IL SEGRETO DELLA CASA: AL CIRCOLO “MONTANARU” DI UDINE IL ROMANZO FAMILIARE DI GIOVANNA SIMONETTI

Giovanna Simonetti e Carmelo Spiga

Mi sia consentito iniziare dalla fine della bella serata al Circolo Sardi Montanaru di Udine, per appoggiare senza esitazioni, la puntualizzazione del Presidente Mannoni, che si è, come suol dirsi, tolto un “sassolino dalla scarpa” allorchè ha convintamente affermato “che presentare dei libri non attrae i Soci”, come fattogli notare da qualcuno, è un’opinione del tutto in contrasto con quanto programmato da1 Consiglio dei Soci sulle attività annuali da effettuare dal Circolo stesso.
Infatti, la prova provata, che “presentare libri” non è mai sbagliato, lo ha dimostrato l’attenta e partecipe attenzione dei numerosi Soci presenti che hanno caldamente applaudita la presentazione del libro in programma, un bel “tomo” di 383 pagine.
Mannoni, dopo aver presentato l’autrice friulana Giovanna Simonetti, psicologa che ha sposato un sardo, cede la parola al prof. Carmelo Spiga che ha sposato una friulana e che afferma nella locandina di presentazione “d’esser questo il libro che ciascuno di noi avrebbe voluto scrivere”.
E’ un romanzo, a giudizio del prof. Spiga che, da par suo, ha condotto magistralmente il dialogo con l’autrice, di carattere giallo/psicologico con epilogo finale a sorpresa.
E’ la vicenda di una friulana che sposa un sardo; i due sposini decidono di ricostruire la casa avita in Ogliastra, abitata ancora dalla suocera, sarda d’antica mentalità e di più atavici usi e costumi e di oculata vigilanza sulla propria dimora. Cristina, la sposa friulana, è architetto di professione, chi meg1io di lei può incaricarsi di disegni e progetti? Detto fatto un piano di ristrutturazione, nonostante le difficoltà ambientali: terreno con notevoli dislivelli, forni e muri non modificabili, è presto steso. Ma, nonostante l’appoggio delle cognate che l’accolgono come una sorella, il piano non prosegue.
Negli 86 brevi capitoli del libro ci sono ampie digressioni di carattere storico/apotropaico che accomunano la Carnia, ove l’autrice ha vissuto da ragazza, e la Sardegna, le analogie sono sovrapponibili, c’è un’indubbia sintonia d’intenti tradizionali, di saggezza popolare che coincide, lingua a parte. anche nei proverbi e nei modi di dire.
Ampie e diversificate anche le storie che appaiono nei contatti con le donne sarde, zie e cugine, tutte hanno una storia vera da raccontare; tutte le storie si assomigliano, pur nella varietà degli episodi e sui diversi piani temporali; nella vita d’ognuno le difficoltà non mancano, le storie di tre generazioni s’intrecciano con le analoghe sentite e vissute i Carnia e le sue indomite donne.
Anche le superstizioni abbondano, analogie che si perdono nella notte dei tempi: la civetta che canta per tre volte sullo stesso tetto, è certo segno di malaugurio.
Si dipanano le storie, siano nel cuore del romanzo, che deve rimanere non rivelato per ovvi motivi di legittima “suspence”; è un percorso psicologico/storico/culturale, con sorprese magico/strutturali.
La protagonista poi risolverà le difficoltà quando, abbandonata la “razionalità”, si affiderà alle emozioni, ai sentimenti che spesso, indicano la via migliore per risolvere le difficoltà.
La casa, il forno, lo stazzo, tutto nella vita s’incrocia, si viene sballottati fra suocere, preti, zie, cognate, vivi e morti che vanno lasciati in pace anche se le loro “Presenze”, fanno “Comunità/Unione”, non sono numeri ma segni e sogni di vita vissuta.
Il romanzo, con tanto di dedica per ognuno, è andato via come il pane “carasau” che divinamente si sposa con l’erborinato e il “cannonau” offerto dalla notoria generosità sarda.

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