di Nella Sibona
La presentazione del libro “Mille lire” di Bruna Murgia con un relatore d’eccezione, Paolo Pillonca, apre l’attività culturale 2012 del Circolo Gennargentu di Nichelino. Il saluto ai numerosi convenuti del presidente del circolo, Salvatore Fois, precede quello delle autorità presenti: il sindaco G. Catizone, l’assessore C. Bonino e il consigliere comunale C. Melis. La parola passa subito al prof. Pillonca che introduce l’opera dell’autrice con significativi accostamenti letterari sulle ragioni dell’esilio e dell’insularità, l’amore alla Terra e il legame alle proprie origini: “Ulisse aveva molte ragioni per non amare Itaca, città in cui era avversato e atteso per essere ucciso, ma alla proposta di Calipso risponde che vi sarebbe comunque tornato, rinunciando all’immortalità promessa. ‘Mille lire’ è anche il racconto di un viaggio in una Terra impoverita, derubata dagli uomini e dalla natura stessa, in cui i protagonisti si muovono incerti, vinti dalla precarietà dell’esistenza e dal dolore di vivere, eppure rimangono ancorati ai valori portanti di quella società in fondo arcaica, ma così prepotentemente attuale nelle sue caratteristiche specifiche: l’isola, luogo di partenza e di meta. Un libro scritto con grande passione dall’autrice”. Incantano i presenti le parole del relatore che si muove su un terreno a lui caro: la Sardegna con i suoi elementi distintivi, la sua cultura, la lingua, i suoi colori, i suoni e i profumi, ma anche le contraddizioni. Dice Pillonca: “È un romanzo di gente e di Terra, il filo conduttore è la ricerca di se stessi e del senso dell’esistenza. Una storia forte in cui l’autrice costruisce e descrive con estrema efficacia e lucidità i personaggi; pagine di letteratura e di struggente poesia danno al lettore l’opportunità di guardare nel romanzo e di osservare la realtà di quello spaccato sociale, il Sulcis Iglesiente, Sud estremo dell’Isola”, depauperato delle bellezze volute dalla natura per farne sito di addestramento militare. Dal pubblico arriva la domanda di Giuseppe, che desidera sapere cosa abbia indotto Bruna Murgia a scrivere un romanzo in cui: “Vi sono contenuti che inducono il lettore a riflettere attentamente sul senso dell’appartenenza e del valore di ognuno; lo costringono a fermarsi e a pensare alle conseguenze delle azioni in modo così profondo. Non si può farne a meno”. In fondo non è una domanda, Giuseppe apre il libro e legge alcune righe del testo. Gli fanno eco altri astanti, che affermano di essersi emozionati e di aver condiviso molti aspetti del contenuto dell’opera, e chiedono all’autrice che cosa ha provato nel rileggerlo, prima di darlo alle stampe. Bruna Murgia risponde con semplicità, da cui, però, comprendiamo la determinazione che la contraddistingue: “Sì, è stato emozionante perché in questo libro vi sono i luoghi che amo. Tutto ciò che avrei voluto avere della mia Terra e tutto ciò che ho dovuto lasciare. Forse anche questa è una delle ragioni per cui ne conservo un ricordo così nitido, che mi accompagna ovunque”. Antonio rappresenta il lettore ideale: “Impossibile non immedesimarsi nei protagonisti, impossibile non condividere i desideri dei bambini. Questo libro mi ha fortemente coinvolto”. I protagonisti del libro si muovono in una dimensione sociale aspra, talvolta crudele, che ha radici lontane. L’autrice sceglie di introdurre gli aspetti salienti del testo, l’esproprio e le conseguenze economiche, da cui si dipana la storia con la lettura della poesia “Terra furada”, vincitrice del premio Atzara 2010.“…a castiai / sola e disigiada / cumente una sposa / sa Terra furada / a sa genti mia speranzosa”. Nell’intervento del sindaco vi è la riflessione sulla frase scritta e dedicata dall’autrice ai lettori dell’opera: “A chi sa riconoscere nell’altro una parte di sé”; ed è l’occasione per riflettere sull’importa del riconoscimento dell’altro che implica il “dire” e il “fare”, consapevoli che la risultanza delle azioni di ognuno ha una continuazione e una conseguenza nell’altro, come nel passato, nel presente e nel futuro. L’importanza di dedicarsi con forza alla realizzazione di azioni tangibili, attraverso l’impegno costante che caratterizza, anche le attività del circolo Gennargentu, ritorna nelle parole dell’assessore Carmen Bonino, donna sensibile e concreta, che afferma: “Questa è anche una storia di donne, donne solo apparentemente deboli che rappresentano il valore portante della società di ieri, di oggi e di domani. Donna l’autrice, esule eppure così dentro la sua Terra, capace di dare a noi la possibilità di conoscerla profondamente. Donne che conoscono l’importanza e il valore delle radici così presenti nell’attività svolta dal circolo Gennargentu in tutti questi anni”. Il prof. Pillonca riprende la parola per introdurre il valore del ruolo della donna nella società sarda: “ È matrilineare. In Sardegna, l’uomo ha un ruolo attivo, certo, ma è la donna che costruisce i basamenti della famiglia e li tiene ben saldi. Una donna che lavora, impegnata in ruoli di rilievo, che fa scelte significative, che non si arrende di fronte alle difficoltà, che sa vivere la grandezza dell’amore e del dolore. Anche nel romanzo è la donna che ha un ruolo fondamentale, sofferente, umiliata, usata, ma è lei la più forte. Una donna capace di ritrovare in se stessa la forza per ritornare a sentirsi tale e nel contempo madre”. All’autrice sono poste anche domande di natura tecnica, da parte del relatore: “In questo romanzo vi sono molte similitudini, come hai proceduto per evitare che diventassero pleonastiche? Alcune mi hanno particolarmente colpito, ne leggo una – Urlò disperata tutto il suo dolore e tutto lo sdegno di cui era capace, tremava come un granello di sale sospeso nella furia dell’inverno…- perché un granello di sale?”. E la risposta dell’autrice ci dà un lieve brivido: “Quanto male può fare il sale su una ferita profonda ancora aperta? Rendere immagine ciò che è pensiero, riflessione della mente e dell’anima è un esercizio che ho imparato a fare molto presto: mi serviva per dare un senso agli avvenimenti, cercavo le parole, talvolta erano quelle che sentivo dire, e scrivevo piccole storie di fantasia. Quando rileggo il testo oggi, però, procedo alla “limatura” dei contenuti, talvolta in modo piuttosto significativo”. C’è ancora il tempo per soffermarsi sul finale positivo del romanzo, aperto al lettore che incontra il favore degli astanti, che si stringono attorno all’autrice e cominciano a conversare con lei. Riesco ad ascoltare ancora una risposta: “È come essere a casa…”.
Complimenti