
Pietro Sanna
di LUCIA BECCHERE
Nato nel 1899, secondogenito di sei figli di padre commerciante e madre casalinga, dott. Pietro Sanna è stato il primo laureato di Lodè. Dopo le elementari ha proseguito gli studi a Nuoro, Sassari e Torino dove ha conseguito la laurea in medicina nel 1927 e benché il capoluogo piemontese gli offrisse la possibilità di una vita migliore decise di rientrare fra la sua gente che sapeva bisognosa e disagiata.
Il paese contava allora circa 4.000 abitanti, era molto povero e sperduto, nessun medico a provvedere all’assistenza sanitaria. I farmaci arrivavano da Siniscola e durante le nevicate erano i carabinieri a rifornirli. Nel 1932 ha sposato Elena Carzedda figlia del farmacista di Siniscola. Un grande amore. Dalla loro unione sono nati tre donne e un maschio che sarà il secondo laureato di Lodè, il compianto avvocato Giampietro Sanna del foro di Nuoro scomparso nel 2019.
Nell’ambulatorio al piano terra della sua casa faceva di tutto, ingessature, interventi di piccola chirurgia, estrazioni, i dentisti non si conoscevano ancora. Prestava assistenza alle partorienti in stretta collaborazione dell’ostetrica Clarice Zanella originaria di Mantova mentre in casi di estrema necessità giungeva dall’ospedale di Nuoro dr. Nicolò Ferracciu.
Dott. Sanna, persona per bene, onesto e amico di tutti, era il medico della porta accanto. Spesso dopo aver assistito le puerpere chiedeva alla moglie di preparare un po’ di brodo per loro. Durante le feste paesane le risse erano frequenti e al pari degli agguati lasciavano tanti feriti da curare. Con un sondino misurava la profondità del taglio, fin dove era possibile suturava altrimenti mandava il paziente in ospedale seppur con molta difficoltà perché le strade erano impraticabili e il paese era isolato rispetto agli altri centri viciniori. Di notte veniva chiamato a tutte le ore e lui con premura si recava dai pazienti per constatare lo stato di salute. Talvolta li trovava alticci mentre mangiavano e bevevano. “Su duttò, a sa parte”, lo salutavano con goliardia, cosa che lo mandava su tutte le furie. Capitava anche che, nottetempo, venisse prelevato da casa e condotto in campagna per curare qualche bandito, lui non si negava a nessuno e, benché la sera rientrasse a casa sempre stanco, coi pazienti era molto amabile e disponibile.
Allora i medici erano degli impiegati comunali non sempre venivano pagati regolarmente e molti fra coloro che avrebbero dovuto pagare date le possibilità non pagavano, tuttavia i lodeini, popolo generoso, non avendo soldi davano tutto quello che potevano.

Prima della riforma del 1978, il sistema sanitario italiano era basato su numerosi enti mutualistici, i medici venivano rimborsati in base al numero delle ricette, “Mio padre – racconta la figlia Caterina – prescriveva i farmaci solo se necessari. Nei suoi 40 anni di condotta aveva provveduto a curare anche la malaria, endemica in Italia fino al 1950 e negli anni 57-60 l’influenza Asiatica. Tutti i giorni faceva il giro del paese e non potendo entrare nelle case, dalla soglia chiedeva “Mariè, galu via sese”.
Raramente curava noi familiari –prosegue -, si sentiva troppo coinvolto, forse lo assaliva l’emozione. Mentre frequentavo l’università a Cagliari mi era stata diagnosticata una polmonite, stavo così male da invocare l’intervento di mio padre che, essendo gravemente malato, si era trasferito nel capoluogo sardo per curarsi. Dopo avermi auscultato si rese conto che si trattava di pleurite e ne ordinò il ricovero immediato. Era stato sempre molto preciso nelle sue diagnosi di Tbc, pleuriti, polmoniti, che quasi sempre curava a domicilio con la Streptomicina in quanto malattie contagiose che la società teneva a nascondere”.
Era un gran fumatore e quando aveva deciso di smettere l’enfisema polmonare era già degenerato in tumore. Benché debilitato e sofferente, per fare le visite si era dotato di una 500 rossa che faceva guidare a un nipote.
E’ andato in pensione solo poco prima di morire e riguardo ai medici che mai gli avevano rivelato la gravità del suo male, diceva: “Mi parlano con lo stesso tono con cui io parlavo ai miei malati quando non c’era niente da fare”.
Dottor Pietro Sanna di Lodè è morto nel 1968 a Cagliari dove riposa nella tomba di famiglia.