di Paolo Pulina
Il Circolo dei Sardi “Su Nuraghe” di Canegrate – Parabiago, in collaborazione con la Regione Autonoma della Sardegna – Assessorato del Lavoro, la FASI (Federazione delle Associazioni Sarde in Italia) e il Comune di Parabiago (MI), ha organizzato nel primo weekend di novembre, presso Villa Corvini di Parabiago, una iniziativa di valorizzazione dell’artigianato artistico e di una parlata particolare della Sardegna. In realtà la parte per il tutto della Sardegna è stata rappresentata dal Comune di Isili (CA) in ragione di un fatto interculturale che è bene mettere in evidenza perché costituisce quasi un paradigma dei modi in cui si modellano i rapporti “privilegiati” tra un determinato Circolo FASI e un paese o città o zona della Sardegna.
A lavorare nelle fabbriche di Parabiago e dintorni sono arrivati, fin dagli inizi degli anni Sessanta del Novecento, diversi lavoratori isilesi che, conquistatasi con la loro operosità la fiducia dei titolari delle aziende del circondario, hanno avuto la possibilità di favorire l’inserimento lavorativo anche di compaesani. L’ampia comunità di isilesi di prima (effettiva) e di seconda (figurativa) generazione non ha ovviamente dimenticato il paese di origine ed è stato in passato orgoglioso di proporre alle città di Parabiago e dei dintorni una propria straordinaria gloria letteraria (il ramaio Predu Mura, 1901-1966, che è stato così innovativo poeta in limba da meritare l’appellativo di “García Lorca della Sardegna”: ecco alcuni suoi versi che danno l’idea del suo talento e della sua pratica di lavoro: Fippo operàiu ’e luche soliana / commo so’ oscuru artisanu de versos / currende un’odissea ’e rimas nobas / chi mi torret su sonu ’e sas lapias / ramenosas campanas / brundas timballas e concas / e sartàghines grecanas: si parla dunque di caldaie, di campane, di stampi, di conche, di padelle tutti rigorosamente di rame).
A Parabiago il 5 e il 6 novembre stavolta Isili ha presentato i “gioielli” dell’artigianato artistico locale – rame e tessuti – in una mostra-mercato che ha richiamato molti visitatori, attirati dai preziosi oggetti in rame creati da Luigi Pitzalis e dai certosini prodotti dell’arte tessile isilese realizzati da Daniela Zedda.
Nel pomeriggio della domenica un folto pubblico ha seguito la dotta relazione del linguista Simone Pisano (dell’Università di Sassari) su un idioma speciale che ad Isili ha la sua base: “S’Arromanisca” o “S’Arbaresca”, cioè il gergo dei ramai. Pisano ha ripercorso la nutrita bibliografia degli studi su questo gergo ( “vero e proprio idioma segreto”) utilizzato dai ramai di Isili per poter comunicare tranquillamente tra di loro senza essere capiti dagli acquirenti dei loro oggetti durante il loro “peregrinare” per i paesi dell’isola. I ramai di Isili avrebbero origine da un gruppo di Zingari che impiantarono le loro botteghe nella parte bassa del paese, a sud, nel rione denominato anticamente “Coroneddu”. A ipotizzare una “radice” zingarica del gergo dei ramai isilesi, nella prima metà del Novecento, fu il linguista Ugo Pellis, che ricollegò una delle denominazioni del gergo, “Romaniska”, a Rom e Romanés, termini con i quali gli Zingari definiscono se stessi e il loro linguaggio; Pellis trovò collegamenti tra la particolare parlata isilese e il gergo dei calderai di Tramonti nel Friuli. Un altro linguista, Manlio Cortelazzo, analizzando un centinaio di voci raccolte sul campo, richiamò l’attenzione su alcuni termini gergali di probabile appartenenza all’albanese e al neogreco (o grecanico). Da questa interpretazione deriva il secondo dei nomi con cui è conosciuto il gergo dei ramai isilesi, “Arbaresca”, che dipenderebbe dall’albanese “Arber” o dall’italo-albanese “Arberishte”.
Il pomeriggio parabiaghese ha proposto l’analisi di questo affascinante (proprio perché minoritario) aspetto linguistico della Sardegna ma ha anche offerto la possibilità di far incontrare gli esponenti delle due comunità implicate in questo incontro che è stato, ripetiamo, anche di natura interculturale: Ignazio Faedda, vice-sindaco di Isili (3.000 abitanti), ha potuto dialogare con Mario Grandini, assessore alla Cultura del Comune di Parabiago (27.000 abitanti), sull’ipotesi della istituzione di un gemellaggio formale tra i due centri.
Anche altri amministratori delle località vicine a Parabiago hanno onorato con la loro presenza la manifestazione introdotta da Maria Francesca Pitzalis (presidente del Circolo sardo) e coordinata da Piero Ledda (responsabile culturale): per Nerviano il sindaco Enrico Cozzi e l’assessore alla Opere pubbliche Giovanni Serra. Antonello Argiolas, recentemente riconfermato coordinatore dei Circoli FASI della Lombardia e appena nominato vice-presidente vicario della FASI, ha portato il saluto dell’organizzazione sottolineando l’utilità di iniziative come quella di Parabiago al fine di creare una “rete” di relazioni stabili e produttive che colleghi singoli/molteplici Circoli e la complessiva Federazione degli emigrati con i “territori” della Sardegna.
Condivido in toto il contenuto del tuo articolo.Devo dirti che oggi la maggior parte dei sardi emigrati (o discendenti da sardi emigrati) sentono la sardità molto di più di quanto la sentissero gli emigrati sardi nel dopoguerra, e ciò è mol…to bello.Nei miei anni giovanili (emigrato per studio in quel di Roma) c’erano sardi che cercavano maldestramente di mascherare le proprie origini adottando una improbabile “parlata” romanesca che nei romani (per i quali allora eravamo “sardignoli” equivalente a “burricos”) destava quasi sempre,come minimo”, ilarità. Voglio aggiungere un ricordo che chiarisce meglio il concetto. Nel 1948 (o poco prima o poco dopo: i ricordi si stanno affievolendo) fu organizzata una serata di canti sardi nel teatrino del Ministero delle Finanze in Via XX Settembre con la partecipazione del grande Antonio Desole. I sardi presenti erano si e no una cinquantina, dei quali tre ploaghesi, mentre vi erano moltissimi romani (ex militari che erano stati in Sardegna durante la guerra) che avevano imparato ad apprezzare il canto in re più di quanto lo apprezzassero quei sardi che brillavano per la loro assenza. Un abbraccio