di Carlo Figari
«Gaza per noi è stata come la prima guerra dell’Iraq per la Cnn. I nostri corrispondenti sono rimasti nella città durante gli attacchi e sono ancora lì mentre gli israeliani hanno tenuto fuori tutti i giornalisti occidentali. Al Jazeera è l’unica tv che ogni giorno continua a raccontare al mondo cosa succede oltre il muro della Striscia. Abbiamo tre reporter per i canali arabi, ma anche due che trasmettono sul canale di lingua inglese: così tutti possono vedere, sentire e capire l’altra verità, quella che i media occidentali non possono o non vogliono raccontare. Basta sintonizzarsi su Sky 522». Chi parla non è un giornalista arabo, ma un’italiana trapiantata a Londra: Barbara Serra, 34 anni, origini sarde, è l’anchor-woman più conosciuta di Al Jazeera in lingua inglese. Da tre anni conduce le news in diretta dalla capitale britannica, stella nascente del giornalismo mondiale, volto popolare tra il pubblico che segue il canale della tv del Qatar. Ormai nota anche in Italia con le sue corrispondenze Rai del sabato mattina per il programma di Minoli, spesso intervistata quando si parla di Medio Oriente, ospite di Ballarò e di Chiambretti che nota la sua somiglianza con la giornalista Bianca Berlinguer. «Me lo dice anche mio padre, del resto siamo entrambe sarde», sorride Barbara. Bella. Simpatica. Mediterranea. In carriera, sicuramente. A Cagliari per un giorno sul set fotografico: sarà testimonial nella prossima iniziativa editoriale de L’Unione Sarda dedicata ai costumi sardi. Per l’occasione indossa un sontuoso abito della festa di Iglesias, custodito dalla famiglia Priola Cordedda. «Quando mi hanno proposto di posare sono rimasta un po’ sorpresa, poi ho accettato con entusiasmo. Perché? Per curiosità», racconta durante una pausa del set: «Non mi immaginavo in costume tradizionale. L’abito di Iglesias è bellissimo. Mia nonna ne indossò uno prima della guerra. Oggi porto al dito l’anello di pietra nera e oro che mi regalò. Un suo ricordo. Il velo? Le donne sarde lo usano come le arabe, per le occasioni. Lo chador è un’altra cosa. Io non lo indosso, non avrebbe senso. E neppure le mie colleghe musulmane. Lo usano solo le giornaliste molto religiose». Carriera fulminante: da Videolina alla Bbc, da Sky di Murdoch ad Al Jazeera. «Nel 2006 stavano cercando giornalisti non arabi per il canale di lingua inglese. Mi contattarono e dissi sì perché credo sia un’esperienza davvero interessante. Perché proprio me? Forse perché la mia italianità mi avvicina in qualche modo al mondo arabo». Racconta divertita: «La prima volta che arrivo a Cagliari, al T-Hotel la ragazza della reception tutta eccitata mi saluta come la giornalista di Al Qaida. Oggi ho chiesto perché tra tanti canali satellitari non c’è Sky 522. La risposta? Perché cercano di seguire i gusti e le esigenze dei clienti. E di arabi non ce ne sono». Eppure si parla tanto di Italia e Sardegna come ponte tra due culture, tra l’Africa e l’Europa. «In Italia non c’è ancora una cultura multietnica, come in Gran Bretagna che ha avuto un impero e le colonie. Ci vorrà qualche generazione prima di una vera integrazione sociale. Gli italiani si sentono più vicini ai popoli mediterranei, ma poi guardano come esempio ai tedeschi, ai francesi, insomma al Nord. Pochi parlano arabo, per questo è importante la tv araba che parla inglese». Dopo vent’anni all’estero l’accento è molto british, anche quando parla l’italiano e si scusa per qualche errore che le sfugge passando da una lingua all’altra. Ma occhi e capelli neri sono mediterranei. Anzi, mediorientali. «È vero, spesso mi scambiano per libanese o egiziana. E non è un caso che in redazione abbiamo fondato il Club Med con i colleghi greci e dell’altra sponda del Mediterraneo. In più sono anche sarda». Il padre, dirigente dell’Eni in pensione, è di Decimomannu, la madre siciliana, lei è nata a Milano, ha studiato da bambina a Copenhagen, poi Parigi e Londra per l’università. Dopo la laurea subito il primo stage alla Bbc con una parentesi sarda a Videolina. «Ero in vacanza in Sardegna, come ogni anno, e mi sono proposta per un programma vacanziero in tarda serata. Serviva proprio un collaboratore che parlasse inglese per intervistare i turisti. È stata una bella esperienza. Ma la mia strada professionale era già segnata a Londra». Con l’isola mantiene fortissimi legami. Casa e ferie sempre a Carloforte dove lo scorso luglio si è anche sposata. Il marito Mark è un ex giornalista del Sunday Times passato alla professione legale. «Anche Mark, come tutti i nostri amici, ama Carloforte. Ci veniamo ogni volta che possiamo».
Come si sente l’inglese Barbara, dal cognome sardo, il passaporto italiano, il lavoro per una tv araba? «Dipende da dove sono. Fuori dall’Italia mi sento italiana, quando sono qui non posso dire di essere italiana. Sicuramente mi sento molto sarda, forse perché i sardi hanno molte affinità con gli arabi».
E quando è davanti alla Tv? Ci pensa un attimo. «Cambio giorno per giorno, dipende dalle situazioni, dalle notizie. Ora fredda e inglese, ora passionale e italiana».
Il suo destinato è comunque legato al mare. «È vero. Al Jazeera vuol dire penisola o isola, le mie radici sono isolane, trascorro le vacanze a Carloforte, vivo in Gran Bretagna che è un’isola. Curioso, no?».
Tutti i giorni tra le 20 e le 22,30 (ora di Greenwich) appare in prime-time da Londra. Al Jazeera canale inglese trasmette 24 ore no stop. Come funziona questa tv? «Comincia Londra, poi noi andiamo a dormire e le news continuano in diretta da Washington. Poi la conduzione passa a Kuala Lampur, in Malesya, e infine da Doha, nel Qatar, dove c’è la redazione principale. Sempre di giorno, sempre in diretta, con interviste e aggiornamenti dell’ultimo minuto. Una parte del mondo va a letto, ma al Jazeera continua le sue news. È l’unica emittente araba a trasmettere in inglese. Così tutti possono capire cosa dice l’altra parte del mondo. La nostra concorrente, Al Arabja, invece trasmette solo in arabo».
Secondo le stime, avete un miliardo di gli ascoltatori. «Come si può dire? In Occidente siamo in grado di conoscere l’audience di ciascun programma, per ogni minuto. Come si fa a sapere quante persone ci stanno seguendo in un’abitazione di Gaza? Una o cento? Impossibile».
Al Jazeera la Tv di bin Laden. Così è diventata famosa. Siete la voce del terrorismo? «Cavolate. Assurdi luoghi comuni. Noi abbiamo ricevuto il famoso video e l’abbiamo trasmesso. Ma tutte le altre tv del mondo l’hanno poi mandato in onda. Voi l’avete visto sulla Rai, per esempio. La Bbc trasmetteva sempre i comunicati dell’Ira e la Rai quelli dei brigatisti».
Ma l’inviato di punta di Al Jazeera è stato arrestato in Spagna e condannato a sette anni per connivenze con i terroristi dopo gli attacchi-bomba a Madrid. «Quando si lavora in questo campo è facile avere contatti con i terroristi».
Siete una televisione libera? «Assolutamente sì. Prima di Al Jazeera, sino a dieci anni fa, le tv arabe erano solo propaganda perché legate ai governi e al potere. Oggi siamo la voce e le immagini del mondo arabo che, attraverso la lingua inglese, può comunicare e mostrarsi. Diciamo quello che le tv occidentali non fanno vedere. La gente non è stupida, vuole informarsi, vuole capire. Per questo ci guarda, per questo siamo credibili».
Hamas? «Noi diamo voce ai palestinesi, non ad Hamas. Io stessa di recente ho intervistato un leader di Hamas e alle mie domande ha risposta urlando che eravamo stupidi come gli occidentali».
Che futuro per Gaza? Barbara Serra cita un proverbio arabo: «Se tu vuoi avere ragione devi essere pessimista. Credo che gli europei possano ben poco nel processo di pace, l’unica speranza è Obama. Un suo importante intervento. È giusto che gli Usa siano dalla parte di Israele perché storicamente hanno sempre avuto stretti legami con gli ebrei, ma oggi è necessario che gli americani non siano più incondizionatamente pro Israele e contro gli arabi. È questo il vero nodo che fa infuriare il mondo arabo. A Gaza e nei territori siamo di fronte a una vera occupazione. Vivono come in una grande prigione, senza potersi muovere, senza lavoro, senza cibo. Ci sono grandi aspettative per Obama, perché lui rompa questo modo di vedere e quindi si riesca a trovare una soluzione».
Che pensa del giornalismo italiano? «Difficile fare questo lavoro in Italia dove tutto è politicizzato. Persino i telegiornali. Per chi vive a Londra non sono comprensibili tanti sprechi economici. Lo stesso evento viene seguito da venti giornalisti e tecnici della Rai per ogni Tg e per la radio, quando per la Bbc sono al massimo due o tre. E poi per capire bene una notizia bisogna ascoltare quattro Tg».
Largo alle donne in Tv. Lei è un esempio: «Il mio idolo era Christiane Amampour della Cnn. Vedendola in diretta da Baghdad ho capito che volevo fare la giornalista. E così ho cominciato. Anche in Italia ci sono giornaliste bravissime. Più spazi in Tv per le donne? Forse perché attirano più l’attenzione, ma forse perché sono brave. Invece mi dite quante donne diventano direttori di giornali e Tv? C’era riuscita Lucia Annunziata, ma non è durata a lungo».
Come vede il futuro della media «Fra quindici anni chi comprerà più i quotidiani? Le nuove generazioni, i ventenni di oggi, s’informano sul web. Anche Al Jazeera si sta attrezzando con un sito sempre più importante. L’informazione, come dimostra il successo di Al Jazeera, sta cambiando rapidamente».