di Omar Onnis
Quando qualche settimana fa si muovevano obiezioni sui referendum “anti-casta” proposti e promossi dalla “casta” medesima, molti cittadini, non sempre in mala fede, si sono risentiti. Sembrava che smascherare l’operazione nella sua sostanza truffaldina compromettesse il libero esercizio del diritto di voto e la partecipazione democratica.
Sarebbe facile rinfacciare ora sia ai furbi sia ai fessi (perché pare che l’intera nostra collettività sia composta di queste due sole categorie) le conseguenze pratiche di quel voto. Ma sarebbe un esercizio sterile, dato che comunque il quorum era stato raggiunto e la maggioranza dei votanti aveva espresso legittimamente la propria volontà.
Quel che si deve invece sottolineare adesso è che moltissimi degli entusiasti dei referendum-farsa oggi sbraitano contro il consiglio regionale che, con un blitz notturno, ha ripristinato senza tante discussioni gli emolumenti ai consiglieri regionali.
Pare che la pietra dello scandalo sia il fatto stesso del ripristino degli emolumenti. L’impeto di ostilità verso la politica istituzionale e i partiti evidentemente non è stato sedato dai referendum (come probabilmente molti dei promotori speravano), anzi è sempre vigile e parecchio suscettibile.
Ma qui si mostra in tutta la sua portata uno dei guasti prodotti dall’impreparazione civica generalizzata, dalla scarsa confidenza con il ragionamento sereno e non condizionato, dalle manipolazioni dei mass media. E come al solito il tutto si trasforma a sua volta nell’ennesima manipolazione.
I giornali e le televisioni ci vanno a nozze, con queste faccende. Il modo in cui si presenta il fatto (il doveroso ripristino di una diaria per i consiglieri regionali) è già di suo tendenzioso, atto ad alimentare risentimenti. Eppure non c’è niente di scandaloso o di disonesto nel colmare un vuoto normativo, questo sì grave e pure grottesco. Perché garantire a chi svolge ruoli politici un compenso congruo per il tempo dedicato alla cosa pubblica è solo una banale regola di democrazia effettiva e di uguaglianza sostanziale, che nessuno dovrebbe sognarsi di discutere. Se non ci fossero gli emolumenti per i ruoli di rappresentanza democratica, essi potrebbero essere coperti solo da chi gode di situazioni economiche vantaggiose, da chi non rischia di perdere il lavoro o il proprio reddito nel momento in cui deve dedicare il suo tempo alla politica.
Caso mai la protesta dovrebbe essere indirizzata all’entità degli emolumenti, decisamente ancora troppo alti. Ma non agli emolumenti in sé. Un po’ come quando si auspica una riduzione sic et simpliciter del numero dei consiglieri regionali. Anche lì le semplificazioni possono risultare estremamente dannose, se applicate schematicamente. Bisogna tenere conto di altri elementi: della normativa elettorale, della estensione dei collegi, delle caratteristiche demografiche del territorio, ecc. ecc. Insomma, ridurre una questione tecnica complessa a slogan populistici non contribuisce certo a migliorare la qualità della nostra malandata democrazia. Anzi, di solito sfocia in soluzioni che consolidano i centri di potere costituiti.
Un altro aspetto della faccenda è il suo facile impiego come specchietto per le allodole o come arma di distrazione di massa. Si dà in pasto al’opinione pubblica, già di suo sovreccitata, una bella notizia succulenta, di quelle di cui discutere al bar o tra colleghi al lavoro, e d’improvviso tutto il resto passa in secondo piano.
Ma il marciume e la corruzione in Sardegna stanno raggiungendo il limite di saturazione. Le ultime elezioni amministrative hanno dato dei segnali significativi sulla rottura dello schema rigido fin qui dominante nella sfera politica sarda. Chiaramente i mass media si sono guardati bene dal fare una analisi obiettiva dei risultati, intenti come sono a costruire narrazioni sempre funzionali all’assetto di potere attuale. Non è detto però che riescano a manipolare le notizie e le coscienze ancora a lungo. Non basta più dedicare ponderose riflessioni al tormentato addio alla Sardegna di un grande benefattore come Flavio Briatore.
Resta tutta intera l’urgenza di costruire alternative credibili, di rompere il meccanismo diabolico dell’egemonia imperante, approfittando dei casi in cui esso si manifesta in termini così evidenti, e di tenere insieme tutte le parti sane della nostra società. È necessario costruire una coscienza collettiva che sovrasti le coscienze settoriali, corporative e egoistiche fin qui maggioritarie. Solo i popoli che dispongono di una consapevolezza di sé come soggetto collettivo sono in grado di reggere agli urti della storia. Per noi, per la Sardegna, questo obiettivo è assolutamente urgente e vitale. Che ai vari padroni e podatari questo piaccia o non piaccia.