IN GALLURA, DOVE IL SUGHERO VALE ORO: LA RACCOLTA DELLA CORTECCIA SI FA TUTTO A MANO, COME AI TEMPI DEI NURAGHI

 
di Alessandra Vuga

Chi è su una spiaggia della Costa Smeralda, steso tra il mare e il baretto dei vip, si alzi subito, prenda l’auto o il bus e, sulla statale 127 che attraversa l’alta Gallura, punti verso Tempio Pausania. Lungo quella strada, dietro i mille cancelli chiusi su poderi ondulati di boschi apparentemente deserti, si raccoglie “l’oro morbido”: è il sughero, dono di querce facilmente riconoscibili dal tronco, nudo dal terreno in su. I rami contorti, le ampie chiome danno loro un’eleganza barocca. Nel frinire di cicale, si sentono i tonfi sordi delle asce che, con pochi colpi, staccano la corteccia senza ferire la preziosa pianta. “L’abilità dei decorticatori, i cavatori di sughero, come li chiamano qui, si tramanda nei piccoli centri dell’entroterra. E’ un mestiere molto praticato ed è il più pagato nell’agricoltura isolana. La raccolta si fa da maggio ad agosto: la singola pianta può essere decorticata ogni 12 anni. La cultura delle sugherete è millenaria e la decortica si fa a mano, come ai tempi dei nuraghe”, racconta Alessandro Ruggero, naturalista in forze al laboratorio ricerche del Sugherificio Ganau. “Questo è uno tra gli ambienti mediterranei con la più alta biodiversità: la chioma della quercus suber fa passare la luce del sole, lasciando crescere così il sottobosco, dove vivono molte specie di uccelli e piccoli animali”. Dopo la passeggiata, imbocchiamo la nuova provinciale per Berchidda, fino a incrociare il tracciato della ferrovia che un tempo collegava Tempio Pausania a Calangianus alla stazione di Monti. La massicciata, magistralmente recuperata, è oggi un facile percorso che si snoda tra risorgive e massi di granito, con magnifici scorci su boschi, foreste e il golfo di Olbia: 30 suggestivi km da percorrere anche solo a tratti, in bici o a piedi. Le sugherete del Mediterraneo (circa 2,2 milioni di ettari) sono una priorità anche per il WWF, perché se gestite correttamente conservano la biodiversità e sviluppano l’economia locale. Ma rischiano l’abbandono per la mancanza di investimenti e i cambiamenti del mercato dei tappi di sughero. “Noi da soli ne produciamo circa 1,5 milioni al giorno, di ogni tipo e misura” spiega Giuseppe Molinas dell’omonima azienda. “Vi sembrano tanti? L’Italia, tra i primi produttori ed esportatori di vino al mondo, consuma ben 2 miliardi di tappi all’anno. Una volta molto si faceva a mano, in piccoli laboratori, in casa. Come fa ancora oggi per noi Antonio Lissia. Uno dei pochi rimasti a selezionare le barre di corteccia, tagliandole in quadretti destinati a diventare tappi sceltissimi per vini di grande pregio e invecchiamento”. Sopravvive anche l’artigianato artistico di oggetti tradizionali, come l’uppu, il mestolo da cui si beveva l’acqua, e lu barili che la manteneva fresca per i cavatori. Merito di Sandra Cossu, che ha bottega a Calangianus e ha imparato il mestiere dal padre e dal nonno. “La maggior parte delle aziende industriali e artigiane si trova tra Calangianus e Tempio Pausania” dice Giuseppe Molinas. “Per le sue caratteristiche il sughero è ancora oggi la soluzione più naturale ed efficace per conservare il vino in bottiglia”. Come il Vermentino di Gallura Docg di Monti, il prodotto delle basse viti che si alternano alle querce. E Sassicaia, Antinori, Solaia, Moet & Chandon sono solo alcuni dei nomi incisi a fuoco sui tappi prodotti da queste macchine ad alta tecnologia. La campagna di promozione del sughero, che coinvolge anche il Portogallo, è in pieno svolgimento (www.ilsughero.org). Dopo il boom del nuovo millennio, quando furono stappati miliardi di bottiglie e il prezzo della materia prima grezza era triplicato, oggi si affronta il calo generale con grinta, anche diversificando. “Un famoso stilista ci ha appena ordinato 5mila paia di suole di sughero” confida Molinas. E così il sughero, per volere della moda, l’estate prossima tornerà, sotto forma di scarpe, in Gallura, sul litorale più glamour di fronte alla Maddalena.

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