di Gianfranco Pintore
È fatta. Anche questa volta siamo riusciti a farci del male e la teoria che meglio nulla che poco ha trionfato. Contenti come pasque perché al Parlamento europeo non ci andremo neppure questa volta, i sardo-masochisti esultano sventolando la bandiera "pro chi progat in sa de compare, mègius non progat". I partiti italiani se ne sbattono: la loro rappresentanza c’è e potranno comportarsi a Strasburgo senza l’incomodo di un ambasciatore degli interessi della Sardegna che, a gana o a mala gana, avrebbe comunque agitarli, pena la sua delegittimazione fra cinque anni. E per piacere, non continuiamo a sventolare la questione della circoscrizione unica: stante questa legge, non avremmo eletto nessuno. Il fatto è che a Francesca Barracciu e a Maddalena Calia sono mancate poche migliaia di preferenze per essere elette: ottantamila elettori del Pd non hanno dato la preferenza alla prima e novantamila della seconda le hanno negato la preferenza. Hanno avuto entrambe i voti sufficienti alla loro elezione, non le preferenze. Nessuna delle due è in sintonia con l’idea che ho della Sardegna, ma meglio la loro flebile voce di sarde, comunque autonomiste, che l’afasia completa. Non è in discussione la scelta dell’elettorato sardo di non andare a votare. La responsabilità è dei partiti che sono stati incapaci di spiegare, presi come erano da una battaglia campale tutta interna allo Stato italiano, che cosa si andava a votare. Non il Parlamento della Repubblica, dove evidentemente tutte le culture politiche rappresentative devono esserci, ma un luogo dove si parla di politiche europee e dove le diversità o parlano o non esistono. Come la nostra, ma non come la siciliana, o la basca o la catalana che esistono e si faranno ascoltare. Adesso, però, è il momento di farci sentire, senza attendere i mesi precedenti le prossime europee fra cinque anni. A cominciare dai partiti e dai movimenti che non hanno riferimenti e segreterie italiane. Oggi neppure si parlano, divisi non sulle prospettive a medio termine, ma da diffidenze più ideologiche che politiche e culturali. Si tratta di oltre un quinto dell’elettorato sardo, come dire oggi il terzo schieramento in Sardegna. Una proposta per cambiare l’iniqua legge elettorale per le Europee non può limitarsi a chiedere lo scorporo della Sardegna dalla Sicilia, deve far valere il diritto della Sardegna (e delle altre regioni a statuto speciale) ad essere rappresentata nel Parlamento europeo. Meccanismi elettorali per far sì che questo diritto sia assicurato se ne possono trovare quanti si voglia, a cominciare da quello che preveda un quorum nazionale e non statale com’è oggi o l’assegnazione dei due seggi ai partiti più votati. Resta la considerazione che, allo stato attuale delle cose, senza un partito o una lista sardista (intendo, sia chiaro, una lista che faccia riferimento solo ed esclusivamente alla Sardegna), a vincere saranno sempre e comunque i grandi partiti rappresentati in Sardegna. E resta inteso che, preliminarmente, si debba essere d’accordo sul fatto che il dato fondamentale è essere comunque presenti nel Parlamento europeo, non la perfetta coincidenza delle idee dei candidati con le idee di chi vota. Anche nell’ipotesi che si abbia un numero di eurodeputati risultante dalla costituzione della Sardegna in stato indipendente, la nostra Isola non potrà avere 1.400.000 deputati, ma neppure uno per ogni movimento dal 3 o 4%. Se ci rassegniamo a questo e all’idea che l’unità presuppone concessioni reciproche, la strada può essere in discesa.