di Francesco Furcas – Il Portico
Dal 1999 docente presso la Northwestern University di Chicago, Illinois, Stati Uniti, ora un incarico di professore associato d’italiano al College di Middlebury, nel Vermont, al confine col Canada, e un dottorato di ricerca in Letterature Comparate a Cagliari. Stefano Mula, originario di Siniscola, è un sardo che ha varcato l’Oceano per lavorare e far conoscere la cultura italiana, insegnando una grande varietà di corsi, tra cui “Divina Commedia” e letteratura italiana medievale e moderna: con un bagaglio d’esperienza tale, il confronto tra le realtà culturali italiana e americana è d’obbligo.
Quale il percorso per arrivare a un incarico come il tuo? I percorsi sono sempre individuali, dipendono da tante cose e anche dalla fortuna o dal caso. In generale, però, direi che per arrivare a insegnare negli Stati Uniti la cosa più importante è pianificare. Pensare per esempio a fare un corso di studi qui per capire bene come funziona il sistema, o i sistemi, americani – ci sono tanti tipi diversi di università, University e College, private e pubbliche – e per migliorare la propria lingua. Poi bisogna lavorare, tanto.
Conoscendo la situazione italiana e vivendo quella americana, che valutazione si può dare dei due sistemi didattici? I due sistemi hanno entrambi vantaggi e svantaggi, e dipendono tantissimo dal contesto. Spesso si parla di “ispirarsi al sistema americano”, ma non si può esportare il complesso sistema accademico senza cambiare tutto il resto. Non è solo un’utopia ma – mi si passi il termine – un’idiozia. La differenza fondamentale, per quanto mi sembra di vedere, è che negli Stati Uniti s’investe sulla ricerca, molto, mentre in Italia non ci sono fondi. L’altra differenza, ma anche qui bisognerebbe fare molti distinguo, è che negli USA c’è molta più attenzione al dialogo docente/studente.
Negli Stati Uniti la meritocrazia è realmente applicata? L’Italia ci arriverà mai? Sì e no, la meritocrazia c’è certamente di più che in Italia. Chi lavora è premiato, ma questo non vuol dire che non ci siano anche qua dei percorsi agevolati. In Italia non so, al momento non sono per niente ottimista, ma spero che ci sia un miglioramento. Più a fondo di così non si può andare, a meno che non si cominci a spalare. Il che, purtroppo, è comunque una possibilità.
Che considerazione c’è all’estero della cultura del nostro Paese? Difficile da dire. C’è una grande differenza tra la grande considerazione della cultura del passato, e l’incredulità per quello che è successo in Italia negli ultimi anni. Il danno fatto all’immagine dell’Italia dalle azioni e dai comportamenti di Silvio Berlusconi è enorme. Nonostante questo, c’è sempre un forte interesse per l’Italia, in gran parte grazie al suo passato.
Nel tuo futuro c’è il proseguimento del lavoro oltreoceano o ti piacerebbe tornare nella tua terra? Di sicuro nel breve termine il mio futuro è qui: riuscire a costruire qualcosa ed essere apprezzati e compensati per il proprio lavoro è enormemente gratificante. Il pensiero di un ritorno in Italia però è sempre presente, e non mi dispiacerebbe affatto poter tornare e lavorare in Sardegna. Sarebbe una situazione completamente diversa, e so di molti che sono tornati e se ne sono pentiti, quindi di sicuro se ci fosse l’opportunità la valuterei con molto interesse, ma con altrettanta cautela.
Cosa si porta dietro un sardo che va a vivere negli Stati Uniti? Mirto e bottarga? A parte gli scherzi, io mi porto dietro e ho sempre con me il calore e gli affetti della famiglia e degli amici, anche se lontani per me sono sempre presenti. Mi trovo benissimo qui in Vermont, ma parte di me è sempre a Cagliari.