano specializzato in ricerche di mercato. Si è trasferita in Germania quindici anni fa e, pur essendo perfettamente integrata, ha conservato la memoria e la sensibilità di emigrata che è stata figlia di emigrati dal paese alla città. Come ricorda con straordinaria efficacia: « Per qualche tempo mia madre vestiva persino alla moda del paese, con gonna lunga e “muccadore”. Poi ha cambiato e in città si abbigliava come tutte le donne. L’abito tradizionale lo ha sempre rimesso solo in paese, dove i miei genitori erano di casa, più distesi e si trasformavano. Noi giovani invece eravamo di fuori, qualcuno lo puntualizzava – continua Nina- e questo alle volte mi faceva male». Nella sua seconda patria, Nina Lepori ci è arrivata un mese dopo il titolo accademico e la parentesi di un anno in Belgio, a Bruxelles, grazie all’Erasmus che le ha dato la possibilità di ampliare conoscenze e competenze. Oltre al desiderio di vedere l’isola ancora dal di fuori, galeotto fu il cuore: «Raggiunsi Julio, il ragazzo brasiliano col quale stavo prima di andare via un anno per l’Erasmus e che credevo di avere perso per sempre». Amburgo è diventata così la città in cui piantare e far attecchire professione e, soprattutto, famiglia. Nina divide la sua giornata tra il suo ruolo di consulente e quello di madre di tre figli: Jonas, Leo e Mara. L’impiego attuale in azienda l’ha trovato quando era già mamma, ma questa condizione, da noi spesso considerata un handicap, non ha influenzato la scelta della proprietà. «Erano interessati a me – sottolinea – perché conoscevo il tedesco e avevo un buon curriculum; ho potuto lavorare gestendomi gli orari e avendo retribuzione e di considerazione pari alle altre colleghe. L’ambiente era ed è molto sereno, nonostante abbia un carico di responsabilità notevole. La maggior parte dei colleghi è tedesca, molti sono più giovani di me e, in genere, hanno maturato esperienze lavorative invidiabili già a partire dai 20 anni». Insomma, un’altra galassia vista dall’Italia dove una donna su due non ha opportunità di realizzarsi professionalmente. «Il mondo del lavoro tedesco è fatto di certezze, regolarità, trasparenza dei rapporti, è un mondo fondamentalmente onesto. L’onestà è esattamente così contagiosa come la disonestà: non ti sogni neppure di fare il furbo dove tutti rispettano le regole, fanno il loro dovere, ti rispettano per quello che sei, ti parlano in modo diretto. Ecco- prosegue Nina – se devo scegliere un aggettivo per descrivere il comportamento dei tedeschi a lavoro, in società, nei rapporti in generale: sono corretti. La vita non è ovviamente facile ma qui funzionano i meccanismi di aiuto che scattano quando ti nasce un figlio, perdi il lavoro o hai difficoltà a pagare un mutuo e un affitto». Altro pregio evidente del welfare è il reinserimento nel mercato del lavoro. Le agenzie ti danno consulenza ed è difficile trovarsi senza nulla, nel baratro della solitudine. Le pecche ovviamente non mancano: «Per abbattere la disoccupazione si è spesso costretti ad accettare mansioni pagate poco sennò il sostegno statale viene ridotto, questo vale soprattutto per gli ultracinquantenni con bassa professionalità. Diversamente hai l’imbarazzo della scelta». Un sistema sociale complessivamente generoso che responsabilizza da subito i ragazzi e li aiuta a essere presto indipendenti ma che, al contempo, è estremamente selettivo; i deboli, spesso immigrati, annaspano. Racconta ancora Nina: «L’estrazione sociale ha un peso notevole e lo straniero che non possiede profonde conoscenze linguistiche o che non è inserito nel tessuto sociale ha poche possibilità di successo. Una condizione che, purtroppo, ho potuto riscontrare per molte famiglie italiane conosciute negli anni in cui ho lavorato nell’associazione che si occupava del sostegno ai bambini in età scolare e di organizzazione dei corsi di italiano». Esperienza che trova conforto nelle statistiche, sfortunatamente: «I giovani italiani- chiarisce Nina citando una relazione del 2011 del presidente del Comites di Monaco di Baviera – risultano fra quelli col più alto tasso di presenze nelle scuole di sostegno e di avviamento professionale, pochi vanno nei ginnasi. Quelli provenienti dalle famiglie binazionali non sembrano invece differenziarsi dai loro coetanei tedeschi». La profonda integrazione non cancella il legame nostalgico di Nina Lepori con l’isola. Rapporto che emerge come un fiume carsico, soprattutto quando incontra corregionali anziani: «La posa, i modi, l’accento tutto mi riconduce alla mia Sardegna. Una città come Amburgo dinamica, commerciale, tecnologica, estesa, non può comprendere quei gesti, quella lingua, la posa stanca di un uomo anziano lontano dalla sua terra». Terra dove lei torna ogni volta che ne ha la possibilità e per riabbracciare abitudini, sapori e ricordi: «La nostra è una regione bellissima, mai apprezzata a fondo dai sardi, con enormi potenzialità inespresse. Quando rientro in paese adoro stare seduta a chiacchierare davanti al camino, passeggiare per le vie o in montagna, scambiare qualche parola con gli anziani e rivedere gli amici. Scenderei sempre, se potessi, per la vendemmia o per la raccolta delle olive. Una cosa è certa – conclude – la mia vecchiaia la passerò in Sardegna».
* Sardinia Post
E’ veramente un Bel giornale.queste biografie dovrebbero motivare I ragazzi voldnterosi a compiere delle scelte importanti per la loro vita