L’ANTICO CARNEVALE DI SINISCOLA: INTERVISTA ALL’ASSOCIAZIONE CULTURALE S’ORCU ‘E MONTIARVU

L’Associazione Culturale S’Orcu ‘e Montiarvu ha parlato dell’antico rito del Carnevale siniscolese, che non è il classico carnevale allegorico, ma un rito agrario propiziatorio che ruota attorno al ciclo di morte e rinascita della natura. Si è parlato delle maschere del Carnevale Siniscolese: S’Orcu ‘e Montiarvu, Su Guardianu ‘e S’Orcu, Su Tintinnàtu, Su Voe Jacu, Sa Partorja. Tante sono le iniziative organizzate dall’Associazione S’Orcu e Montiarvu per riscoprire e valorizzare le tradizioni e la storia della comunità nella quale opera.
All’interno dell’allestimento temporaneo dedicato alla maschera tradizionale di Siniscola, fortemente voluto dall’Associazione, è possibile assistere alla proiezione del cortometraggio S’Orcu, Ritos Agrarios in su Carrasecàre Thiniscolesu, diretto da Antonio Congiu, che mostra parte dei simbolismi dei riti agrari che ogni anno, prima della diffusione del Cristianesimo, si tenevano nelle comunità del Mediterraneo per ottenere una buona annata agraria.
Dove vanno rintracciate le origini dell’antico Carnevale Siniscolese? Quali sono le peculiarità di questo carnevale? Anticamente tutti i popoli del Mediterraneo avevano bisogno di stringere una relazione con i segnali che la natura forniva loro. Le comunità sarde, fatte di agricoltori e pastori, avevano bisogno delle piogge per ottenere un buon raccolto. Nei periodi di lunga siccità o di inverni troppo rigidi, che potevano minare raccolti, allevamenti e, di conseguenza, la vita stessa degli uomini, questi ultimi, per ingraziarsi qualcosa o qualcuno superiore a loro, iniziarono a compiere dei sacrifici in un rituale simbolico di passaggio che abbracciava il momento della passione, della morte e della rinascita. Questi riti, che ripercorrevano i cicli della terra, col passare del tempo divennero sempre meno crudi, fino ad essere relegati dal cristianesimo a semplici rappresentazioni; conservarono, tuttavia, il retaggio originale, che rappresentava appunto il ciclo della vita e della natura, che ogni anno muore in inverno, per poi rinascere la primavera successiva. In limba, ovvero in sardo, carrasecare significa carre de secare, ‘carne da fare a pezzi’, ‘da lacerare’, ‘da smembrare’. Già questo fa capire quanto sia crudo il rito da cui ha origine questo carnevale, che non ha niente di allegro se non la rinascita della terra a conclusione del tutto: quello Siniscolese è un carnevale crudo che ha come filo conduttore il dolore e tutto ciò che è collegato al sacrificio, alla passione, alla morte della bestia, s’Orcu ’e Montiarvu. Nel simbolismo del Carnevale questo lutto consegue alla morte del maligno, all’annata cattiva delle campagne, alla lotta continua tra uomo e natura, alla morte della terra che, solo dopo il sacrificio dell’animale, tornerà a ridare i suoi frutti: una vittoria del bene che sconfigge il male.
Chi è S’Orcu? S‘Orcu è la grande metafora della natura che si accanisce ferocemente sull’uomo, che a sua volta cerca di domarla con quello che nella rappresentazione è a metà strada tra il rito fertilistico e il sacrificio propiziatorio. Una figura mitologica che l’immaginario popolare descrive come un uomo trasformato in bestia che si nascondeva in una cavità carsica sotto le cime del Montalbo, luogo noto come Sa Prejone ’e s’Orcu (“La prigione dell’Orco”). Tale grotta è presumibilmente legata a questo rito. Non bisogna dimenticare, infatti, che la mitologia, prima greca e poi romana, si sovrappone a determinati studi sulle maschere condotti nel corso degli anni. Da questa grotta veniva catturato, legato e portato in paese il 16 gennaio, giorno de su ’Olone (il Falò). S’Orcu veniva poi incatenato e imprigionato fino al giorno del Carnevale, quando sarebbe stato liberato ed inseguito per le vie del paese, per poi essere domato fino alla morte. Una volta ucciso, il suo sangue veniva lasciato scorrere a bagnare la terra, diventando simbolo di fertilità e propiziando, così, la buona riuscita del raccolto di quell’anno. Questa figura è stata messa da parte con l’avvento del Cristianesimo, ma non è stata mai dimenticata e spesso, in periodi di grave siccità, è stata riportata in vita.


Presentateci pure le altre maschere del Carnevale Siniscolese… Le altre maschere del nostro carnevale sono su Guardianu ‘e S’Orcu, su Tintinnatu, su Voe Jacu, sa Partorja. La figura che tiene legata la bestia con una corda è il Guardiano, che rappresenta la vita terrena che cerca di domare l’animale con colpi di frusta per tutta la durata del percorso, per poi dargli la morte. Veste un cappotto nero d’orbace, simbolo di lutto maschile. I sonagli del Guardiano avevano una funzione apotropaica e la corda aveva un legame profondo con l’acqua che veniva richiesta al Dio. Un’altra figura di grande importanza nel Carnevale Antico Siniscolese è quella di “su Tintinnatu”, il cui nome è collegato a “su tintinnu”, che è il suono dei sonagli che teneva legati al collo, e a “Thithieddu”, ovvero il sughero bruciato, usato per scurire volto e braccia. Gli abiti sono quelli delle vedove in lutto e accompagnano s’Orcu nell’ultimo viaggio verso il sacrificio propiziatorio. Queste figure cercano di domarlo a colpi di frustini e forconi e il suono dei loro sonagli scuote la terra affinché si svegli dal sonno dell’inverno. Il bastone che portano, sulla cui cima è collocata una testa di muflone o di capra, viene alzato al cielo per propiziare l’arrivo delle piogge per il raccolto. La maschera de “su Voe Jacu” (bue Jacco) è una figura che nell’immaginario popolare rappresenta la morte. Su Voe Jacu è colui che dopo il sacrificio de s’Orcu traina il carro chiudendo il Carnevale. Già citato nel Dizionario storico geografico Sardo (Angius-Casalis, 1833), questa figura mitologica viene descritta come un uomo invasato dalle sembianze di bue che, trainando un carro carico di anime tra le vie del paese, si fermava davanti alla casa di chi sarebbe dovuto morire entro l’anno e muggiva. Era ritenuto presagio di morte e temuto a tal punto che i proprietari delle abitazioni, per tenerlo lontano, cospargevano l’uscio e i davanzali con la cenere come deterrente. Alcuni anni fa abbiamo intervistato la signora Pinedda Taras, nata nel 1932, che spiegò come le persone del paese in passato fossero terrorizzate dalla figura del Voe Jacu, successivamente cristianizzato in Voe ‘e Santu Jacu (Bue di San Giacomo), dall’omonima chiesa campestre situata nella valle di Locòli, nell’agro di Siniscola L’ultima figura del Carnevale Antico Siniscolese è “Sa Partorja”, una delle figure più importanti, in quanto è la rappresentazione della nuova vita. Sempre nel Dizionario storico geografico sardo Angius – Casalis, è riportato che a Siniscola, durante il Carnevale, girava un uomo vestito da vedova, con la faccia ricoperta di fuliggine e la pancia grande a simulare una donna incinta. La figura entrava nelle case gridando come se avesse le doglie e chiedeva che gli venisse offerto qualcosa; se la richiesta non veniva accolta, si gettava a terra e se ne andava via fino solo dopo aver ottenuto pane o vino. Questa tradizione era presente anche in altri Carnevali dell’Europa e dell’Africa. La figura di Sa Partorja ha una doppia valenza, in quanto rappresenta il lutto di una vedova che piange una morte, ma porta in grembo il simbolo della rinascita dalla terra, come la natura che muore in inverno e riprende vita in primavera. Il significato del Carnevale tradizionale è questo: la rappresentazione di una passione, la morte di tutto ciò che è legato al maligno, poi una rinascita propiziatoria, che rappresenta il bene che alla fine sconfigge il male.
Come siete riusciti a riscoprire queste maschere? Che tipo di lavoro avete fatto? Partiamo da una base storica recente per poi andare a ritroso. Si parte, dunque, da un lavoro di testimonianze orali di anziani ancora in vita che hanno visto e vissuto in prima persona queste rappresentazioni. In più, i racconti di tutta una serie di simbolismi, miti e leggende della comunità siniscolese, che i loro predecessori gli hanno tramandato. L’altra strada che abbiamo seguito è stata quella delle testimonianze bibliografiche: dai testi classici agli studi e agli approfondimenti di antropologi, storici, archeologi, scrittori, giornalisti; paradossalmente, anche gli archivi della curia, simboli di quel Cristianesimo che cercò fortemente di evangelizzare dei riti ritenuti troppo pagani, riuscendo parzialmente nell’opera, modificando e occultando le parti ritenute troppo cruente. Ci siamo concentrati su Siniscola, ma abbiamo studiato diverse maschere del bacino del Mediterraneo, riscontrando similitudini in ognuna di queste. Questo dimostra che il rito in questione appartiene ad una matrice molto più ampia di quella siniscolese o sarda. Il nostro è stato un lavoro molto ampio, che va oltre la rappresentazione della maschera: c’è stato un recupero della nostra lingua, il sardo Siniscolese normato, e dei toponimi originali che fanno parte della storia di questa comunità. Noi abbiamo sempre cercato di collegare il sito di sa Prejone e s’Orcu alla maschera de s’Orcu. Anticamente, quando le famiglie andavano a prendere l’acqua alla fonte d’ “Ischiriddè”, che si trova poco lontano da quel sito, ammonivano i figli di non allontanarsi troppo perché vicino c’era la casa dell’Orco, appunto sa Prejone e s’Orcu. Il toponimo di questo ipogeo utilizzato dai nuragici riporta al passaggio dei Greci, degli Etruschi e dei Romani in una fase successiva. L’Orcus è una divinità ctonia legata al sottosuolo, agli Inferi, a qualcosa che faceva paura e che si è protratta fino ai giorni nostri. Molte ricostruzioni sono legate all’immaginario popolare che si è tramandato nel corso dei secoli e che noi abbiamo cercato di reperire attraverso la testimonianza degli anziani e degli scritti.
Avete fortemente voluto un allestimento della Maschera Tradizionale di Siniscola. Di cosa si tratta? Tenga presente che l’Associazione S’Orcu e Montiarvu è nata nel 2020. Siamo partiti in otto, adesso siamo in 25. Dal 2023 abbiamo avvertito l’esigenza di avere un luogo che parlasse della Maschera Siniscolese, allestendo così un’area oggi ubicata in via Sant’Antonio, 36, all’interno della quale è possibile trovare scritture, elementi storici, immagini, utensili utilizzati. Nell’allestimento la cartellonistica è in tre lingue, la prima delle quali è il sardo, poi l’italiano e infine l’inglese. Lì è possibile assistere al cortometraggio S’Orcu, Ritos Agrarios in su Carrasecàre Thiniscolesu, girato interamente sul Montalbo di Siniscola. Diretto da Antonio Congiu, il cortometraggio mostra buona parte dei simbolismi del rito agrario che ogni anno, prima della diffusione del Cristianesimo, si teneva nelle comunità del Mediterraneo come atto di indulgenza verso un essere superiore, per poter avere acqua dal cielo e raccolti abbondanti: la rappresentazione della guerra continua tra l’uomo e la natura, nel ciclo senza fine della vita. Una celebrazione a metà tra un rito esorcizzante e il sacrificio propiziatorio.


Qual è oggi l’obiettivo dell’Associazione S’Orcu e Montiarvu? In primis c’è da rispettare e tutelare parte del patrimonio storico della nostra comunità. Per fare questo la nostra associazione non vuole mercificare il proprio lavoro: vogliamo portare qui la gente affinché possa vedere quello che facciamo e capire il motivo dell’esistenza di questa rappresentazione, che arriva da lontano ed é comune a tutte le popolazioni del bacino del Mediterraneo. Come abbiamo già detto, il nostro non è il tipico carnevale allegorico o una sfilata, ma è legato a un rituale che parla della nostra comunità, dunque non si può esportare e decontestualizzare. L’uccisione della bestia non può essere riproposta altrove: in un altro luogo perderebbe tutto il suo valore; si tratta di riti agrari che hanno senso di esistere nei luoghi di provenienza e in cui si sono sviluppati. Chi conosce il nostro percorso sa che le maschere della nostra associazione escono solo nel periodo di Carnevale e solo nel centro storico di Siniscola. Tutta la storia e i rituali delle figure hanno tempi stabiliti e luoghi da rispettare. Non ci interessa fatturare centinaia di euro esibendoci come bestiole da circo in altri paesi e in ogni periodo dell’anno: non siamo nati per immetterci sul mercato con il nostro lavoro, che è un lavoro di recupero, di studio, di scoperta, di tutela, di informazione. Dedichiamo il nostro tempo, in maniera completamente autofinanziata, alla crescita culturale del nostro paese, dunque è in questo territorio che tale lavoro deve essere presentato. Vogliamo che questo grande bagaglio storico e culturale appartenuto ai nostri avi non vada perduto: ci piace far capire da dove arriviamo, cosa siamo stati. Sapere cosa si è stati in passato dà una consapevolezza differente nell’affrontare il futuro.
Il 16 gennaio c’è stata la prima uscita delle maschere. Poi il grande evento dell’8 marzo. Il 16 gennaio, giorno del Falò di Sant’Antonio, si è tenuta la Prima Uscita de S’Orcu ‘e Montiarvu. Le maschere si sono mostrate al paese nella piazza durante il rito del Falò in una festa comunitaria che ogni anno viene organizzata da una prioria che si rinnova annualmente. Questa data ha sancito l’inizio del carnevale tradizionale, la comparsa della bestia in paese. L’8 marzo, invece, si è tenuto il rituale fertilistico completo: la morte della bestia seguita da una grande festa. Il rito dell’eterno ritorno, la morte e la rinascita della natura, del bene che trionfa sul male, in un evento unico che ogni anno si ripete per un solo giorno. Tanti appuntamenti, a cominciare da “Fèminas”, la mostra di Antonella Minzoni dedicata alla donna nella storia sarda. Un dibattito, moderato da Mariantonietta Piga, sulla figura femminile nella storia e nella società sarda, in collaborazione con il Coro Montalbo Siniscola. Poi gli interventi di Stefano Lavra (Istituto Superiore Regionale Etnografico), Maria Tedde (Testimonianza emigrazione Siniscolese anni ‘50), Rossella Faa (Intermezzo musicale), Antonella Minzoni (Autrice Siniscolese mostra “Fèminas”), Manuela Corongiu (Gruppo Folk La Caletta); con la partecipazione di Mario Paffi (Distretto Culturale del Nuorese). Infine la Premiazione e riconoscimenti a figure storiche della comunità siniscolese, a cura del Comune di Siniscola. L’Associazione S’Orcu ‘e Montiarvu ha offerto un pranzo comunitario. Nel primo pomeriggio i bambini siniscolesi hanno tenuto una recita sui cicli della natura; c’erano i giochi tradizionali a cura della Leva S. Giovanni ’86. Poi la volta della vestizione delle maschere tradizionali, con il corteo delle maschere lungo le vie del centro storico. Il sacrificio della bestia ha chiuso il Carnevale. Finale con musica e balli. Al termine della cena comunitaria offerta dall’Associazione S’Orcu ‘e Montiarvu si è tenuto uno spettacolo musicale con il gruppo Ballade Ballade Bois.

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