La Sardegna non era mai stata così a lungo sulle prime pagine. Solo per i casi più gravi di banditismo l’opinione pubblica aveva sollecitato lo Stato ad interessarsi della sua repressione in quest’isola lontana. In questi giorni il Sulcis dell’alluminio e del carbone è diventato nei media italiani al contempo il simbolo della disperazione popolare dell’Italia dello spread e della spending review , ma pure il segno dell’assenza di una politica industriale associata allo spreco di risorse in imprese senza futuro.
Mentre ai minatori sono stati concessi i tempi supplementari della fattibilità e redditività del progetto regionale (ma pure, probabilmente, della disponibilità per gli operai dei candelotti di dinamite….), la situazione dell’Alcoa vive una sicura drammaticità mischiata sempre meno a barlumi di speranza. Come i minatori, i metalmeccanici si muovono tra rumorose azioni di protesta, ai limiti della legalità (di cui, purtroppo, i tempi della giustizia chiederanno probabilmente conto), e manifestazioni autolesionistiche che gridano l’ingiustizia e la disperazione della fine del lavoro.
In questo quadro arriva la manifestazione di lunedì 10 settembre, che vedrà sfilare a Roma gli operai, i pastori, i commercianti e gli operai del Sulcis, accompagnati dai sindaci e dalle famiglie. Non si sa se sfileranno gli esponenti della Giunta regionale e del Consiglio, né se la dirigenza sindacale regionale guiderà questo minuscolo (per Roma) ma fondamentale corteo lungo le strade di una città che inizia il suo autunno post-feriale. L’aspetto che vorrei rilevare del quadro di Pellizza da Volpedo sono i due ‘delegati’ contadini che guidano la massa popolare che viene verso la luce, affiancata dalla donna con il bambino (a fungere da luogo di motivazione, di sentimento e di speranza di un popolo che si affaccia al luminoso protagonismo della storia).
Nella pittura non ci sono i dirigenti, né gli intellettuali, né quella piccola borghesia che riempirà proprio allora i nascenti partiti di massa. Eravamo ancora nell’800, fondamentale allora era la questione agraria, quella che lo Stato e il padronato nel corso di un secolo risolveranno distruggendo le figure sociali dei braccianti e dei mezzadri. Analogamente, la questione operaia in Occidente e in Italia pare risolversi oggi con la riduzione numerica e ‘politica’ della classe operaia attraverso il decentramento produttivo e la tecnologia. Anche di questi grandi processi partecipa la fase finale della cancellazione della classe operaia dal tessuto sociale della Sardegna.
La manifestazione di lunedì rappresenterà l’atto culminante ma finale della presenza come protagonista della classe operaia in Sardigna? La riposta contiene molte variabili. Non vi è dubbio che l’originale riunificazione operata dai sindacati metalmeccanici con le altre categorie combattive (pastori, commercianti, artigiani, disoccupati) rappresenta il dato importante e qualificante della manifestazione. Significherà che, un domani, saranno i sindacati operai ad appoggiare i pastori e gli artigiani ‘liberi’ nelle loro vertenze. Né il Sulcis, come tutta l’Isola, può cambiare il registro della propria economia senza quel diretto protagonismo economico che solo i lavoratori autonomi dovrebbero essere in grado di mettere in opera.
Ma è molto difficile che lunedì i manifestanti ricevano risposte credibili. Otterranno promesse, forse primi impegni, di risorse finanziarie per un diverso e nuovo sviluppo di cui non si sa chi ne sarà l’attore. Che l’Alcoa passi alla Glencore, rafforzando nel proprio territorio quella società che funziona da passaggio della discarica dei fumi europei delle acciaierie, dà la misura della contraddittorietà della situazione. Che poi quel viaggio a Roma venga finanziato in parte da quella Tirrenia privatizzata, che è destinata ad essere tra le nostri peggiori sanguisughe, dimostra come tutta questa battaglia viaggi nella strettoia tra il neo-colonialismo di Tirrenia e della Portovesme srl e il trentennale abbandono irresponsabile da parte dello Stato italiano.
Tutto questo avviene con la Regione che resta in terza fila rispetto alla situazione, messa lì ad abbaiare alla luna gli ultimi guaiti della nostra inutile autonomia. L’aspetto incredibile – commovente ed esaltante insieme – che si coglie in questa gente che ritorna nella capitale d’Italia a gridare il diritto di cittadinanza che sta perdendo con il lavoro, è la costanza nella lotta pur nella smentita dei risultati, quella fiducia nella nostra solidarietà come che i sardi siano un popolo dai comuni interessi, l’incitamento a muoverci tutti. Verso dove? Quale luce ci attende?
La madre con il bambino… Forse non è solo retorica, ma è l’immagine della nostra terra: la Sardegna.