Trovo in giro molta piattezza. E un narcisismo esasperato e urticante, al limite della sopportabilità fisica. Troppi libri. Troppi a scrivere. Troppo inseguimento del successo. Come se il dominio sulla tastiera del computer fosse il fine ultimo, la rivelazione di una capacità, di un’arte, un mestiere. Troppa arroganza parolaia pretende di farsi scrittura. D’altronde questo è il modello imposto. Più abbai e falsifichi più ottieni e vendi. Più rubi spacciando per originale più ti acclamano. Per una o due storie che reggono (davvero interessante l’autobiografico Tre ore di Bachisio Floris, il tempo dilatato dell’attesa di una tac) cresce la massa di ripetizioni lacere e macabre. Dal fai da te dei promuoventi sé su facebook ai lanci promozionali delle grandi case editrici. Sembra non finire mai la moda noir -altro che crescita dell’invenzione letteraria – dal finnico al sardo. Sintomatico che le fiere librarie, da Macomer a Torino, pullulino di non-scrittori e non-scrittrici che per una comparsata, per una mezz’ora di falso successo, vendono l’anima al diavolo e ai suoi derivati. Non c’è comunicazione libraria. Non esiste vera comunicazione letteraria. Non c’è comunicazione. Ho visto aule e sale deserte alla presentazione di cose interessanti da un punto di vista storico, letterario, antropologico, poetico, filmico. Folle invece per autentiche cazzate. Qui gli interventi al dibattito rivelano il deteriore dell’autocompiacimento, dell’autostima, della non crescita come persona, dell’incapacità al dialogo. Tutto questo mentre la crisi rende sempre meno frequenti le occasioni e i giorni degli operatori culturali si fanno bui. Prospettano un orizzonte di chiusure. Sintomatico che cresca la zizzania al tempo della semina, nella terra rimasta buona e più spesso tra le pietre, sempre più spesso tra forre e dirupi, in terra lavica. Si è venuto formando – questo rivela la crisi senza fine, il vero noir – un gusto alla lettura che invece del complesso promuove l’ovvio e lo scontato. Aborre lo scandaglio e incrementa il banale. Tutto questo mentre le biblioteche muoiono e vengono lasciate morire. C’è questa grossa contraddizione in termini: gli affossatori del libro, della sua civiltà, pubblicano libri a ogni piè sospinto, uno – due all’anno. Pontificano e rigurgitano. Si ergono e sono visti da una massa di non-lettori come difensori della civiltà del libro. A dire di quanto puote il diabolos, colui che divide e devasta, i non-lettori è gente che legge molto. Senza che da questa lettura traggano vantaggio le politiche delle biblioteche pubbliche, che sono, o dovrebbero essere, il luogo deputato per la diffusione della lettura. Segno allora che i libri “letti molto” non lasciano segno, che il loro consumo, che tanto rende ai non-scrittori, reddito alle anime morte, è un fatto effimero. Non dura nel tempo. Eppure le biblioteche pubbliche sono i luoghi deputati per la conservazione dei libri, nel tempo. Quelli di tante passate mode e quelli veri, di lunga durata. Per questo sono indispensabili, perché mettono insieme le anime altrimenti separate dei lettori di libri che valgono e di libri inutili però al top delle classifiche. Mica la svelano, questa organizzazione del consumo immediato e della conservazione dei documenti, gli scrittori e le scrittrici alla moda. Loro servono la politica del successo solo di sé – sta qui la vera ignominia – sono alleati occasionali (sempre opportunisti, sempre pronti a tradire) a volte meno occasionali del principe o principino o governatore o governante di turno: coloro che condannano alla riduzione, ai tagli, alla perdita del posto del lavoro, alla solitudine, anche i lavoratori, gli operai e le operaie del mondo dei libri, delle biblioteche.
DOVE SONO GLI SCRITTORI? VENDERE L'ANIMA PER UNA COMPARSATA ALLE FIERE DEL LIBRO CHE CONTANO
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Ciao Natalino, ti stimo per il modo in cui esprimi sempre il tuo pensiero, chiaro ed efficace!