di Marcello Fois
Ci vedo del dolo in questa tendenza al pensiero orizzontale in Politica, in Economia, in Cultura, in Storia. Corrisponde alla decimazione in stato di guerra e all’applicazione del darwinismo in natura, alla strada maestra del semplicismo, al tanto al chilo contro il bilancino. È la condizione in cui chi dovrebbe coordinare, dirigere, applicare, con mandato degli elettori ben inteso, esprime più impotenza che fantasia, più pigrizia che applicazione, più frettolosità che riflessione. Qualcuno risponde che ciò dipende dai tempi che stiamo vivendo e dal fatto che noi siamo troppo legati ad una concezione della politica come vocazione nonostante da anni ormai sembri una professione come un’altra. Il pensiero orizzontale sarebbe dunque l’estremo risultato di una filosofia esercitata da uomini senza qualità particolari se non la capacità, straordinaria, di fare almeno due lavori, in una regione a tassi patologici di disoccupazione, e di farsi pagare salatamente per entrambi, nonostante, come abbiamo visto, non abbiano più il dovere di essere “speciali”. Gli esempi si sprecano. Gavoi: quale assurda applicazione di editti statali ha potuto confondere gli otto studenti di Gavoi con lo stesso bilancino con cui si considera il limite nazionale? L’ha fatto il pensiero orizzontale. Funzionari che applicano alla carta i deliri centrali in cui Roma, Milano, Torino e Gavoi vanno trattate allo stesso modo. Come se nell’economia culturale di un paese di duemila abitanti il taglio di una classe intera fosse cosa da poco. Gli otto studenti diGavoi, corrisponderebbero, se il pensiero fosse verticale, e quindi sondante e profondo, a un centinaio di studenti romani. Semplicissimo. Chi sta impedendo a quella classe di andare avanti non sta applicando una legge, sta accecando quella legge, sta trattando un territorio orizzontalmente, senza cioè tener conto delle peculiarità che lo caratterizzano. Il che è ancora più grave se si considera il fatto che siamo, ancora, Regione a Statuto Speciale; che il Presidente Cappellacci ha appena indossato la berritta; che siamo territorio a presunto orgoglio indipendentista. Il caso di Gavoi è esemplare sotto molti aspetti perché rivela quanto pericoloso possa essere non tener conto delle realtà per cui si fanno le leggi. Non molto diverso è il caso delle Librerie Indipendenti in Sardegna. Anche qui la cosiddetta legge del mercato tenderebbe ad agire orizzontalmente, ma in Sardegna questa categoria non si limita, cosa già orribile, a far chiudere le librerie nelle grandi città, soffocate dalla grande distribuzione, ma distrugge persino quelle delle piccole realtà, sicché, ancora una volta orizzontalmente, la libreria indipendente di Bologna, Firenze, Venezia è parificata a quella di Macomer o di Tempio. Vale a dire che le piccole realtà non possono e non potranno mai permettersi i margini di vantaggio che la grande distribuzione offre, nonostante facciano un lavoro di selezione, consiglio, competenza, che gli ipermercati non offrono. Ancora una volta un pensiero verticale, profondo, indicherebbe la strada di considerare le librerie indipendenti nel territorio come avamposti di civiltà, che vanno finanziati non tanto per assistenza quanto per ripagarli dell’effettivo compito che assolvono e cioè quello di non abbandonare alla sola televisione persone, cittadini, che, semplicemente, eliminerebbero il libro dal loro raggio esistenziale. Ecco, questa vocazione andrebbe incoraggiata con azioni indipendenti. Il principio orizzontalista ritiene un benefit promuovere politici peggiori dei cittadini che sono chiamati ad amministrare: qualche giorno fa mi trovavo, come delegato speciale, al V Congressi della FASI, che, per coloro che non lo sanno, è la Federazione dei Circoli Sardegna nel mondo, in pratica gli Stati generali dell’emigrazione sarda e ascoltavo interventi in cui il punto saliente era sempre «la regione sarda non ci considera un valore». Era presente l’ennesimo Assessore regionale all’emigrazione, Liori, che ha recentemente lasciato il suo scranno alla Sanità in ottemperanza alle quote rosa, altro delirio orizzontale. Tutti i delegati della FASI si sono rivolti a lui senza mezzi termini, gli hanno spiegato che cosa perde a non considerare l’apporto che i sardi di fuori possono dare ai sardi di dentro; che l’assenza della regione è talmente eclatante da far temere una forma di rimozione nei confronti dei propri emigranti; che gli interlocutori istituzionali sono attualmente al minimo sindacale per qualunque politica che comprenda il milione e passa di sardi sparsi nel pianeta; che probabilmente questa rimozione non è casuale. Insomma come si direbbe in gergo gli hanno fatto barba e capelli. Ma durante il suo intervento finale il dottor Liori, ha dimostrato la potenza senza incrinature del pensiero orizzontale che l’ha prodotto: dopo aver salutato i trecento sardi presenti portandogli «i saluti del popolo sardo» come se loro, non ne facessero parte, senza battere ciglio, senza rispondere a nessuna domanda, ha raccontato la sua personale, terribile esperienza di emigrante che da Desulo ha dovuto trasferirsi a Cagliari e ha raggiunto apici davvero commoventi quando ha raccontato di suoi paesani che da Desulo sono dovuti emigrare a Nuoro. Si aspettava lacrime da parte di delegati che si erano limitati ad emigrare in Australia o in Argentina. Ma non ci sono state lacrime, solo sconcerto. Perché quel «saluto del popolo sardo» fatto a sardi emigrati nel mondo è un lapsus freudiano che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni.
Personalmente non riesco a capire tutto questo gran puttiferio per il congresso FASI , la Federazione delle Associazioni Sarde in ITALIA, dove si sono ri-riimpastate le lamentele già messe in evidenza da più di una quindicina d’anni, con i soliti proclami adagiati volontariamente a mio avviso , anche su un cumulo di rassegnazione.
Intanto si mettono in primo piano le nomine, e gli applausi per coloro che se ne vanno….mentre il mondo degli emigrati vi ascolta carichi di speranza, sic!
Ebbene, noi all’estero speriamo che la nuova legge sullemigrazione, sia studiata in priorità per coloro che non risiedono in Italia , per gli ESPATRIATI, e se qualcuno ne conosce la differenza sà cosa vuol dire essere Fuori dalla Patria, e non si potrà eludere che i problemi prendono ben altre dimensioni e esigono risposte più precise.
Ricordo una festa organizzata nel mio piccolo paese d’origine in Sardegna, in onore degli emigrati che rientravano per le vacanze estive. Naturalmente il clou della festa era il banchetto offerto dal Comune (con il menù tipico sardo che noi ci sognamo altrove), dove mi ritrovai seduta vicino a delle persone che, a mia conoscenza non avevano mai lasciato la loro casa o paese….eccetto un loro genitore originario di Cagliari che essendosi sposato a una sessantina di Km dal capoluogo, si sentiva emigrato da ormai quasi 50 anni….con il consenso di tutta la comunità.
Sono d’accordo con Marcello sulla politica orizzontale che uccide la diversità, ma in questo caso la Diversità siamo noi, e non è poco!