NEL NOME DEL PADRE! LA SCRITTRICE NUORESE ROSALBA SATTA SI RACCONTA

Rosalba Satta con il marito


di Salvo Zappulla

Rosalba, cosa vuol dire essere poeti oggi, in questo mondo materialista e frenetico che bada a tutt’altri interessi? Indicare un’altra direzione. Percorrere, con la giusta lentezza, un altro sentiero: quello spirituale, che è esattamente l’opposto. Di poesia non si vive: si è “fuori” dalla risposta di tipo utilitaristico. Perciò chi sceglie di fare poesia sa bene che molto difficilmente avrà un riscontro materiale. La poesia non è un’ occasione che ti consente di arricchirti concretamente. E’ un incontro d’amore… e quando ti innamori realmente non ti domandi mai se conviene. Ti innamori e basta.

Tuo padre, Franceschino Satta, è stato un poeta amatissimo in Sardegna, forse una delle voci più limpide e più amate, qual è il patrimonio di valori che ti ha lasciato in eredità? Al solo ricordo mi si illumina l’anima. Fra l’altro, quest’anno ricorre il suo decennale. Ripeto spesso che è stato un privilegio averlo come padre. Una fortuna immensa. E’ come iniziare una vita sapendo d’essere in vantaggio. Ho respirato determinati valori quotidianamente, attraverso l’esempio. La capacità di vedere oltre, il rispetto, la solidarietà, la coerenza, l’onestà, la giusta indignazione, la determinazione ad andare e fare nonostante i tempi bui… sono tutti valori che mi hanno accompagnato e formato fin dalla nascita. Facevano parte del mio vivere e crescere. Erano nell’aria. Da sempre. Indipendentemente dal fatto che in famiglia se ne parlasse o meno. Ognuno di noi, in fondo, è il prodotto delle relazioni che ha avuto, delle letture fatte e, soprattutto, dell’educazione familiare. Mio padre con me ha voluto perfino esagerare: mi ha trasmesso la sua fame di poesia. Anche la poesia per me è un valore.

Il ruolo degli insegnanti nelle scuole viene messo continuamente in discussione dai governanti, cosa ne pensi? Viene messo in discussione non solo il ruolo degli insegnanti, ma anche il ruolo della scuola pubblica. Perfino i libri di testo. Fa parte di tutti i regimi più o meno mascherati. Meno scuola per tutti e più telenovelas, meno libri e più chiacchiere imbevute di lustrini, aiuta non poco quando l’obiettivo è quello di formare dei sudditi. La cultura, al contrario, è rivoluzionaria. Non consente bavagli o catene. E i cani sciolti, si sa, non godono della simpatia di chi vorrebbe la massa allineata o prona. La persona colta non va dietro il flautista di turno. Sceglie di essere un cittadino. E’ abituato a nutrirsi d’altro. Oggi qualcuno indirizza l’indice accusatore perfino contro gli insegnanti di sinistra, rei di calpestare i valori della famiglia. Se non fosse una tragedia, riderei dalla mattina alla sera… a crepapelle! Io, che mi vanto d’essere stata un’ insegnante di sinistra, sono convinta che siano (o fossero?) patrimonio della sinistra l’arsura di giustizia e di pace, la giusta distribuzione della ricchezza, la solidarietà e la condivisione. E, forse, è proprio questo che spaventa.
Il tuo libro pubblicato di recente, quali i pregi migliori? Credo molto in questo lavoro. Ci pensavo da tempo. Il mio obiettivo principale era – ed è – quello di restituire agli alunni di ieri parte di ciò che da loro, a piene mani, ho ricevuto. Il libro “A scuola con la poesia” non sarebbe mai nato se non fossi stata un’insegnante elementare. Sono gli alunni che mi hanno suggerito i versi con i loro desideri, i loro sogni, le loro preferenze, i loro timori, le loro, inevitabili, difficoltà ortografiche e matematiche. Così come diceva Neruda, nessuna poesia appartiene interamente a chi la scrive, perché è il prodotto degli stimoli arrivati dall’esterno. Spero, ovviamente, che il libro (studiato anche nella veste tipografica affinché non appesantisse gli zaini già stracolmi degli alunni) sia, o possa diventare, un aiuto educativo-didattico in più: per gli insegnanti e per i genitori.  Racconto in versi Pinocchio, Geppetto, Mastro Ciliegia (a mio parere il libro di Collodi è straordinario!), sdrammatizzo le paure dei bimbi, parlo della pace e della solidarietà, degli affetti per le persone care, della voglia di una scuola creativa… sforzandomi di interpretare i sogni-desideri dei bambini. Ed anche delle inevitabili difficoltà grafiche e matematiche. Difficoltà che erano anche mie, un milione di anni addietro. E tutto con molta leggerezza, con un sorriso. Con l’obiettivo, sempre presente in ogni verso, di non turbare ma di sorprendere. Una bimba di quattro anni, Michela, dopo aver ascoltato le mie poesie ha risposto, rivolta al babbo che la sollecitava affinché esprimesse un suo parere, che: “le poesie sono… buone”. Obiettivo raggiunto con la piccola Michela! Una delle poesie contenute nel libro, “Un sogno perfetto”, è stata musicata e cantata da un gruppo di Ottana, i Tàlinos. E’ venuta fuori una splendida poesia-canzone. Spero davvero che venga cantata nelle scuole perché, a mio parere, contribuisce a lubrificare il pensiero degli alunni. L’ho scritta con un unico obiettivo-speranza: che la guerra diventi un tabù, esattamente come la schiavitù; speranza che, prima o poi, dovrà pur diventare realtà. Per forza di cose. Per scelta obbligata. Perché – come ci ricorda Raniero La Valle nel suo “Prima che l’amore finisca” – “la storia è ancora nelle nostre mani. Possiamo andare avanti e riaccendere il futuro. Dobbiamo forzare l’aurora a nascere…”. Sono convinta da sempre che a salvare il mondo ci penseranno la musica e la poesia. E quando la poesia si veste di musica e di canto… il “gioco” è quasi fatto. Alle canzonette-slogan di ieri e di oggi, tanto care ai politicanti narcisi, dobbiamo essere capaci di contrapporre altri testi e altre note.
Cosa possiamo fare per migliorare il mondo? Cerco aiuto, nel risponderti, in una della tante riflessioni di padre Ernesto Balducci che, fra le altre cose, in una delle sue ultime omelie, così ha detto: “Se tu poni il centro di te dentro di te, hai voglia studiare, hai voglia diventare un luminare della scienza! Non capirai mai nulla! Ma se tu poni il centro di te fuori di te, tra le creature del mondo… lì è la vera sapienza”.
In sintesi: sarà la solidarietà, la capacità di sentire i silenzi disperati degli ultimi, la determinazione nel voler risolvere una volta per tutte gli squilibri economici che dividono in primo, secondo, terzo, il mondo. Se non saremo capaci di farlo, prima o poi, la miseria degli ultimi ci cadrà addosso come un macigno. Sta già avvenendo. Le continue migrazioni di disperati che sognano non un campo di concentramento – mascherato da campo di accoglienza – ma un luogo nel quale vivere in maniera dignitosa, sono un avvertimento, un campanello d’allarme. Era evidente che, prima o poi, sarebbe accaduto. Non a caso, in tempi non sospetti, ne ha parlato nei suoi libri Alex Zanotelli. Le nazioni che si sono arricchite sulla miseria degli ultimi, dovranno restituire il maltolto. Intanto, però, ognuno di noi, deve fare qualcosa per rendere più vivibile questo mondo che pare rincorrere solo ciò che è materiale, dimenticando la spiritualità. Un uomo senza anima può fare e diventare tutto tranne che una persona perbene.

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Un commento

  1. Rosalba Satta

    Ohhh che sorpresa! Grazie.

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