di Marcello Cabriolu
L’alfabeto utilizzato da uno dei popoli del mare mostra forme profondamente comuni alle altre componenti e apre le porte per l’individuazione e la comprensione della scrittura sarda.
Nelle lunghe ricognizioni per l’Isola di Sant’Antioco alla scoperta di aree archeologiche, mi capitò di rinvenire dei simboli particolari che qualche studioso in tempi precedenti qualificò come triangolo apicato o anche daleth. In particolare il prof. Barreca definì il segno, sistemato sulla roccia sacra del tophet di Sulci, come la variante sarda del più famoso simbolo religioso cartaginese: quello della Dea Tanit. La fortuna volle che, del simbolo sopra citato, riuscissi a scoprirne altri otto sparsi per l’Isola, incisi sopra cime particolari o su macigni costituenti i paramenti murari di alcuni nuraghi. La mia abitudine di fotografare e documentare tutto mi permise di memorizzare la collocazione dei segni e tenerli costantemente sotto controllo. Lo studio e l’abitudine di visitare con la mia famiglia le aree archeologiche sarde mi permisero di rivedere, riprodotti nella ceramica oppure scolpiti nella roccia, dei simboli molto simili. Il venire incontro spesso a macigni, presenti in aree archeologiche inquadrabili nell’epoca nuragica, riproducenti svariate forme grafiche rese dalla mano dell’uomo, mi stimolò insistentemente ad elaborare che l’uomo costruttore di nuraghi sapesse scrivere. Presi in mano il mio bel manuale di iscrizioni e cercai dei riscontri ai simboli rinvenuti sinora. Il manuale in questione relativo all’epigrafia fenicia e punica non soddisfò minimamente l’accostamento ai segni presi a campione, anzi non fece altro che alimentare un’idea di incomprensione verso un alfabeto, quale quello qualificato come fenicio, che variava notevolmente da località a località, sotto il punto di vista grafico. E’ doveroso sottolineare che il complesso di segni in questione varia, come è naturale che sia, da Oriente a Occidente nel Mediterraneo, ma varia graficamente anche all’interno della stessa Sardegna. Tale osservazione mi portò a considerare che, a differenza di quelli che vedono l’alfabeto e la scrittura come provenienti da Oriente, questi abbiano avuto origine da noi venendo elaborati contemporaneamente e indipendentemente da Surcitani, Norensi, Bithiensi e Tharrensi. A sostenere questa mia ipotesi giunse l’elaborazione proposta dal prof. Gigi Sanna relativa al frammento ceramico proveniente da Nora e considerato dell’ XI sec. a.C. quindi molto più antico delle testimonianze scritte del Levante. Il manuale delle iscrizioni mi suggerì delle forme grafiche definite proto sinaitiche o anche proto cananaiche databili attorno al XVI sec. a.C., ma se diverse forme grafiche poterono anche coincidere, la rappresentazione del Daleth (D) non soddisfò le aspettative. In quel momento, ebbi la sorpresa di imbattermi nei risultati del Western Sahara Project, una ricerca interdisciplinare relativa ai processi culturali e archeologici del Western Africa. Secondo Erodoto gli abitanti di questa regione furono i Maxyes o anche Meshwesh, progenitori degli attuali Imaziyen meglio conosciuti con il generico Tuareg. Seppi che questa popolazione usa dividere se stessa in due gruppi fondamentali quali Mauri e Kabili, il che fece accendere in me una sorta di allarme visto che il campanilismo sardo ci ha portato finora a riconoscerci goliardicamente in Maurri e Gabilli. Lasciando da parte le frivolezze, quello che mi colpì maggiormente fu il complesso alfabetico caratterizzante il tifinagh – scrittura alfabetica limitata ad usi molti ristretti quali il funerario, il simbolico e il ludico. Tramite l’analisi di questa simbologia risultarono, con precisi significati, tutti quei simboli ritrovati sui macigni e sulla ceramica osservata in giro per la Sardegna, sinora senza senso. Ma la soddisfazione maggiore venne quando potei rinvenire il tanto sospirato triangolo apicato, meglio definito come “yag”, a cui il linguaggio tifinagh assegna il significato di “forza della natura”. Cominciai a sottoporre alla composizione tifinagh alcuni pezzi, tra i quali un vaso proveniente dalla struttura di Su Mulinu di Villanovafranca, per il quale il simbolismo riprodotto indica il sole, la perpetua rinascita, la forza virile e la fecondazione. La pancia del vaso mostra tante caselle, ognuna delle quali è scomponibile in tante lettere inquadrabili con precisione nell’insieme tifinagh, il cui significato generale tuttavia ancora mi sfugge non avendo a disposizione un dizionario completo. Tra gli insiemi grafici analizzati, da cui è possibile ottenere precisi significati, pongo persino la rappresentazione del “candelabro paleosardo” in bronzo, il quale mostra una particolare decorazione: se letta sotto forma di frase, essa potrebbe essere qualificata come inno di lode che, azzardando un’elaborazione, parrebbe recitare così: “Oh Dea Nutrice, bellezza e occhio di verità … acqua che genera il cielo e il creato”. La disamina tocca anche rappresentazioni grafiche quali quella rilevata su un vaso proveniente dall’acropoli di Lipari (Lip. 26), dove il tifinagh, ad una coppia di segni cruciformi separati da un tratto verticale, traduce “tnt” ovvero “dire” “spiegare”. L’alfabeto proposto risulta utile persino nella decifrazione del frammento epigrafico proveniente da Nora e riconducibile all’ XI sec. a.C.. Un’ultima disamina vorrei dedicarla a quello che è il sigillo proveniente da Sant’Imbenia – Alghero, già elaborato da altri studiosi. L’oggetto, che probabilmente riassume un titolo o il rango di un personaggio, evidenzia in sequenza da sinistra verso destra: “iem”, legatura di “tegherit ieg”, legatura di “ien ieg”, legatura di “ien iet”, “tegherit”, “ieru”, “ied”. La sequenza di interpretazione mostra: “…Io sono il potente, creato dalla Grande Fecondatrice, il potente creato dalla Dea Nutrice, femmina dell’umanità”. Si potrebbero passare ore e ore a filosofare su questa o quell’altra interpretazione ma ciò che mi ha spinto a realizzare l’articolo è il fatto di aver verificato che in diverse forme di Lineare B, usate dai Phelesets-Cretesi, esistono tantissimi simboli corrispondenti a quelli utilizzati nel tifinagh di origine Meshwesh. Altra constatazione che si può fare riguarda altri insiemi di simboli – alfabeto riscontrati in Canaan (questo studiato dal prof. Gigi Sanna), nella penisola iberica e nelle penisola italiana, i quali seppur discostandosi di lievissime differenze, mostrano indiscutibili similitudini con il tifinagh. Nel complesso di queste citazioni è doveroso segnalare persino le forme grafiche rinvenute nelle Eolie, riconducibili alla Sicilia del Bronzo Medio, per trovare profonde similitudini con l’alfabeto tifinagh e avere un quadro d’unione preciso. Tengo a sottolineare che non intendo riscattare nessuna precedenza in favore del tifinagh ma che intendo far notare come tutti questi alfabeti, coincidenti nelle forme grafiche, caratterizzino la cultura materiale dei territori interessati. Osservati dal punto di vista antropico questi territori presentano una comune particolarità: sono stati popolati dalla “Lega dei Popoli del Mare”. Come ho ricostruito con l’opera “Il Popolo Shardana- La Cultura, la civiltà, le conquiste”, e sto elaborando in un nuovo testo, la Lega micenea agiva incisivamente sia sui propri componenti che sui territori toccati, portando tecnologia e cultura e traendo benefici a tal punto da poter affermare che i popoli interessati fossero legati da una vera e propria koiné. Osservando i caratteri appena citati e tenendo presente le regioni di provenienza e i popoli che li hanno utilizzati possiamo constatare che queste forme grafiche molto simili se non identiche furono il comune denominatore, l’alfabeto delle etnie facenti parte della “Lega dei Popoli del Mare”. Anche la recente elaborazione fatta dal prof. Giovanni Ugas e la sorprendente somiglianza tra le forme grafiche sarde e quelle precoci alfabetiche della Beozia e dell’Eubea, al pari di quelle etrusche, tocca regioni geografiche sviluppatesi
sotto il governo dei Popoli del Mare (Orcomeno e Tebe furono fondate dagli Achei e fecero parte delle città micenee). Gustave Glotz elabora che nel Mediterraneo del XV sec. a.C. regioni di Civiltà più o meno diverse si fondano in una civiltà comune dalla lingua pelasgica. Questa disamina, naturalmente, vista in modo macroscopico, va a toccare sia la forma amministrativa sia la cultura materiale sia la forma edilizia dei popoli suddetti, tutti naturalmente legati tra loro anche da una forma comune di culto, come quello relativo alla Dea Madre Mediterranea. Qualcuno avanzerà la supposizione che si tratti di alfabeti costituiti da suoni differenti ma nonostante tutto mi sento di dire che la simbologia dei segni rimane sempre la stessa. Come per esempio accade oggi che la figura del crocifisso tenga lo stesso simbolismo, indipendentemente dalla regione di adorazione, nonostante le lingue diverse abbiano ognuna il proprio modo di chiamarlo. Ribadendo che la mia analisi attenta non mira a volgersi ad un primato alfabetico, auspico una cooperazione con gli esperti degli altri caratteri al fine di formulare, seguendo appunto il principio del simbolismo del tifinagh, l’interpretazione degli altri alfabeti affini e la riscoperta degli arcaici testi di tanti manufatti tra cui quelli scritti dai sardi.
Interessante questo articolo sulla scrittura degli antichi SARDI. mA La vera storia sulla scoperta della scrittura in Sardegna risale agli anni settanta, con l’individuazione dell’anello- sigillo diPallosu e dei sigilli cerimoniali di Ztricotu, con scrittura di origine cannanea con variante sarda che svela nome cognome e apellativo dei guerrieri giganti di MontiPrama. Ad oggi i repert scitti sono oltre cento, esposti in una mostra tematica (foto- pannelli delle scritture originali, presso la casa museo del poeta di Macmer) per ultimo la pietra scritta rinvenuta a Terralba nel riffacimento di una vecchia casa del centro storico rifferita alla divinità dei nuragici. Ivittatemi ad una conferenza Tottus Impari e vi mosrerò come scrivevano i nostri grandi antenati e anche voi capirete i SEGNI con i quali potrete scrivere i vostri NOMINIS e SANGUANUS.
SALUDI a TOTTUS Giorgio Cannas
Grande Marcello! Rimaniamo in trepidante attesa dei proficui sviluppi di questa sagace indagine.
Gentile Sig. Cannas
Di primo acchitto, per essere io una persona che ha l’abitudine di leggere e documentarsi, mi pare che lei stia procacciando una conferenza con il materiale studiato dal Sig. Gigi Sanna. Me ne rendo conto sempre più scorrendo la lista degli esempi che cita…mi permetta…mi pare assai scorretto usare il lavoro di altri per promuovere se stessi. Io non conosco personalmente il Sanna ma le ripeto che il materiale che lei cita è pubblicato in alcuni testi. Se dovessi sbagliarmi, naturalmente a seguito di valide dimostrazioni che lei conosce ciò di cui parla in quanto elaboratore, sono disposto a chiederle scusa pubblicamente, altrimenti le chiedo gentilmente di non carpire la buona fede dei lettori e tanto meno arrogarsi la veridicità sulla scoperta della scrittura: lei come me e tutti gli altri non ha nessuna verità in tasca. Nessuno di noi è mai vissuto in tale epoca ed è in grado di mettere tappi in bocca a nessuno. Se poi si dovesse evincere che dietro il nick di giorgio cannas ci fosse Gigi Sanna…mi permetta di restare basito e chiedere…ha bisogno di questi sotterfugi per promuovere il suo lavoro o crede che io sia come tutti gli arraffoni che le fanno da “corolla”. Sig. Sanna ritengo valide le sue elaborazioni e tramite altri spero le sia arrivata (ormai remota) proposta di pubblicare per una casa editrice…che vuol fare??? giocare al perseguitato?