di Nanni Boi
Venti campionati in prima fila e mai un giorno di noia. Massimo Cellino è stato per i cronisti una continua fonte di notizie, sin da quel 10 giugno del 1992, quando neanche trentaseienne convocò la prima conferenza stampa nella sede della Sem in viale La Playa – oggi sede del Cagliari calcio – per dire che aveva acquistato la società dai fratelli Orrù. Nessuno avrebbe immaginato che quel ragazzo con il sorriso beffardo e di chi un po’ se la tira, avrebbe stabilito il primato di longevità tra i presidenti della società più amata in Sardegna, tenendola 15 anni su venti in serie A, nonché tra le società più sane dal punto di vista economico.
L’avvio col botto. Grazie al miglior Mazzone mai visto in carriera, Cellino debutta con un sesto posto e la qualificazione in Coppa Uefa, traguardo raggiunto l’ultima volta ben 21 anni prima. Sarà il miglior piazzamento in 19 campionati, ulteriormente valorizzato l’anno seguente dalla conquista della semifinale Uefa. Il Cagliari ci arriva con Bruno Giorgi eliminando rumeni, turchi, belgi e persino la Juventus. Poi il crollo con l’Inter (3-0) dopo il beneaugurante 3-2 dell’andata.
Come ti distruggo un mito. Dopo la bella stagione di Tabarez che per poco non riporta la squadra in Europa, a Cagliari arriva Trapattoni, sì proprio il Trap di Cusano Milanino che con la Juve ha vinto tutto e con l’Inter ha conquistato lo scudetto dei record. Ma la squadra non è granchè e quando perde sono sempre legnate: 4-0, 4-1… E alla fine Giuan saluta e se ne va rinunciando ai soldi. Torna Giorgi e si chiude con un onorevole decimo posto.
Le due retrocessioni. Arriva poi la prima retrocessione con un’accozzaglia di stranieri senza capacità (Pascolo, Tinkler, Romero, lo stesso tecnico Perez) e l’inutile rivoluzione al mercato di riparazione. Tra il primo e il secondo capitombolo la fortunata parentesi con Ventura che prima ottiene l’immediato ritorno in A e poi salva la squadra che nel frattempo si è arricchita del talento di O’Neill e ha visto la piena maturazione di Muzzi. Ma Tabarez e Ulivieri fanno sconquassi e nel campionato 1999-00 il Cagliari tocca il fondo con appena 3 vittorie in 34 partite.
Il lungo purgatorio e la risalita con Zola. Stavolta i rossoblù restano in B quattro anni, un’eternità per Cellino che trova l’atout vincente ingaggiando Gianfranco Zola direttamente dal Chelsea. Magic Box resta due campionati, fa impazzire i tifosi e manda in nazionale Langella ed Esposito, due mezze figure che lanciate dal magico piedino dell’olianese prendono le sembianze di Garrincha e Jairzinho.
L’alleanza con Berlusconi e i ko col Milan. Cellino è già da anni il delfino di Galliani, numero due del Milan, e grazie alle sue capacità non solo imprenditoriali ma anche politiche (preziosi i consigli di Andrea Arrica), diventa presto il vicepresidente vicario (e per un certo periodo anche il presidente) della Lega calcio, l’organismo che gestisce il pallone italiano ben più della Figc. Un rapporto, quello col Milan, che tradotto in soldoni significa una maggiore tutela arbitrale con le pari grado e migliori contratti per la vendita dei diritti televisivi. Per le elezioni regionali del 2004 Berlusconi lo inserisce nel listino del Pdl,mail risultato sarà negativo perché la vittoria andrà a Renato Soru (anche lui di Sanluri). In campo calcistico l’alleanza col Cavaliere ne uscirà rafforzata. Si dirà peraltro che l’amicizia con i rossoneri non porta proprio bene negli scontri diretti. Da quando è tornato nella massima serie nel 2004 il Cagliari ha affrontato il Milan 14 volte e non l’ha mai battuto, conquistando appena 2 punti sui 42 disponibili.
Miami, la cessione saltata e il mancato acquisto. Nel dicembre del 2005 Cellino sembra averne le tasche piene del calcio e dell’Italia. Prende residenza a Miami dove investe nel mercato immobiliare e annuncia di voler cedere il Cagliari a un trio di imprenditori che lavorano nel capoluogo isolano, composto da Porcedda, Giannuzzi e Cerina. I tre seguono la squadra nelle trasferte di Palermo e Torino con la Juve. Poi l’improvviso dietrofront del presidente e da allora nessun ripensamento. Al contrario, nel 2010 Cellino decide di entrare nella Premier League acquistando il West Ham, gloriosa società londinese, in questo caso sono però gli inglesi a preferire un’offerta fatta da connazionali.
L’uomo dei record. Massimo Cellino dopo Berlusconi è il presidente più longevo della serie A, e nella storia del Cagliari nessuno può vantare come lui 505 presenze nella massima serie (cui ne vanno aggiunte 10 in Coppa Uefa e una cinquantina in Coppa Italia). Sotto la sua presidenza ha visto il Cagliari vincere 147 volte, pareggiare 149 e perdere 204. Sono 600 gol i segnati, e 745 reti quelli presi.
I top e i flop. Tra i primi i migliori acquisti sono stati Zola e O’Neill, autentici fuoriclasse. Tra i flop molti nomi stranieri di cui si è persa traccia: Pascolo, Tinkler, Romero, Nyathi, Peralta, Penalba, Katergiannakis, Carini, Bizera, Semedo, Gomes, Rosano, Guberac, Larrivey, Matheu, Sivakov, Brkljaka.
Guai ai nazionali. Cellino è forse l’unico dirigente che smoccola quando i suoi giocatori vengono chiamati in nazionale, non a caso sono finiti quasi tutti in disgrazia: Esposito, Langella, Foggia, Biondini, Cossu e Marchetti.
Il fiuto per i bomber. Il presidente ha poi avuto un fiuto speciale per gli attaccanti. Se si eccettua Larrivey (sul quale peraltro non si è ancora arreso dopo 4 anni…) da Oliveira a Muzzi, da Dely Valdes a Kallon, passando per Suazo, Acquafresca, Nenè e gli stessi, M’Boma, Esposito e Langella, hanno dato molto più di quanto ci si potesse aspettare.
Il colpo del secolo. Ma se si deve citare un nome per indicare il colpo più redditizio sul mercato non può essere che quello di Zebina. Giunto in Sardegna a costo zero dal Cannes, Cellino lo rivendette due anni dopo al povero Sensi della Roma per 30 miliardi di lire!
La rottura con Branchini. Magari si tratta solo di un momento di rapporti non idilliaci, certo è che ha fatto scalpore. Giovanni Branchini, figlio del famoso Umberto, manager della grande boxe noto con l’appellativo di Cardinale, è stata forse la persona che ha convinto Cellino a fare a meno della figura del diesse così come era comunemente interpretata, ovvero il grande conoscitore di talenti ed esperto di mercato
Quando il secondo scudetto? Tutti dicono che ripetere l’impresa del 1970 è impossibile. Intanto perché non c’è più nessuno che sappia far esplodere il sinistro come Gigi Riva, quindi perché (per fortuna) non c’è una Regione che in cambio di decine di chilometri di costa perduti a vantaggio dei petrolieri (e tralasciamo il campo ben più importante della salute) ottenga un Angelo Moratti benefattore occulto che consenta l’allestimento di uno squadrone. E poi perché la forbice tra il fatturato degli squadroni e le piccole di oggi è ben più ampia di quella di allora. Però a ben pensarci anche nel 1964, appena sei anni prima del magico evento, nessuno avrebbe scommesso un soldo bucato sullo scudetto che pure arrivò. Intanto, se Cellino chiedesse ai suoi ragazzi di non accontentarsi come negli ultimi anni di raggiungere la salvezza e staccare la spina, sarebbe già un bel passo avanti.