ricerca redazionale
C’è qualcosa di epico, oltre che di doloroso, talvolta drammatico, nell’emigrazione dei pastori sardi in Toscana. Qualcosa che ha rivelato tutta la forza di un popolo non più disposto ad accettare passivamente isolamento, miseria, arretratezza. Un popolo perciò capace di affrontare l’ignoto, fatiche e disagi e prospettive incerte, pur di non rimanere passivo e docile di fronte a una situazione di permanente insopportabilità. Singoli pastori, nuclei familiari, gruppi legati da amicizie e parentele si sono mossi, prima cautamente poi sempre più numerosi, a partire dagli anni ’60, alla ricerca di una vita accettabile e di una situazione sostenibile. Con le loro pecore hanno attraversato il Tirreno e, sovente a piedi, da Civitavecchia hanno raggiunto, lungo strade secondarie, tratturi e campagne, le terre delle colline della Toscana. Un qualcosa di epico in tutto ciò, ormai conosciuto e studiato, che ha prodotto mutamenti sociali ed economici,
e che attende forse soltanto di diventare letteratura. Un fenomeno conosciuto e studiato, sempre più e sempre meglio. Nuovi e importanti contributi continuano a giungere. Anche dal Circolo degli emigrati sardi a Siena "Peppino Mereu". La ricerca, "Migrazione di sardi nei poderi mezzadrili della Toscana", un volume dalla elegante veste grafica, arricchito da numerose fotografie di Domenico Selis. I sardi nel Senese, hanno determinato importanti modificazioni sociali e, addirittura, col loro lavoro hanno modificato il paesaggio. Giunti silenziosamente hanno compiuto grandi passi avanti e influito sull’economia del territorio. Ma quella generazione di sardi giunti dall’isola negli anni ’60 e ’70, e che tanti risultati ha ottenuto, è naturalmente destinata a estinguersi, per motivi anagrafici. Su loro pesava il vecchio pregiudizio che voleva essi non lavorassero ma si limitassero a sfruttare i pascoli. Il pregiudizio di chi non sa quanto pesante sia fare il pastore. Dopo quei primi difficili anni dell’emigrazione nel senese, è avvenuto il grande salto: quei pastori sono diventati anche coltivatori e la loro situazione è notevolmente migliorata economicamente e umanamente. Questo salto è stato favorito dal fatto che le colline toscane in quegli anni, a causa del crollo della mezzadria precipitata in una gravissima crisi economica, si sono quasi totalmente spopolate. La conseguente caduta verticale del prezzo delle terre ne ha consentito l’acquisto da parte dei pastori sardi. Essi le hanno messo a coltura e rese nuovamente produttive, salvandole dal loro destino di marginalizzazione. I pastori, provenienti soprattutto dal Orune e Austis, hanno iniziato a produrre il loro pecorino, che ha progressivamente conquistato il mercato. In più l’attività dell’Associazione dei pastori sardi, e la presenza tra i pastori sardi di alcune figure carismatiche, hanno spinto la modernizzazione nella gestione delle aziende pastorali. Ma tanti altri ostacoli hanno dovuto superare i pastori giunti dall’ isola. Quelli più gravi sono giunte però dalla stagione dei sequestri di persona, e dai tanti episodi di enorme gravità che la hanno caratterizzata. La società toscana, che non conosce "l’omicidio endemico", ha reagito duramente, odiava i delinquenti autori di gravissimi delitti, e non faceva troppe distinzioni. Gli stessi carabinieri facevano irruzione di notte negli ovili e nelle abitazioni, anche laddove vivevano oneste e pacifiche persone. È stato molto duro superare quella situazione. La società toscana ha saputo fortunatamente operare le opportune distinzioni e la seconda generazione dei pastori sardi ha saputo resistere alla tentazione di rinchiudersi nella propria etnia. Oggi, occorre affrontare la seconda fase del rilancio dell’attività pastorale nelle colline del senese, attraverso la realizzazione anche di altre attività connesse, non ultima quella dell’agriturismo, capaci di dare un reddito sufficiente e quindi convincere i giovani a rimanere nelle loro aziende. Occorre, che ai giovani che si trasferiscono in Toscana venga offerta comunque anche l’opportunità di rientrare nell’isola. E’ importante che i giovani possano uscire dalla Sardegna per acquisire nuove esperienze, ma è importantissimo che possano poi rientrare e mettere a frutto nell’isola le capacità e le esperienze acquisite.